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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

INTERVISTA A FERDINANDO IMPOSIMATO, IL MAGISTRATO DELLE “STRAGI IMPUNITE”


La strage del Rapido 904 resta un mistero, a trent’anni di distanza. Perché, secondo lei?
«La strage del treno 904 del 23 dicembre 1984 fu una strage “politica”, a mio parere, e non di natura criminale quanto agli obiettivi e agli scopi. Si tratta di un evento tragico che mi tocca indirettamente, poiché venne attribuita a un mafioso del calibro di Pippo Calò, condannato con sentenza definitiva e ad esponenti della eversione nera che erano particolarmente attivi negli anni Settanta e Ottanta. In realtà lo stesso Calò, poi condannato per l’assassinio di mio fratello Franco e il tentato omicidio di mia cognata Maria Luisa, si è sempre dichiarato innocente per quella strage, che in verità non aveva alcun senso per Cosa Nostra, come le stragi di Firenze, Milano e Roma».

Lo stesso iter processuale ha visto condannati e poi assolti camorristi come Giuseppe Misso. In anni recenti si viene a scoprire, attraverso le dichiarazioni di alcuni pentiti, che il mandante è stato Totò Rima. Chi sono, a suo dire, i veri responsabili?
«Al di là delle condanne e delle assoluzioni, l’eccidio del 1984 rientra a pieno titolo nel capitolo delle stragi impunite di cui mi sono occupato nel libro La Repubblica delle stragi impunite. Si tratta di stragi in cui la criminalità organizzata ha agito su mandato di entità esterne per condizionare la normale dinamica politica nel nostro paese. Essa somiglia, ad esempio, alla strage di via dei Georgofili, commessa sicuramente dalla mafia, ma per conto di politici estranei a Cosa Nostra. Spatuzza, che fu partecipe della strage, disse che non sapeva della esistenza della Galleria degli Uffizi, che fu oggetto della strage».

Quella del Rapido 904 è una delle tante stragi di Stato rimaste impunite, ma anche passata sempre in secondo piano rispetto alle altre come Bologna o via dei Georgofili. Perché?
«Si trattò, sì, di una strage di Stato ma in cui la componente mafiosa fu marginale rispetto a quella camorristica, anche se il meccanismo fu identico: creare terrore. In verità allora c’era il governo di Bettino Craxi, che non andava a genio a forze esterne al nostro paese che avevano il terrore di un avventò dei comunisti al Governo, dopo il trionfo del PCI alle Europee con lo storico sorpasso del Partito comunista italiano che raggiunse, il 33,3% rispetto alla DC, che restò invece al 33%. Ricordo che Enrico Berlinguer, di cui ero amico, era molto preoccupato per questo sorpasso, ben conscio lui stesso che il PCI, benché ormai fuori dell’orbita di Mosca, a seguito della nascita dell’eurocomunismo, sapeva che le forze conservatrici italiane e straniere non avrebbero mai tollerato una vittoria del PCI alle Politiche nazionali. Ed infatti il PCI nel 1986 subì una sonora sconfitta, passando dal 33 al 26,6% mentre la DC tornò a primeggiare col 34 %».

Che cosa ricorda di quel momento storico e in che modo influì, secondo lei, nel massacro del 23 dicembre 1984?
«Ripeto: anche l’avvento di Cossiga significò un trionfo della destra, anche se Cossiga ebbe pure i voti della sinistra istituzionale. Il sogno di Aldo Moro di una partecipazione delle masse popolari al governo del paese tramontò così definitivamente».

Lei ha scritto il libro La Repubblica delle stragi impunite. Perché, secondo lei, in Italia le stragi restano impunite?
«Perché esiste una forza interna allo Stato, la stessa che compie le stragi, che impedisce l’accertamento della verità: lo Stato non processerà mai se stesso».

Quale fu, a suo dire, il ruolo dei Servizi segreti? E quello della politica?
«I Servizi segreti non hanno mai agito come entità portatrici di progetti eversivi propri, ma sempre al soldo della politica e di forze internazionali, come Stay Behind, che esiste ancora».

Perché si deve ricordare, secondo lei?
«Si deve ricordare la stagione delle stragi perché essa segna sempre in senso conservatore la dinamica politica del nostro Paese».