varie, 16 gennaio 2015
ARTICOLI SUL QUANTITATIVE EASING DAI GIORNALI DI GIOVEDI’ 15 E VENERDì 16 GENNAIO 2015
ALESSANDRO MERLI, IL SOLE 24 15/1/2015 -
La Corte europea di giustizia ha dato ieri il via libera al piano anti-crisi Omt, lanciato due anni fa dalla Banca centrale europea per soccorrere i Paesi dell’eurozona in difficoltà e finora mai utilizzato.
La pronuncia dovrebbe sciogliere i dubbi sui margini di manovra della Bce nel varare la settimana prossima l’atteso acquisto di titoli pubblici, il cosiddetto quantitative easing (Qe), senza incorrere in limitazioni di tipo legale. In un’intervista al settimanale tedesco “Die Zeit”, il presidente della banca, Mario Draghi, ha nuovamente lasciato intendere che è pronto per l’annuncio, anche se le modalità sono ancora da definire. «Tutti i membri del consiglio – ha detto Draghi – sono totalmente impegnati al rispetto del nostro mandato. Naturalmente, ci sono differenze su come questo dovrebbe essere fatto, ma non è che abbiamo un numero illimitato di opzioni». Draghi ha ripetuto anche che l’euro è «irreversibile».
Uno degli avvocati generali della Corte europea di giustizia, Pedro Cruz Villalon, ha sostenuto nella sua opinione (alla quale farà seguito, fra qualche mese la sentenza definitiva, che di solito ricalca il parere) che il piano Omt era «necessario» e che «in principio» è in linea con la legislazione europea. Il caso era stato inviato alla Corte del Lussemburgo dalla Corte costituzionale tedesca, che aveva invece rilevato diversi aspetti in cui l’Omt potrebbe essere in contrasto con i Trattati europei. La Corte tedesca si è riservata di riprendere la questione dopo la pronuncia del foro europeo e molti euroscettici tedeschi, dal presidente di Alternative fuer Deutschland, Bernd Lucke, all’economista Hans-Werner Sinn, sostenevano ieri che si profila un conflitto fra le due corti.
Nel suo parere, diffuso stamattina, Cruz Villalon sostiene che la Bce deve poter godere di «ampia discrezionalità» nel decidere e mettere in atto la politica monetaria dell’eurozona, un aspetto sottolineato nei primi commenti dal membro del consiglio esecutivo della Bce, Yves Mersch. L’avvocato generale della Corte europea afferma che i giudici «devono esercitare un notevole grado di cautela quando sottopongono a revisione l’attività della Bce, in quanto non hanno il know-how e l’esperienza che la banca ha su questi temi». Un’osservazione che può essere interpretata come un richiamo ai colleghi tedeschi.
La Bce comunque, secondo il giudice europeo, deve assicurarsi che il piano Omt resti un intervento di politica monetaria e non la coinvolga negli aiuti finanziari ai Paesi coinvolti. Un’osservazione che può essere letta come un’indicazione alla banca di tenersi fuori dalla troika (formata anche da Commissione europea e Fondo monetario), che finora ha negoziato con i Paesi in crisi. L’Omt prevede che la Bce possa acquistare titoli di un Paese in crisi, solo una volta che questo abbia concordato un piano di aiuti e un programma economico con le autorità europee. Cruz Villalon chiede anche che l’istituto di Francoforte precisi meglio, nel caso che il piano venga messo in atto, le circostanze straordinarie nelle quali viene adottato e le ragioni della sua applicazione.
Anche se formalmente i due casi sono distinti, il via libera all’Omt scioglie di fatto molti dubbi su eventuali limiti di carattere giuridico al Qe, che a sua volta comporta l’acquisto di titoli pubblici, anche se in questo caso di tutti i Paesi dell’eurozona e con l’obiettivo di impedire la deflazione. Una decisione è attesa il prossimo 22 gennaio, ma i termini del Qe sono ancora in discussione all’interno del consiglio, dove c’è una forte opposizione, soprattutto da parte del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e dall’altro membro tedesco, Sabine Lautenschlaeger, oltre che dal governatore della Banca centrale olandese, Klaas Knot. Anche se, nel caso Omt, la Corte ha riconosciuto che gli interventi non sono sottoposti a un tetto, è probabile che nel Qe, proprio per ridurre i contrasti, la Bce accetti di limitare l’importo. Qualsiasi decisione prenda è probabile che vada incontro ad altri ricorsi in Germania.
