Francesco Ninfole, MilanoFinanza 17/1/2015, 17 gennaio 2015
I DILEMMI DI DRAGHI
Sono ormai in pochi a dubitare che il Consiglio direttivo della Bce lanci acquisti di titoli di Stato nella riunione di giovedì 22 gennaio. Ma nei mercati prevale un senso di cautela legato ai numerosi (e fondamentali) dettagli sul programma di acquisto di titoli (il cosiddetto Quantitative easing o Qe). Non c’è dubbio che un Qe aggressivo piacerà ai mercati, i quali al contrario saranno innervositi da ulteriori ritardi. L’esito più probabile è tuttavia una via di mezzo tra le opzioni estreme: così sarà possibile per Draghi raccogliere il maggiore consenso possibile, possibilmente anche nel blocco di oppositori guidato dai membri tedeschi del Consiglio. Il rischio opposto, però, è piegarsi troppo alle posizioni di Berlino: in tal caso il Qe sarebbe poco efficace.
Ecco le domande che si pongono gli operatori e le ipotesi che la Bce sta studiando.
1) Ci sarà il Qe il 22 gennaio? L’annuncio dell’avvio del piano viene dato per scontato dagli analisti, anche se le operazioni di acquisto potrebbero partire più avanti. Nessun dubbio sul fatto che il Qe sia ormai necessario: le T-Ltro e gli altri programmi di acquisto già avviati (abs e covered bond) stanno procedendo con difficoltà e non permetteranno di raggiungere l’obiettivo di espansione del bilancio Bce (1.000 miliardi). L’inflazione dell’Eurozona è già in negativo e le prospettive di lungo termine sono peggiorate. Inoltre il parere della Corte di giustizia europea, seppur riferito a un piano diverso (l’Omt), ha rimosso i dubbi sulla legittimità degli acquisti di titoli di Stato. Le ultime dichiarazioni dei membri del board Bce, e persino le recenti mosse della Banca centrale svizzera, sembrano confermare che Francoforte agirà il 22 gennaio.
2) Quali dimensioni avrà il Qe?
L’ammontare degli acquisti è il dato più facile da interpretare, ma in prima battuta il meno importante, perché nulla impedisce alla Bce di varare nuovi piani in futuro (Qe2, Qe3 ecc.), come ha fatto la Fed. In ogni caso gli analisti puntano su una cifra di partenza di circa 500-600 miliardi. «La Bce dovrà annunciare acquisti per almeno 600 miliardi di euro se vorrà avvicinarsi al fatidico trilione di euro» di espansione del bilancio, ha osservato l’economista Anna Maria Grimaldi di Intesa Sanpaolo. «Il grosso del programma avrebbe come oggetto acquisti di titoli sovrani. In aggiunta la Bce potrebbe acquistare titoli sovranazionali, Esm ed Efsf e forse corporate». L’esigenza di comprare titoli di Stato è legata proprio all’ampiezza del mercato obbligazionario governativo. Senza intervenire in questo comparto, è di fatto impossibile ampliare il bilancio di 1.000 miliardi, poiché gli altri mercati sono troppo piccoli (lo si è visto per abs e covered bond).
In ogni caso una manovra Bce di queste dimensioni resterebbe inferiore a quella delle altre banche centrali. Intesa ha rilevato che acquisti di titoli governativi per 500 miliardi ammonterebbero a circa il 5% del pil e all’8% del debito in circolazione nell’Eurozona, molto meno del Qe della Fed (in tutto 2 mila miliardi di dollari o l’11% del pil e il 17% del debito in circolazione) o quello della Banca di Inghilterra (che ha visto acquisti per 375 miliardi di sterline, pari al 21% del pil). Date le possibili difficoltà operative, «non è escluso che la Bce annunci solo ex post l’ammontare mensile acquistato di ciascuna asset class. Ma ragionevolmente gli acquisti di governativi dovrebbero ammontare a 25-30 miliardi di euro al mese», ha aggiunto Grimaldi. «Alternativamente, la Bce potrebbe annunciare un target trimestrale per gli acquisti che consentirebbe maggiore flessibilità operativa su base settimanale e mensile. Tale target potrebbe essere calibrato nel tempo in base all’evoluzione dello scenario e alla distanza dall’obiettivo del 2% di inflazione».
