Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 17/1/2015, 17 gennaio 2015
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, chi votereste per il Quirinale? «Certo non un fantoccio
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, chi votereste per il Quirinale? «Certo non un fantoccio. Un uomo che abbia un vastissimo consenso, una levatura personale e una pratica istituzionale tali da non farsi ingabbiare dalla struttura del Quirinale, e un’attitudine antica all’amore per la libertà. Quindi, non un ex comunista». Ancora con la solfa dei comunisti? «Ciascuno appartiene alla sua storia. Scalfaro rivelò la sua natura di magistrato bacchettone, per cui il peccato equivale al reato, e trasformò l’idiosincrasia verso lo stile di vita di Berlusconi in odio antropologico. Ciampi è stato alla fine un azionista nazionalista di sinistra. Napolitano, vecchio bolscevico, cui rendo onore per la coerenza, ha obbedito al fondamento ideologico appreso da Togliatti: l’abitudine a intendere la moralità in funzione del potere dei “suoi”». Guardi che l’avete rieletto pure voi. «In condizioni di emergenza. E abbiamo sbagliato. Come sbagliò Berlusconi a dimettersi, sempre in condizioni di emergenza. All’estero i capi di Stato eletti possono essere azzoppati; da noi il capo dello Stato può solo azzoppare. Con la scuola comunista abbiamo dato. Occorre cambiare diocesi». Quindi niente Bersani, Fassino, Veltroni? «In passato abbiamo avuto presidenti eccellenti come Cossiga e Leone, ottimi come Pertini e Saragat, grandi come Einaudi. Tutti venivano da posizioni istituzionali altissime. Nessuno, tranne Saragat, è stato leader o segretario di partito». Questo esclude anche Prodi? «Appunto». Mattarella? «Il presidente della Repubblica dev’essere una personalità di grande spessore, di alta esperienza internazionale, di provata capacità di governo. Oggettivamente, con tutto il rispetto che si merita, Mattarella non ha queste caratteristiche». Padoan? «Non vogliamo un tecnico passato da poco alla politica. Stimo Padoan, è mio amico. Un anno fa lo sostenni come presidente dell’Istat. Il Quirinale è un’altra cosa». Perché non una donna? «Sarebbe volgare farne una questione di genere». Per la Finocchiaro e la Pinotti vale la pregiudiziale anticomunista? «Veda lei». E per la Severino? «Vale il discorso sui tecnici». Grasso? «Non votiamo un avvocato, vuole che votiamo un magistrato?». Amato? «Non voglio fare nomi, non ne abbiamo ancora discusso. Dico la mia personalissima opinione: Giuliano Amato è il più competente, il più esperto, il più conosciuto all’estero. Ed è di cultura liberal socialista». Non teme di bruciarlo? «Basta! Basta con questo luogo comune insopportabile, usato e abusato, da furbetti, per cui se si parla di qualcuno lo si brucia. Discutiamone apertamente, alla luce del sole, fuori dalle segrete stanze». Amato è considerato uomo dell’establishment. E molti italiani non gli perdonano la Finanziaria del ’92. Lei crede che Renzi, così attento al consenso, sia disposto a puntare su di lui? «È deviante pensare che questa partita sia solo in mano a Renzi. È come al poker: nessun punto ti dà la garanzia di vincere. Renzi si sbaglia di grosso, se pensa di essere l’unico intelligente circondato da sciocchi. Ci sono ragioni politiche e anche giuridiche per cui occorre un consenso vastissimo». Cosa intende per ragioni giuridiche? «Tra i grandi elettori ce ne sono 148 mai convalidati, eletti con un premio di maggioranza che la Consulta ha dichiarato incostituzionale. Di questi, 130 sono del Pd. Legati a una clausola della legge elettorale scattata per lo 0,37% dei voti: un margine esiguo e dubbio. Inoltre, la riforma costituzionale voluta dal governo tende a innalzare il quorum: nella versione arrivata alla Camera, la maggioranza necessaria è di due terzi fino al nono scrutinio, non al quarto come oggi. Un presidente eletto per pochi voti, o per un caso, per un impulso emotivo dell’ultimo momento, sarebbe fragilissimo. Un’anatra zoppa “ab ovo”. Non è nell’interesse di nessuno». Perché lei vuole bloccare le riforme di Renzi? «Mi meraviglio della domanda. Io collaboro alle riforme. E basta con le sue battute. Chiamarmi re dei fannulloni invece di discutere nel merito dei miei argomenti è segno di una pigrizia mentale e di un’indolenza morale indegne di un leader democratico. Renzi non ha la minima idea di cosa voglia dire avere contro Brunetta». Lo dice per scherzo, vero? «Un po’ scherzo, ma non tanto. Io sto usando solo il 5% del mio potenziale combattivo, politico e intellettuale per oppormi a Renzi. Ma la mia pazienza non è infinita. Eviti forzature infantili. Il gruppo di Forza Italia, con qualche legittima eccezione, è compatto sulla mia linea: non c’è tempo, e non è neanche giusto approvare alla Camera la riforma costituzionale prima dell’elezione del presidente. Non possiamo scegliere il capo dello Stato ingaglioffiti da un calendario assurdo, per far passare norme destinate a entrare in vigore nel 2018. E perché? Per una bambinesca prova di forza di Renzi? Suvvia, siamo seri». Prima il Quirinale, poi le riforme? «Sì. Proporrò al presidente Berlusconi di costituire un comitato di lavoro per le consultazioni con le altre forze parlamentari, a cominciare dall’Ncd di Alfano, per discutere del successore di Napolitano. Se invece Renzi forzerà la mano sul calendario, la scelta avverrebbe in un clima di tensione drammatica. Si andrebbe “ai materassi”, come si dice nel Padrino . Sa cosa significa?». No. «Guerra totale. Nessuno dorme a casa sua, ma si cerca una sistemazione provvisoria. Su un materasso appunto». È vero che con Verdini siete quasi venuti alle mani? «No. Il dialogo con Verdini è intenso e caldo, com’è nella nostra natura. Il patto del Nazareno, come qualsiasi altro, ha senso se è un patto tra uguali, non leonino. Altrimenti è una sottomissione. E io non mi sottometterò mai a nessuno. Tanto meno a Renzi». Ma se salta il patto del Nazareno si va a votare. «Meglio così. Si voterebbe con il Consultellum, quindi con il proporzionale. Allora sì che avremmo un Parlamento costituente. Con buona pace di Renzi».