Alessandro Merli
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DONATO MASCIANDARO, IL SOLE 24 ORE 15/1/2015 -
Il comunicato della Corte europea di Giustizia, unito ai dati sulla deflazione in Europa, elimina ogni ragione legale ed economica per opporsi ad una politica monetaria europea non convenzionale.
Una politica basata su acquisti di titoli pubblici (Qe), che abbia come obiettivo un ritorno alla stabilità monetaria. Anche i cosiddetti falchi dovrebbero volere un Qe, nell’interesse collettivo dell’Europa e dei singoli Paesi, inclusa la Germania. La decisione dovrebbe concentrarsi sulle modalità del Qe, per gestire al meglio la compresenza dei diversi rischi che tale operazione comporta.
Ieri è stata resa nota quella che sarà la posizione della Corte europea di Giustizia sulla legittimità dell’operato della Banca centrale europea (Bce) se mai decidesse di attuare quando annunziato il 6 settembre 2012, vale a dire un programma di intervento straordinario di politica monetaria, in una situazione di crisi finanziaria da debito sovrano (operazioni Omt), al fine di perseguire il suo mandato, cioè tutelare il valore dell’euro – inclusa l’esistenza stessa della moneta europea.
L’operazione Omt si tradurrebbe in acquisti sul mercato dei titoli pubblici dei Paesi sovrani in difficoltà, alle stesse condizioni di qualunque altro acquirente e senza limiti quantitativi prefissati. Due paletti fondamentali: per ridurre i rischi di perdite, le operazioni Omt privilegerebbero i titoli a più breve scadenza e, allo stesso tempo, per ridurre il rischio inflazione, l’impatto sulla liquidità sarebbe completamente sterilizzato. Alla Corte europea è stato chiesto - da parte di istituzioni e privati cittadini tedeschi - se una Omt possa essere considerarsi una operazione di politica monetaria, e se essa non violi il divieto che la Bce finanzi un Stato membro. La risposta della Corte è che l’Omt può essere una politica legittima, purché la Bce: a) chiarisca il nesso tra l’operazione e il suo mandato; b) l’assunzione di rischio da parte della Bce non sia eccessiva; c) il rischio di innescare comportamenti opportunistici nei mercati e quindi negli emittenti pubblici sia controllato; d) non ci sia nessun finanziamento diretto del Paese (o i Paesi)in difficoltà.
La risposta della Corte dà direttive importanti anche per un possibile Qe. La Corte ci dice che acquisti di titoli pubblici da parte della Bce possono essere legittimi, a una serie di condizioni. La condizione fondamentale è la coerenza con il mandato della Bce, cioè la tutela della stabilità del valore dell’euro. Qual è oggi la situazione?
Gli ultimi dati ci dicono innanzitutto che il tasso di inflazione europeo è negativo: è la prima volta che succede dall’ottobre 2009. Inoltre sono 23 mesi di seguito che il tasso di inflazione è sotto l’obiettivo del 2%. La disinflazione può essere buona, neutrale o cattiva a seconda che il rischio che inneschi una spirale negativa nelle aspettative sia nullo, basso o alto. Se il 22 gennaio almeno la maggioranza del consiglio della Bce valutasse questo rischio concreto, l’avvio di una operazione Qe soddisferebbe la prima condizione di legittimità.
Ma come verrà valutato questo rischio? Tutta l’attenzione è puntata sui cosiddetti falchi. Se io fossi un falco, continuerei a guardare la classica regola di politica monetaria che lega i tassi di interesse all’andamento dell’inflazione e della crescita. Anche quando i tassi sono zero – come oggi – quella regola mi dice quanto è espansiva la politica monetaria della Bce. Ebbene: con il prolungato ristagno dei prezzi e dell’economia la regola mi dice che l’espansione monetaria nel periodo Draghi ha avuto il suo massimo all’inizio - novembre 2011 - e poi è andata affievolendosi, perché la situazione non migliorava, e i tassi al contempo raggiungevano lo zero. Con gli ultimi dati congiunturali, l’espansione monetaria è nulla.
