Gianni Mura, la Repubblica 18/1/2015, 18 gennaio 2015
IL NOME DEL PIEDE
E mi raccomando, ragazzo, nel mondo del calcio cerca di farti un nome. Ma anche un soprannome non è male. Quelli azzeccati restano addosso per una carriera, una vita e anche oltre. Il Mago, El Paròn, Raggio di luna, Piedone, El Cabezòn , Trap , Rombo di tuono , per esempio. Che il Mago più antico fosse Helenio Herrera e il più recente Maicosuel, rapido e non memorabile passaggio all’Udinese, ha un’importanza relativa. Il soprannome a volte è d’autore (Arpino, Brera, Caminiti) a volte nasce dai tifosi. «Onorevole Giacomino, salute» urlava con voce tenorile nel megafono Gino Villani, il bottonaio di via Fossalta, e Bulgarelli rispondeva con un leggero inchino. La partita del Bologna poteva cominciare. Veleno, invece, a Benito Lorenzi lo affibbiò sua madre, da tante gliene combinava, e Veleno rimase. Non fu lui ad appioppare il perfido Marisa a Boniperti, ma il pubblico di Novara (Marisa era una miss Piemonte dell’epoca). Per Pedro Manfredini la colpa, o il merito, è di una foto che lo ritrae mentre scende dall’aereo a Roma. La scarpa, in primo piano, sembra enorme. Da lì, Piedone. Per la cronaca, Manfredini calzava il 42.
I soprannomi o nickname spesso nascono all’interno della squadra. Si abbrevia: troppo lungo Agostino Di Bartolomei, ecco Ago e Diba, Mancini è Mancio, Tassotti Tasso, Moscardelli Mosca, Carrozzieri Carro o Carrozza, Cappioli Cappio, Gilardino Gila, così come Baloncieri, più in tinta, fu Balòn. O si va per assonanza: Butragueno Buitre ( avvoltoio, povero ragazzo meritava di meglio), Hateley Attila, Shevchenko Sheva ( ma anche, non si sa da chi, l’ usignolo di Kiev), il nome di Gattuso, Rino, diventa Ringhio. Si va sulla variante del nome: Salvatore Schillaci e Antonio Di Natale sono diventati Totò. Billy, stranamente, riguarda due difensori centrali del Milan. Il primo, Salvadore, era un fan di Billy Wright, il secondo, Costacurta, dell’Olimpia Milano di basket, al tempo così sponsorizzata. Al nome si può aggiungere un Super: Superpippo Inzaghi, Supermario Balotelli (e prima Basler), Supermarco Delvecchio e Di Vaio, non Tardelli che è Gazzellino. Gazzelle invece Mumo Orsi e Hirzer. Qualcuno non li conosce? Per forza, giocavano tra il ’20 e il ’30, ma il libro di Zara e Calzaretta serve anche come flipper della memoria. Flipper, a proposito, era Damiani. Fu Invernizzi a chiamarlo così quando giocava nei ragazzi dell’Inter. Invernizzi, per via del cognome, era detto Robiolina.
Ci sono soprannomi che sarebbero piaciuti a Teofilo Folengo: Brusalerba ( G.B. Fabbri), Spaccapali (Fugazza), Palo ’e fierro ( Bruscolotti). Lombardo, scarsicrinito, per i tifosi della Samp era Popeye, per quelli del Crystal Palace Bald Eagle (Aquila calva). Ed è in Inghilterra che Maccarone diventa Big Mac, e Zola Magic Box. E Mourinho Special One ( autodefinizione). Mentre Paolo Rossi diventa Pablito al Mondiale d’Argentina nel ‘78 (copyright di Giorgio Lago), e Maradona Mano de Dio sette anni dopo, in Messico. Due soprannomi uniscono mezzo secolo abbondante di calcio e due numeri 10: Rivera e Totti. Rivera è il capofila degli abatini, categoria di centrocampisti, in prevalenza offensivi, cui Brera non riconosceva adeguato nerbo atletico: Rivera, Corso, De Sisti, Bulgarelli, Juliano e altri ancora. Non andava meglio, però, a centrocampisti dotati di nerbo atletico ma di scarso ragionamento: si veda l’irridente Einstein per Mario Bertini. Abatino è un ripescaggio lessicale su cui Brera mette il timbro. Si credeva l’avesse usato per la prima volta a Roma 1960 per Livio Berruti. Recenti ricerche di Claudio Gregori portano a un’altra data, 17 maggio 1952, e a un altro nome, Giorgio Albani. Prima tappa del Giro poi vinto da Coppi. Albani, acuto monzese poi ds di Motta e Merckx, vince la volata davanti a Magni, Coppi, Petrucci e Minardi. E Brera lo definisce abatino per l’aspetto, non per le doti atletiche. Come agli abatini del pallone non piaceva essere definiti in questo modo, a Totti non piace Pupone . Il soprannome non è firmato, pare risalga al periodo delle giovanili o, al massimo, dell’esordio in prima squadra. Fatto sta, scrivono gli autori, che dopo un 3-1 al Lecce, il 21 settembre 1997, Totti così si rivolge ai giornalisti: «Vi chiedo un regalo: non chiamatemi più Pupone, sono cresciuto». Qualcuno gli ha dato retta, altri no. Ex Pupone sarebbe peggio. E poi, perché Totti continua a festeggiare un gol mettendosi in bocca il pollice? Per celebrare la nascita dei figli, si pensò. Ma ora che i figli sono grandicelli e lui pure? Non ci sarà dietro un ragionamento come quello, autoironico, che partorì i libri di barzellette su Totti, di Totti, contro Totti, firmate Totti? Non è che Pupone, ingombrante etichetta a vent’anni, sia diventato un buon compagno nel viaggio verso i quaranta?
È giusto tenersi dei dubbi. E il viaggio continuare a farlo tra pulci e leoni, principi e re, ramarri e uccellini, baroni e pantere, salsicce e prosciutti, gambe di sedano e carta velina, gatti e scimmie, zanzare e zucchine, tori e toreri, frecce e filosofi, mummie e poeti. Perché il campo della fantasia è più vasto di un campo da calcio.