Stefano Citati, il Fatto Quotidiano 17/1/2015, 17 gennaio 2015
LA BANDA SENZA CONFINI DEI CECENI
Che ci fanno i ceceni in Siria, ma anche in Belgio? Avvistati e finiti nelle indagini che riguardano il rapimento delle due cooperanti italiane, ma anche nell’inchiesta sul piano del presunto attentato che sarebbe stato sventato a Verviers. Sarebbero i guerriglieri islamici provenienti dalla repubblica autonoma russa l’anello di congiunzione tra i gruppi jihadisti impegnati nella guerra contro Assad, ma anche della filiera di foreign fighters che tornano dalla Siria nei paesi europei di origine.
Si sa per certo che il nutrito drappello di combattenti provenienti dalle montagne del Caucaso forma buona parte della leadership dell’Isis, il movimento “alternativo” a Jabhat al Nusra fondatore del califfato tra Siria e Iraq. I miliziani trasferitisi dal fronte anti-Putin russo a quello anti-Assad (alleato di ferro del Cremlino) sarebbero all’origine del cambiamento di strategia del movimento di al Baghdadi che, sorto durante la battaglia per la città-martire di Aleppo, avrebbe poi optato per la fondazione di un regno che fosse faro e simbolo dell’unificazione della Umma (comunità, ndr) sunnita. È sulla spinta dei corpulenti barbuti provenienti dai clan tribali che combattono da decenni il potere russo installato a Grozny che l’Isis sta dando battaglia ai curdi, agli iracheni e alla comunità internazionale che dall’estate scorsa cerca di arrestarne l’avanzata sul terreno.
Ma le diramazioni dei combattenti caucasici sono influenti e articolate. Di certo il migliaio – se non di più – di uomini fedeli ad Ali Abu Mukhammad (detto “il daghestano”), leader dell’emirato del Caucaso, fontomatico stato creato in Cecenia oltre dieci anni fa, sono ben radicati nelle aree di confine tra Siria e Turchia. Il 43enne nato nella vicina repubblica del Dagestan, è solo l’ultimo di una lunga serie di carismatici leader islamici fatti fuori in serie dalle forze russe ma capaci di rimanere una spina nel fianco del governo filo-putiniano di Rinat Akhmetov, considerato il fantoccio del Cremlino che gode di potere assoluto con tanto di culto della personalità in stile sovietico a Grozny.
Gli eccidi dei militari russi nelle due guerre cecene, hanno formato dei guerriglieri determinati, ben inquadrati e ben armati che, una volta sbarcati in terra siriana hanno rapidamente assunto un ruolo determinante nelle frastagliate frange della compagine islamica che combatte il regime alawita di Assad.
La presenza dei ceceni è documentata in alcune immagini che provengono da Raqqa, “capitale” del califfato, ma anche in diverse foto dei combattimenti lungo il fronte di guerra da Aleppo a Kobane, e fino a Mosul, in Iraq. Anche i tratti somatici in parte asiatici del miliziano che fa uccidere a un bambino due “spie” russe (e che sarebbe poi stato colpito durante un raid della coalizione internazionale) possono far pensare a un origine caucasica.
Allenati a giocare al gatto col topo con l’Fsb, i potenti servizi segreti russi, i ceceni costituirebbero dunque anche il tramite per le cellule di combattenti di ritorno in Europa, motivo per il quale Putin preme per poter partecipare alla guerra globale del terrorismo.