Quindi, anche se fossi un falco, dovrei riconoscere che, se l’intonazione della politica monetaria deve essere espansiva – e questo neanche i falchi lo negano - occorre una operazione non convenzionale. Anche per una altra ragione: l’altro indicatore primario di espansione monetaria – la moneta stampata dalla Bce - ha raggiunto il suo massimo nel luglio 2012 – quasi 1.800 miliardi – per poi continuare a contrarsi fino a meno di 1.200 miliardi. Se tassi e moneta primaria scendono insieme, vuole dire che il sistema è sempre più bloccato dalla trappola della liquidità.
Se il rischio deflazione diventa rilevante, anche il falco tedesco dovrebbe preoccuparsi, per l’Europa ma anche per la Germania: una sorpresa deflazionistica fa salire in modo inatteso i salari reali, e gli effetti su competitività e crescita sono tutt’altro che scontati e positivi. A quel punto il Qe diviene una scelta di politica monetaria di cui non va più discussa l’opportunità, ma piuttosto il disegno delle modalità, anche per rispettare le altre condizioni evidenziate dalle Corte.
La vera sfida è riuscire a contemperare l’esigenza di affrontare il rischio deflazione – che porterebbe verso un disegno “radicale” del Qe – con quella di evitare eccessivi rischi in termini di perdite attese per la Bce e/o di distorsione nei comportamenti di mercati e governanti – che consiglierebbero approcci “standard” al Qe. Staremo a vedere.
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GIULIANA FERRAINO, CORRIERE DELLA SERA 15/1/2015 -
L’acquisto illimitato di titoli di Stato attraverso il programma Omt, annunciato (ma finora mai usato) dal presidente della Bce Mario Draghi nell’estate del 2012 per salvare l’euro, è compatibile «in linea di principio» con i trattati europei, «se vengono rispettate alcune condizioni», e rientra dunque nel mandato di politica monetaria della Bce. E’ il parere dell’avvocato generale della Corte di giustizia europea, Pedro Cruz Villalón, che dà un sostanziale via libera al Quantitative easing (QE) in stile americano, cioè l’acquisto massiccio di bond, debito sovrano incluso, che la Bce prepara da mesi e potrebbe essere votato già giovedì prossimo a Francoforte, quando si riunirà il Direttorio dell’Eurotower.
Il parere dell’Avvocato generale non è vincolante, ma di solito viene seguito dalla Corte di giustizia. Perciò, anche se bisognerà aspettare alcuni mesi per la sentenza, sembra ormai caduto l’ostacolo legale che avrebbe potuto frenare l’azione di Draghi. Da qui la reazione immediata sui mercati: l’euro è sceso al livello più basso da oltre 9 anni, giù fino a 1,1727 sul dollaro, anche se poi in serata è tornato sopra quota 1,18, mentre il rendimento dei Btp decennali ha toccato il minimo storico dall’introduzione della moneta comune, all’1,71%, per poi chiudere a 1,74% con lo spread intorno a 130 punti. I Bund tedeschi a 5 anni sono tornati negativi.
Ovvia l’esultanza all’Eurotower, che definisce il parere «una pietra miliare», precisando che l’Omt è «pronto e disponibile». L’opinione di Villalón chiarisce che «la Bce è la sola responsabile della definizione e dell’implementazione della politica monetaria», valuta Yves Mersch, membro del comitato esecutivo della Bce. Attraverso il portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, Berlino si limita a dire che il parere dell’Avvocato generale della Corte di giustizia europea porta «chiarezza» e «mette in rilievo la posizione di fondo del governo tedesco». All’attacco, invece, va il presidente dell’istituto tedesco Ifo, Hans-Werner Sinn, da sempre contrario e allineato con i 37 mila tedeschi che hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe definendo l’Omt illegittimo: dà «carta bianca alla Bce», così «si rischia di precipitare la zona euro in una grave crisi costituzionale», visto che il parere «ha clamorosamente contraddetto la Corte costituzionale tedesca».
Di fatto, nelle sue conclusioni, Villalón non solo legittima lo scudo antispread promesso da Draghi nel luglio 2012, quando in piena crisi dei debiti sovrani disse che la Bce avrebbe fatto tutto il possibile (il celebre «whatever it takes») per salvare la zona euro, ma rafforza l’indipendenza dell’Eurotower, che deve «godere di un ampio margine di discrezionalità». La motivazione? Ai tribunali manca «la specializzazione e l’esperienza di cui dispone la Bce», che perciò «deve godere di un ampio margine di discrezionalità nella programmazione e nell’esecuzione della politica monetaria della Ue. E il programma Omt «è una misura non convenzionale di politica monetaria». Anche se deve rispettare «determinate condizioni», ad esempio il divieto di finanziamento monetario degli Stati membri e specificamente il principio di proporzionalità.
