Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 17 Sabato calendario

DEL BIMOTORE EUROPEO FRANCO-TEDESCO ADESSO È RIMASTO SOLO IL MOTORE TEDESCO

Per tutti questi giorni non si è parlato che della Francia. Per 48 ore, una più una meno, si è parlato della Svizzera. La prossima settimana ci si concentrerà sulla Grecia. Ma poi si dovrà ritornare con lo sguardo e l’orecchio a Parigi. Se ne sono accorti tutti che è la Francia, oggi, il crocevia d’Europa. Perfino gli americani, che in occasione di una delle tante crisi del mondo islamico, se la presero per le fondate critiche da Parigi alla guerra di Bush in Iraq al punto da cancellare nei menu dei ristoranti le patatine fritte alla francese. Dovrebbero capirlo, a maggior ragione, gli europei, a cominciare dai tedeschi ma anche dagli italiani. Un crocevia ovvero, per dirla con De Gaulle, un «rendez-vous avec l’histoire». Ma è un rendez-vous per tutta l’Europa. Due crisi vi si incontrano, due interrogativi si pongono.
Il primo è nelle cronache: la domanda se l’Europa attuale, fatta ancora di nazioni-Stato, possa integrare in qualche modo gli immigrati musulmani e cosa accadrà se non ci riusciranno. È indispensabile, certo, risalire alle radici del dramma che scuote la Francia per ricordarsi che questo è il Paese europeo con la più densa presenza ex coloniale. Con tutte le sue contraddizioni è quello in cui anche gli islamici sono, o almeno parevano, meglio assimilati. Già nel 1956 il Senato francese elesse presidente un uomo dell’Africa Nera e l’immigrazione è particolarmente concentrata dall’Algeria, che era molto di più di una colonia: era Francia, frontiera Sud di quella «France de Dunkerque a Tamanrasset».
Decolonizzazione più difficile anche perché in parte bianca, comprendente coloni di lunga data, pieds noirs di ritorno en Metropole, con i loro legami recisi, passioni, rancori. Coloro di cui il Front National trasse la sua leadership originaria, a cominciare dal padre di Marine Le Pen, prima di uscire da quell’ambito ristretto per diventare un partito di destra e di massa. D’altro canto la Francia è anche il Paese europeo in cui, in un sondaggio dell’estate scorsa, ben 16 cittadini su 100 avevano espresso simpatie per l’Isis e il Califfato.
Ma neppure questo è il solo ostacolo a una normalizzazione delle passioni e dei rapporti con l’Islam di casa. L’altro nasce in Europa ed è egualmente pericoloso: l’impoverimento e la conseguente ghettizzazione di centinaia di migliaia di immigrati in conseguenza di una recessione prolungata dalle scelte dell’Austerity, che colpisce masse e ceto medio in quasi tutta l’Europa inclusa la Francia. Anzi, soprattutto in Francia, nelle periferie dove è più densa la popolazione di origini o siriane o comunque di aree islamiche, terreno fertile per la propaganda jihadista e il reclutamento di killer.
Il vascello dell’Europa imbarca disperazioni e odio. Gli svizzeri ne sono scesi ora un po’ precipitosamente, anche se forse con profitto, i greci rischiano di doversi buttare a mare fra pochi giorni. Potrebbe ora venire il turno della Spagna o dell’Italia. Se poi toccasse alla Francia sarebbe la nave dell’Europa politica ad affondare perché questo è il suo centro gravitazionale. La Germania è più forte e più ricca ma non ne è il cuore. Le sue grandi qualità e i suoi leciti interessi possono farla dominante economicamente, ma la Storia e la stessa Geografia riservano tuttora questo posto e questo ruolo alla Francia, che non è Nord e neppure Sud, ma che sola può fare da ponte tra queste due aree e consentire all’Unione di funzionare un giorno anche politicamente.
Troppi «soci» barcollano spossati dal declino e avvelenati dall’euro, divisi dal golfo che si è aperto fra le saggezze e le certezze di Berlino e le urgenze di quasi tutti gli altri. Tenerle assieme spetta ed è possibile solo alla Francia, pur gravata da pesi e da pericoli anche più urgenti che ora conosciamo, con il peso di problemi interni svariati e gravi. Ma che conserva forse punti di forza, almeno in prospettiva, e qualche indice incoraggiante. A partire da quello demografico. La «conta» degli abitanti, causa di tanta ansietà dei governanti parigini per quasi due secoli, segnala oggi una svolta. I tedeschi sono più ricchi ma più vecchi, mentre in Francia il numero delle nascite è in rapida crescita.
Continuando così Parigi potrebbe ridiventare, entro il 2050, la capitale del Paese più popoloso d’Europa e dunque la principale economia, ciò che le restituirebbe una fetta importante del potere perduto in un continente più diviso che mai. Per decenni, per secoli la Francia ha sofferto dei sintomi di un declino, dall’evidenza di un ribasso rispetto alla sua posizione nei secoli di Luigi XIV e di Napoleone. Ma nonostante le sconfitte e le umiliazioni sofferte, è tuttora centrale per i destini dell’Europa e dell’Occidente. Nei prossimi decenni potrebbe rimbalzare, tornare a un ruolo simile a quello di cent’anni fa. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, che aprì la botola in cui continua a scivolare l’Europa.
Alberto Pasolini Zanelli, ItaliaOggi 17/1/2015