3) Quali titoli saranno acquistati? Di quali Paesi, con quale rating e di quale durata?
La Bce dovrà scegliere se comprare titoli di tutti i Paesi, oppure solo quelli con rating investment grade (tutti tranne Grecia e Cipro), oppure solo quelli con giudizio tripla A (Germania, Olanda, Austria, Finlandia). Sul fronte del merito creditizio, c’è da considerare anche l’incognita delle elezioni in Grecia: il partito che potrebbe vincere, Syriza, chiede la ristrutturazione del debito greco, che comporterebbe perdite per i possessori dei titoli di Atene. Inoltre Francoforte dovrà decidere la metodologia di distribuzione degli acquisti per Paese. Le opzioni più probabili sono quelle di una ripartizione in base alla quota detenuta nel capitale della Bce oppure in proporzione al debito in circolazione. Nel primo caso i maggiori acquisti sarebbero quelli di titoli tedeschi (129 miliardi, nell’ipotesi di un piano da 500 miliardi totali), francesi (101 miliardi) e italiani (88 miliardi). La seconda opzione privilegerebbe invece i bond italiani (132 miliardi), francesi (113 miliardi) e tedeschi (91 miliardi). Infine, riguardo alla durata dei titoli, la Bce dovrebbe intervenire su scadenze medio-lunghe (5-15 anni) secondo gli analisti.
4) Chi si assumerà le perdite in caso di insolvenza di uno Stato?
È il tema in assoluto più problematico. Su questo aspetto ci saranno le maggiori discussioni con il fronte tedesco del Consiglio Bce, che spinge per una responsabilità non condivisa, ma affidata soltanto alla banca centrale del Paese insolvente. «Una significativa eccezione al principio di condivisione del rischio darebbe adito a un certo scetticismo sull’Eurosistema e sulla conduzione comune della politica monetaria, con il rischio di limitare l’efficacia del programma», ha osservato Grimaldi. Anche in questo caso è probabile un compromesso: le eventuali perdite potrebbero essere in parte condivise, in parte no, secondo quote da definire. Più elevata sarà la percentuale di perdite non condivise, più alta sarà la delusione dei mercati. «Se la Bce dovesse optare per una separazione dei rischi associati a eventi di ristrutturazione del debito o confinasse gli acquisti a pochi emittenti di alto rating, la reazione dei mercati potrebbe essere negativa», secondo Intesa. Al contrario, «un programma di stimolo quantitativo aggiuntivo per 600 miliardi, con il grosso degli acquisti concentrato sui governativi di tutti gli Stati con merito di credito investment grade, sarebbe essere ben ricevuto dai mercati».
5) Il Qe sarà sufficiente per riportare l’inflazione vicino al 2%?
La risposta varia naturalmente a seconda delle opzioni che saranno varate dalla Bce. Non è quindi semplice prevedere le conseguenze per i tassi e poi per l’inflazione. I mercati obbligazionari hanno già scontato in parte l’effetto del Qe in arrivo. Alcuni studi hanno stimato il potenziale impatto di acquisti. «Generalmente un calo dei tassi a medio lungo termine di 50 punti base genera un aumento di crescita e inflazione di circa 0,2 e 0,3% dopo un anno», ha indicato Intesa. Secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa tedesca ad aprile, le simulazioni della Bce indicavano che un programma di stimolo quantitativo per 1.000 miliardi avrebbe generato un aumento dell’inflazione area euro tra 0,3-0,8% dopo un anno. Secondo Grimaldi, «è possibile che in assenza di chiari segnali di ripresa ciclica nella prima metà di quest’anno, acquisti per 500 miliardi potrebbero rivelarsi insufficienti a riportare l’inflazione verso il 2% entro il 2016». Questo timore è condiviso da molti. Perciò, dopo il via al Qe, l’attenzione potrebbe presto spostarsi su nuovi piani di acquisto.
Francesco Ninfole, MilanoFinanza 17/1/2015