Tolto di mezzo lo scoglio legale, l’ultimo ostacolo è rappresentato dall’opposizione in casa guidata dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Ma la Bce può prendere le sue decisioni a maggioranza.
Giuliana Ferraino
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DANILO TAINO, CORRIERE DELLA SERA 15/1/2015
Il 22 gennaio, la Banca centrale europea diventerà maggiorenne. Ha poco meno di 17 anni — è nata il 1° giugno 1998 — ma sta per lasciare la famiglia dei tutori e diventare indipendente. Mario Draghi, il suo presidente, la sta portando verso la maturità di chi risponde a se stesso e non alla volontà della madre più ingombrante, si chiami pure Germania, o della madre naturale, sia essa l’Italia: questo passaggio lo ha spiegato, difeso ed esaltato in una lunga intervista che viene pubblicata oggi da uno dei giornali più influenti della Germania, il settimanale Die Zeit . Parole rivolte innanzitutto all’opinione pubblica tedesca che spesso lo sospetta di essere un «agente italiano» nel corpo della banca dei 19 membri dell’Eurozona. Un’accusa, dice, che lo ferisce.
Giovedì prossimo, appunto il 22 gennaio, il Consiglio dei governatori della Bce deciderà quasi certamente di dare il via al tanto chiacchierato Quantitative Easing (QE) sovrano, cioè all’acquisto massiccio di titoli pubblici di tutti i Paesi dell’euro. Potrà essere fatto in diversi modi: si vedrà. Di certo, sarà un passo fondamentale sotto due aspetti. Il primo, di merito, consiste nel fatto che si tratta dell’intervento praticamente di ultima istanza, nel senso che poi non ce ne sono altri, per dare un colpo forte alle aspettative di deflazione, cioè di calo dei prezzi, che se diventassero stabili e di lungo periodo schiaccerebbero per anni a venire la crescita economica dell’area euro. Con conseguenze gravi anche sul piano politico.
Il secondo, di metodo ma non meno rilevante, è questo: nonostante politici, economisti e opinione pubblica della Germania siano contrari al QE sovrano e nonostante la Germania sia l’azionista più rilevante della banca centrale, la Bce darà la massima prova di indipendenza decidendo a maggioranza (quindi non all’unanimità), pensando agli interessi dell’intera Eurozona, non a quelli di un Paese o dell’altro.
Nell’intervista a Die Zeit , Draghi dice di essere ferito dall’etichetta di «agente» dell’Italia, di non accettarla ma di volere rispondere con i fatti. E il fatto è che il mandato della Bce è quello di garantire la stabilità dei prezzi, la quale al momento non c’è. Se infatti il target è un’inflazione annua inferiore ma vicina al 2% e al momento è invece negativa per lo 0,2% (a dicembre, anche a causa del crollo del prezzo del petrolio), la differenza è di almeno due punti percentuali: se questo scostamento fosse all’insù, nessuno avrebbe da criticare un aumento dei tassi d’interesse; se è all’ingiù, vale la stessa regola, solo che i tassi sono già a zero e quindi servono anche misure non convenzionali, ad esempio l’acquisto di titoli dello Stato come forma di creazione di liquidità. Nell’intervista, Draghi spiega che «il rischio di una deflazione è ancora basso ma maggiore di un anno fa»: le aspettative di inflazione dell’anno a venire erano storicamente in media dell’1,77%, nel 2013 sono scese all’1,08% e ora sono allo 0,37%. E la stessa caduta delle attese si verifica sui cinque e sui dieci anni prossimi.
Sulla base di questi numeri, il presidente della Bce dice che la scelta del QE è fatta per l’intera Eurozona, non per favorire Paesi economicamente deboli (ad esempio l’Italia) o per punire i risparmiatori tedeschi che non amano i tassi troppo bassi. Ammette di non essere riuscito ancora a spiegarlo a tutti ma ribadisce che non è questione di premiare uno o punire l’altro. Tutti sanno, dice, che nell’Eurozona questo è il momento per «una politica monetaria espansiva che accompagni la crescita». E aggiunge che tutti i membri del Consiglio dei governatori della Bce sono interamente d’accordo con la necessità di realizzare il mandato di stabilità dei prezzi (il quasi 2%).
