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 2015  gennaio 18 Domenica calendario

USA, ANCHE SUI MATRIMONI GAY LA STORIA LA SCRIVONO I GIUDICI

Vi stia a cuore o la detestiate, per capire come davvero funziona e che radici abbia la democrazia negli Stati Uniti, seguite la storica decisione – annunciata venerdì – dalla Corte Suprema americana sui matrimoni omosessuali.
Già oggi il 70% dei cittadini Usa vive nei 36 Stati, più Washington D.C., dove le unioni gay sono legali, ma la contraddizione con gli altri 14 Stati, crea difficoltà, specie alle coppie con frequenti trasferimenti di domicilio. Ora la Corte dovrà decidere, entro la primavera, se esiste un diritto sancito dalla Costituzione alle unioni tra coniugi dello stesso sesso che nessuno Stato può dunque proibire per legge o regolare con sentenze locali.
È un percorso che ogni diritto, riforma, trasformazione della società ha compiuto, con varianti storiche, tra opinione pubblica, politica e Corte. Contrastando il New Deal economico di F.D. Roosevelt, sostenendo i diritti civili di Johnson, appoggiando la libertà di stampa, affermando i diritti dei cittadini in stato di arresto, discutendo casi di pena di morte o aborto, i nove magistrati della Corte accelerano, o frenano, la storia americana. Un giudice può, nel corso della sua vita in toga nera, contare quanto i più influenti senatori, c’è chi dice non meno di un Presidente.
I quesiti
La Corte chiede adesso agli avvocati delle coppie che hanno fatto ricorso, e ai legali degli Stati che loro si oppongono, Michigan, Ohio, Kentucky e Tennessee, di esprimere i rispettivi punti di vista su due nodi: 1) La Costituzione riconosce nei suoi principi, o no, il diritto a formare coppie nuziali dello stesso sesso?; 2) Gli Stati che non riconoscono nozze gay hanno però, almeno, l’obbligo di riconoscere le coppie che abbiano contratto matrimonio negli altri Stati?
Il presidente Barack Obama farà presentare dal ministro della Giustizia Holder una memoria amicus curiae, tipico intervento della Casa Bianca in questi casi per pressare sulla Corte, e, al tempo stesso, testimoniare ai propri elettori, attivismo politico. L’amicus curiae sosterrà che la Costituzione non discrimina tra i cittadini per sesso, almeno nell’interpretazione che se ne trae nel XXI secolo, e dunque ne deriva conseguente sentenza permissiva.
Progressisti e conservatori
Chi cercasse nella disputa appassionante delle prossime settimane solo un duello americano tra progressisti e conservatori, liberal e parrucconi, non ne coglierebbe la natura più importante. Il giudice di Cincinnati, Ohio, Jeffrey Sutton, non argomenta infatti nella sentenza che arriva ora a Washington contro i matrimoni gay, ma ribadisce la linea degli Stati riottosi: «Quando i tribunali non lasciano risolvere ai cittadini sui nuovi temi sociali, essi perpetuano l’idea che gli eroi nel cambiare la Storia siano giudici ed avvocati. Meglio, invece, che i cambiamenti passino dall’abituale processo politico, con i cittadini, gay o etero, a diventare eroi della propria storia, incontrandosi non come nemici in un’aula giudiziaria, ma fuori, da compatrioti che vogliono risolvere insieme, in modo giusto, i nuovi temi sociali».
Insomma, dice il giudice Sutton e come lui la pensano le quattro toghe della Corte Suprema – Roberts, Scalia, Alito e Thomas – ostili ad aprire «per diritto» alle nozze gay, se la comunità vuole pari titoli per omosessuali e eterosessuali deve legiferare, non appellarsi a un tribunale. Dallo scorso ottobre, quando con una decisione 5 contro 4, determinata dal giudice Kennedy, che spesso vota con i conservatori ma in quel caso guidò i progressisti, la Corte decise di non bocciare le leggi statali pro gay, il cammino è invece diverso. Ci si aspettava che, al via libera della Corte, altri Stati seguissero, l’opinione pubblica confermasse il suo ok e quindi, prima o poi, la vicenda tornasse a Washington per l’imprimatur finale: due secoli e mezzo di politica americana seguono questo ritmo. L’epoca del web, della globalizzazione, delle emigrazioni, delle identità personali e non più di massa, accelera però tutto. Il giudice italo-americano Nino Scalia, nell’opporsi in minoranza al primo semaforo verde, nel caso 2013 United States versus Windsor, lo scrisse preveggente: «Ci vuol faccia tosta per la maggioranza della Corte oggi, a dire che non serve un emendamento alla Costituzione per permettere nozze gay… così facendo i giudici armano la mano di ogni ricorso contro le leggi statali che difendono i matrimoni tradizionali… presto avremo altri ricorsi, e cadrà anche la seconda scarpa». Nessuno, argomenta il Washington Post, si aspettava che «presto» fosse meno di due anni.
Gli orientamenti
Ora i giudici favorevoli alle unioni gay, Kagan, Sotomayor, Breyer e Ginsburg (che ha celebrato cerimonie nuziali gay in persona), si confrontano con il voto «swing», altalena, del giudice Kennedy. Che nei precedenti casi ha sì sostenuto «l’immenso riconoscimento morale» dovuto dalla legge ai cittadini gay, ma anche «il diritto degli Stati» a legiferare diversamente dal Congresso federale. Quanto storiche saranno le giornate che andiamo a vivere, e quanto precisa sarà l’ecografia della democrazia Usa che daranno, lo si intuisce ricordando che proprio sul contrasto tra «Federali» e «Stati» scoppiò la Guerra Civile, dove caddero più americani che in tutte le altre guerre della Repubblica, dalla Rivoluzione 1776 all’Isis 2015.
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