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 2015  gennaio 17 Sabato calendario

SACCHI, STORIA DI UNO DI CASA

Il suo viaggiare è stato tutto un restare. Nella mente di Galliani, nei ricordi di Berlusconi, nei sospiri dei tifosi. Il viaggiare di Arrigo Sacchi è stato avventuroso ma come tanti viaggi si può stipare in una valigia: una finale di coppa del Mondo persa ai rigori da c.t. azzurro, alti e bassi in un campionato europeo, due voli per Madrid, Atletico e Real, esperimenti a Parma e ancora in federcalcio, sempre con l’idea che la casa fosse il Milan. Certi amori non finiscono, intonerebbe Galliani. In alternativa si può ripassare il testo di Vuelvo al Sur , Astor Piazzolla. Un tango argentino adatto anche a un club di simpatie brasilianiste come il Milan.
intuizioni La gloriosa storia rossonera di Arrigo Sacchi comincia nella seconda metà degli anni Ottanta, quando il suo Parma elimina il Milan dalla coppa Italia e gli consegna un posto nella fantasie calcistiche di Silvio Berlusconi. La storia bis, breve e piuttosto infelice, è data 1996: è allora che Arrigo prende il posto di Tabarez, che al Cavaliere non era mai andato a genio. Arrigo riparte nel dicembre 1996 da Baggio e dalla Champions League, ma contro il Rosenborg gli va subito male. A fine stagione se ne va lasciando la squadra all’undicesimo posto in campionato. Torna Capello, un altro bis non particolarmente felice, evaporato come tanti altri ricordi inutili. Nel persistere dei momenti difficili Galliani e Berlusconi ripensano ai giorni belli, ai successi, alle rivoluzioni. Ripensano alla marcia su Barcellona di migliaia di tifosi voraci e entusiasti, la sera della prima coppa Campioni dell’era Silvio vinta contro la Steaua Bucarest.
Missioni Certo, gli inizi di Arrigo non sono stati facili, ma negli anni Ottanta tutti erano ancora giovani e tante cose potevano essere perdonate. La notte di San Siro con il Rosenborg nel 1996 lasciò il segno, la notte dell’Espanyol (ottobre 1987) aveva lasciato soltanto artistici tagli su una tela ancora da dipingere. L’eliminazione dalla coppa Uefa e la contestazione che seguì quella volta non avevano fatto vacillare Berlusconi, che aveva scelto Sacchi per vincere e convincere, espressione diventata poi il motto della casa. Berlusconi non aveva dubbi e neppure Sacchi. Come disse una volta Ancelotti, allievo prediletto, «era così convinto di quello che ci insegnava che alla fine gli abbiamo creduto». Bisognava avere solo occhio pazienza e fortuna. Lo scudetto arrivò al primo tentativo, a fine stagione 1987-88, con una strepitosa rimonta. Le star dentro al sistema non mancavano, la grandeur avanzava, le vittorie internazionali arrivarono in sequenza: coppe Campioni, Intercontinentali, Supercoppe. Una sinfonia. Ma il metodo Sacchi chiedeva dedizione assoluta e dopo un po’ lui stesso, oltre agli interpreti, si sentì svuotato. Traslocò in Nazionale e la nostalgia in casa Milan si placò con la cascata di scudetti di Capello. Uno che non ha mai fatto la rivoluzione, ma ha calmato molto i nervi del Milan orfano del suo profeta.
RIPENSAMENTI Gli aneddoti sui giorni del fulgore, dall’insofferenza di Van Basten alle passioni di Gullit, sono arcinoti, come gli appunti sul suo perfezionismo. Raccontano che per illustrare certi movimenti Sacchi prendesse ad esempio colleghi sconosciuti agli snobbissimi giocatori del Milan, ma si sa che quando una squadra vince le malelingue si affollano. I primi di Arrigo furono anni da re, eppure a un certo punto tutti ebbero bisogno di cambiare. Il Milan però era la sua droga e il legame con Berlusconi e Galliani troppo forte: per questo Sacchi è tornato nel 1996, per questo non è mai andato via, per questo Berlusconi non ha mai smesso di consultarlo e di confidargli le sue perplessità o i suoi progetti. «Ho scelto il Milan per una questione di sentimento. Tra le cose irrinunciabili del mio modo di essere c’è la riconoscenza». E’ una dichiarazione di Sacchi del 1996 e vent’anni dopo potrebbe funzionare ancora. Errare è umano, perseverare diabolico e al Milan sono un po’ tutti avvocati del Diavolo.