Qui si apre un nodo importante. Giovedì prossimo, tra i membri del Consiglio — 19 governatori nazionali e sei membri del Consiglio esecutivo — qualcuno voterà contro: quasi certamente due tedeschi — Jens Weidmann e Sabine Lautenschläger — e probabilmente altri. Draghi ammette la presenza di opinioni diverse su come realizzare il mandato alla stabilità ma, aggiunge, le differenze dovrebbero essere limitate: «non abbiamo a disposizione possibilità infinite».
Si vedrà il 22. Fatto sta che l’intervista rientra nelle iniziative di preparazione del terreno per le scelte di grande rilievo che la Bce farà quel giorno. Argomentazioni rivolte soprattutto alla Germania, sospettosa di quello che accadrà: ancora ieri, il ministro delle Finanze di Berlino Wolfgang Schäuble ha sostenuto di non vedere pericoli di deflazione. Draghi dice di avere un buon rapporto di lavoro con Angela Merkel, anche se non lo definirebbe un’amicizia. E sa che anche in Italia e in altri Paesi europei ci sono pregiudizi nei confronti della Germania. Ma si rivolge anche ai governi del Sud del continente, per dire che la politica monetaria da sola non basta, che servono le riforme e che il tutto funziona solo se aumenta la produttività e non si crea un livello insostenibile di indebitamento. Il tutto in un quadro di euro «irreversibile»: realtà positiva anche per Paesi come la Grecia, che se dovesse abbandonarlo dovrebbe comunque fare le stesse riforme e in più, a causa della svalutazione, dovrebbe alzare i tassi d’interesse e probabilmente soffrire ancora più di oggi.
Un Draghi europeo che non rinnega di essere italiano, di avere studiato negli anni della contestazione studentesca romana (con convinzioni liberal-socialiste) e di tornare volentieri in Italia. Ma che allo stesso tempo ha in mente prospettive più ampie. Grazie alla vita non sempre facile. Al padre che parlava tedesco quasi come l’italiano e che gli ha insegnato il valore del «duro lavoro» e del seguire le proprie convinzioni «con coraggio». Grazie agli studi in America, all’Mit con cinque professori Premi Nobel per l’Economia: Franco Modigliani, Paul Samuelson, Bob Solow, Robert Engle, Peter Diamond. E al fianco di studenti come Paul Krugman, altro Nobel, e Ben Bernanke, presidente dell’americana Fed fino a pochi mesi fa.
Italiano, europeo, internazionale anche a costo di portarsi dietro da un paio di decenni il nomignolo «Mister Qualchealtroposto». Torna in Italia quando il lavoro alla Bce è finito. Viaggia perché questo è il compito del presidente della seconda banca centrale del mondo. Ma considera Francoforte, sede della banca, il centro della politica monetaria e finanziaria dell’Europa e la sua posizione un lavoro da portare fino in fondo, tanto da rifiutare ogni possibilità di succedere a Giorgio Napolitano in Italia. Tutto nonostante le critiche che gli arrivano da destra e sinistra (non si vincono elezioni evocando il suo nome, lo sa).
La settimana del passaggio alla maturità e alla piena indipendenza della Bce è iniziata. Draghi sta per fare il passo: vuole che funzioni.
Danilo Taino
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ROSARIA DIMITO, IL MESSAGGERO 15/1/2015 -
Prima, tra fine novembre 2008 e marzo 2010, poi fra novembre 2010 e maggio 2011, la Fed allora guidata da Ben Bernanke spese in tutto 2.000 miliardi di dollari in titoli di stato Usa a lunga scadenza: l’obiettivo, disse il governatore, non era finanziare l’amministrazione, ma contrastare i rischi del crollo dei prezzi.
