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 2015  gennaio 18 Domenica calendario

MA . Athanasios Orphanides, 53 anni, conosce Mario Draghi e la Banca centrale europea da vicino: fino al 2012 ha partecipato al Consiglio direttivo come governatore della Banca di Cipro

MA . Athanasios Orphanides, 53 anni, conosce Mario Draghi e la Banca centrale europea da vicino: fino al 2012 ha partecipato al Consiglio direttivo come governatore della Banca di Cipro. Prima ancora è stato consigliere del board della Federal Reserve americana. E oggi che insegna al Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove sia lui che Draghi hanno ottenuto il dottorato in Economia, Orphanides ha una certezza: un piano di acquisti di titoli della Bce attuato nella forma preferita dalla Germania, quella che oggi sembra prevalere, può mandare l’euro in mille pezzi. Il Quantitative Easing (QE), il piano di acquisti di titoli di Stato, può valere fra 500 e 700 miliardi. Pensa che basti? «Un programma di acquisti di bond sovrani da soli 500 miliardi sarebbe miseramente inadeguato. Mille miliardi servono solo a riportare il bilancio della Bce ai livelli di inizio 2012. Purtroppo però rimediare l’errore di averne ridotto la taglia e riportarlo dov’era tre anni fa non basta più. La banca centrale ha permesso che l’inflazione cadesse a livelli pericolosamente bassi, incompatibili con il suo mandato. La tragica ironia è che aver ritardato il QE quando serviva, esitando tanto a lungo, ha fatto sì che le quantità di acquisti ora debbano essere molto più vaste. Secondo me, a questo punto servono duemila miliardi». Se gli interventi dovranno crescere, la Bce e l’area-euro saranno così forti da resistere all’opposizione tedesca? «La Bce è la banca centrale dell’area euro. Sarebbe illegittimo se mettesse gli interessi di qualunque singolo Stato membro sopra quelli dell’area nel suo complesso. Il Trattato la rende indipendente e le dà mandato di preservare la stabilità dei prezzi, un’inflazione al di sotto ma vicina al 2%. Per questo la Bce deve perseguire una politica monetaria unica nell’interesse dell’area, anche quando non coincide con gli interessi particolari di questo o quel Paese. Nel Trattato, la Germania non ha uno status speciale. Mancare di fare l’interesse dell’area per evitare l’opposizione tedesca sarebbe una violazione». Pensa che possa funzionare un QE come proposto dalla Bundesbank, senza tenere il rischio dentro la Bce ma scaricando eventuali perdite da insolvenza degli Stati sulle rispettive banche centrali nazionali? «Il QE può riportare la dose adeguata di sostegno monetario nell’area euro. Certo, va attuato evitando ulteriori, disastrosi errori. Una politica monetaria unica per l’area significa responsabilità comune per le operazioni e responsabilità congiunta su profitti e perdite. Alla Bce è sempre stato così. Sarebbe un tragico errore se ora l’istituzione deviasse dalla norma e chiedesse a ciascuna banca centrale nazionale di comprarsi i bond del proprio Paese. Un errore di questo tipo porterebbe a un’ulteriore disintegrazione dell’area euro. Sarebbe il segnale che la Bce si prepara alla rottura della moneta unica e ciò può creare una dinamica capace di rendere quella rottura inevitabile ». Eppure sembra che il compromesso, per evitare il no tedesco, preveda proprio questo tipo di QE con rischi segregati nei singoli Paesi. «Sarebbe sventurato se un errore così tragico venisse commesso in nome di un compromesso simile. Una decisione a maggioranza più ampia nella Bce è un bene, ma solo se riguarda disaccordi legittimi e oneste differenze di opinione sulla politica monetaria adeguata all’area euro. Proteggere gli interessi di un unico Paese non è una ragione legittima. Ricordo che i componenti del Consiglio direttivo hanno tutti il mandato di perseguire quella che ritengono la politica migliore per l’area nel suo complesso. Non rappresentano i loro governi o Paesi. Se lo facessero, violerebbero il Trattato». Pensa che Syriza, il partito della sinistra radicale, vincerà le elezioni in Grecia e seguirà una linea che alla fine spingerà il Paese fuori dall’euro? «Gli eventi in Grecia mi preoccupano. Ma per la tenuta di lungo periodo dell’area euro, mi preoccupano ancora di più le azioni e le politiche di governi di altri Paesi, e quelli delle istituzioni europee. Il dibattito in Germania, in particolare, dovrebbe preoccupare chiunque altro nell’area». A cosa si riferisce? «La Germania è il Paese che ha beneficiato di più dalla crisi nella zona euro, eppure le conseguenze del suo ruolo non sono state valutate adeguatamente. Durante la crisi la Germania ha bloccato un certo numero di decisioni che, se adottate, avrebbero molto migliorato le prospettive dell’area nel suo complesso. Il governo tedesco è riuscito con successo a proteggere l’economia tedesca e l’interesse nazionale, ma bloccando certi passi avanti ha creato le condizioni della stagnazione nel resto dell’area. Per esempio, aver impedito una vera unione bancaria implica che le condizioni del credito nella zona euro restino molto diseguali. Il problema di fondo è questo rifiuto di accettare una comune responsabilità per il disastro degli ultimi anni».