In queste settimane nell’eurozona, i prezzi sono caduti vicino allo zero, siamo in deflazione, l’imminente blitz della Bce di Mario Draghi vuol essere un toccasana per stabilizzare i prezzi. C’è chi fa un parallelo con le due manovre dell’ex numero uno della banca centrale Usa di qualche anno fa, per trovare una chiave di lettura sulla mossa che il consiglio direttivo di Eurotower varerà giovedì 22. I giochi sono aperti, di sicuro il presidente della Bce sta alla finestra a guardare, mentre per suo conto, altri stanno conducendo sondaggi per confezionare una posizione unitaria o di larga maggioranza.
INVESTMENT GRADE
Draghi potrebbe spendere anche più dei 500 miliardi in agenda, arrivare a quota 750, con un’operazione di condivisione del rischio che verrebbe ripartito in proporzione alle quote di capitale detenute dai singoli stati (la Germania ha il 26%, l’Italia il 18%), scegliendo titoli investment grade e con una durata degli acquisti non prefissata ma indicizzata all’inflazione: quindi fino a quando non si dovesse raggiungere un livello prefissato (per esempio 1,8%) il programma resterebbe in piedi.
Ci sono 2-3 banchieri italiani che hanno frequentazioni regolari con Draghi. E chi ha avuto modo di parlargli di recente a Francoforte, dove si è recato in occasione degli incontri bilaterali banche-Bce sugli sprep (processo di revisione della vigilanza) ha capito le sue intenzioni. Ma il capo dei banchieri centrali si sarebbe mantenuto una soluzione alternativa o «di emergenza» che sfocerebbe nell’ultimo dei compromessi ai quali vorrebbe ricorrere perchè lascerebbe con l’amaro in bocca i mercati: annunciare la decisione del varo di un programma di acquisto di titoli di stato, rinviando a un secondo tempo, le modalità. Questa soluzione estrema consentirebbe di scavalcare le elezioni in Grecia del nuovo presidente della Repubblica, in programma domenica 25 ed evitare che la scelta di una tipologia di titoli o dell’altra (in pratica comprare Sirtaki bond o non comprarli) possa condizionare l’esito della tornata elettorale. «I tedeschi devono capire che la Bce fa una politica pan europea», ha spiegato ieri il banchiere italiano che, ormai con cadenza quotidiana, sta distillando l’intenzione di non voler perdere altro tempo e utilizzare il bazooka che, per la prima volta, ha annunciato nell’estate 2012. Il 26 luglio da Londra, infatti, proclamò: «La Bce farà di tutto per salvare l’euro». E poi, poco prima di San Silvestro dello stesso anno con tre parole («Credetemi, sarà abbastanza») galvanizzò le borse per qualche settimana nell’aspettativa di un’iniezione di liquidità pari almeno a 1.000 miliardi di euro.
Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti, il fronte guidato da Jens Weidmann ha sempre contrastato ogni azione. A parte il governatore tedesco e qualche altro adepto, gli altri potrebbero accettare soluzioni mediane. Ed è quello che stanno cercando di confezionare l’economista Peter Praet, nato a Herchen (Nord Reno) da padre belga e madre tedesca, uno dei 20 membri del consiglio della Bce e Vitor Constancio, vicepresidente: entrambi appartenenti alla maggioranza di Draghi, sarebbero al lavoro per uscire dal guado.
Rosario Dimito
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ALESSANDRO MERLI, IL SOLE 24 ORE 16/1/2015 -
Di sicuro, sui mercati finanziari, c’è soltanto che la Banca centrale europea, dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, si è finalmente decisa a comprare titoli di Stato su larga scala, il quantitative easing, o Qe, per stimolare un’economia asfittica e arginare il rischio deflazione.
Un sondaggio condotto ieri dall’agenzia Reuters fra operatori di mercato e investitori rivela che la quasi totalità degli interpellati si aspetta un annuncio dopo la riunione di consiglio di giovedì prossimo a Francoforte. Ma una serie di dettagli decisivi, dall’importo dell’operazione, al mix di titoli, alle modalità di ripartizione del rischio, il vero punto critico, verranno decisi solo dopo la discussione in consiglio, dove permane una frangia di dissenso tutt’altro che marginale. E toccherà probabilmente alla sensibilità del presidente Mario Draghi spingere per soluzioni più o meno radicali, a seconda dell’equilibrio che riuscirà a trovare fra un disegno delle misure che le renda efficaci e la ricerca del consenso più ampio possibile. La sua dichiarazione di due anni fa, di voler fare «tutto il necessario» per salvare l’euro, verrà messa un’altra volta alla prova.
Sciolto il dubbio sul “se” si farà il Qe, cominciano a definirsi le opzioni sul “come”. L’intenzione annunciata dalla Bce il mese scorso è di far crescere il proprio bilancio di circa mille miliardi di euro, in altre parole di stampare moneta, visto che i tassi d’interesse, a zero, sono ormai inutilizzabili. È possibile che la settimana prossima la Bce faccia riferimento di nuovo a questa cifra piuttosto che a un importo fisso per il Qe. L’altra possibilità, di annunciare acquisti di titoli mensili fin quando non si raggiunga l’obiettivo di avvicinare l’inflazione al 2% (come ha fatto la Federal Reserve con la disoccupazione al 6,5%) è complicata dalla difficoltà di definire il raggiungimento di quest’obiettivo nel medio termine. In questo modo la Bce dovrebbe puntare, secondo la maggior parte degli economisti di mercato, a comprare titoli di Stato per almeno 500 miliardi di euro, dato che il resto dell’espansione di bilancio dovrebbe venire dalle misure già annunciate, come i prestiti Tltro alle banche e gli acquisti di covered bond e Abs, cui potrebbero aggiungersi altre attività, come obbligazioni di enti europei e societarie. Il bersaglio grosso, comunque, è il debito pubblico, un mercato da circa 7mila miliardi di euro, nel quale nel 2015 si prevedono emissioni lorde per 900 miliardi. I mercati sono convinti che la Bce possa procedere per correzioni successive, ricalibrando importi e modi, come in fondo ha fatto la Fed, che al Qe1 ha fatto seguire il Qe2 e il Qe3.
Perché la verità, e lo ammettono anche alla Bce e nelle altre banche centrali europee, è che nessuno è sicuro dell’effetto che il Qe avrà sui mercati, sull’economia e soprattutto sull’inflazione. Quest’ultimo potrebbe essere anche modesto, almeno in un primo tempo. Dentro e fuori la Bce, invece, quasi tutti contano che si abbia un impatto forte sul calo dell’euro e questo possa poi indirettamente aiutare crescita e prezzi. Il Qe della Bce è un semplice gioco sul cambio, ha detto nei giorni scorsi Tim Adams, capo dell’Iif, l’associazione delle grandi banche internazionali.
Il mix dei titoli da comprare rifletterà probabilmente le quote dei Paesi nel capitale della Bce, il che vorrebbe dire (su 500) 129 miliardi di Bund tedeschi, 101 di titoli francesi, 88 italiani, 68 spagnoli. Troppa Germania, considerato che i rendimenti dei Bund fino a 5 anni sono già a zero e a 10 anni sono ai minimi storici, ma la ripartizione alternativa, secondo la dimensione del mercato, vorrebbe dire troppa Italia (132 miliardi) per essere digerita dai tedeschi. Più complesso combinare i due criteri. Scartata probabilmente l’ipotesi di comprare solo titoli tripla A (ancor più Germania), ci si dovrebbe orientare sui titoli investment grade, quindi con l’esclusione dei soli Grecia e Cipro, fatta salva, forse, come si fa per il collaterale, l’applicazione di un programma economico. Quello greco sta per scadere e proprio tre giorni dopo il consiglio Bce ad Atene si andrà a votare: sull’inclusione della Grecia nel Qe è possibile un rinvio a quando l’orizzonte politico e del debito sarà più chiaro.
Il vero nodo della decisione sarà la ripartizione del rischio del Qe: la prassi della politica monetaria vorrebbe che fosse condiviso. Se riterrà che possa servire ad aumentare l’importo o ad accelerare gli acquisti (500 miliardi su un anno, invece che due, lo renderebbero simile al ritmo del Qe3 della Fed), Draghi potrebbe spingere il compromesso ventilato dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, di tenerne sui libri della Bce solo una parte, lasciando il resto alle banche centrali nazionali, che acquisterebbero i titoli dei rispettivi Paesi. Un segnale negativo di frammentazione, un rischio di nuovo allargamento degli spread, se non subito, alla prima crisi. Ma un prezzo che Draghi potrebbe voler pagare alla ricerca del consenso. Su mercati dove ha creato grandi aspettative, sarà un esercizio difficile evitare la delusione.
Alessandro Merli
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