Francesco Orsenigo, Focus 1/2015, 14 gennaio 2015
DIRIGIBILI ALLA RISCOSSA
Studiare la cappa di inquinamento che sovrasta le megalopoli. Tenere sotto controllo l’evoluzione degli uragani volando sull’occhio del ciclone. Osservare le stelle restando al di sopra dell’atmosfera e delle sue “interferenze”. Tutte ricerche che in un prossimo futuro gli scienziati potrebbero fare recuperando i giganti che hanno fatto la storia dell’aviazione: i dirigibili. In una versione modernizzata: aerostati hi-tech in grado di portare telescopi e altro equipaggiamento scientifico e di volare anche nella stratosfera, ad altezze tra i 15 e i 50 km.
CONCORSO NASA. Lo sponsor della riscoperta dei dirigibili potrebbe essere la Nasa, attraverso un concorso, che sarà probabilmente bandito già nel 2015: l’Agenzia spaziale Usa sta valutando le modalità e pensa a un premio di 1,5 milioni di dollari. Andrà a chi avrà realizzato un dirigibile teleguidato capace di stare in volo per 20 ore a una quota di 20 km (il doppio di quella tenuta da un aereo di linea) e trasportando un carico di 20 kg. La competizione, battezzata “20-20-20 Airship Challenge”, vuole incentivare industrie aerospaziali e privati a sviluppare questi mezzi. Come mai tanto interesse in questi aerostati, usati per il trasporto di passeggeri fino agli Anni ’30, ma poi relegati soprattutto a usi turistici o pubblicitari? L’idea arriva dagli scienziati, in cerca di mezzi “d’alta quota” economici e affidabili per raccogliere dati. Uno studio del Keck Institute for Space Studies di Pasadena (Usa), pubblicato nel 2014, ha evidenziato che i dirigibili possono essere una piattaforma perfetta se inviati nella stratosfera. Portando strumenti per l’astronomia, per esempio. «Un punto d’osservazione a 20 km di altezza taglierebbe fuori il 95% dell’atmosfera, che “sfoca” le immagini percepite da terra. E farebbe riguadagnare una parte dello spettro visivo che viene assorbito dagli strati d’aria», spiega Jason Rhodes, del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, fra i coordinatori dello studio.
PIÙ RICERCHE. Dello stesso parere è Sarah Miller, astrofisica dell’Università della California: «Avremmo una piattaforma di osservazione di tipo spaziale, ma senza i costi dei satelliti. E le possibilità di usare questi ultimi sono comunque poche: i dirigibili ci darebbero molte più opportunità per fare ricerche sul cosmo, dalle prime stelle alla materia oscura». Oltre ai telescopi, sarebbe possibile caricare a bordo tanti altri strumenti. «Climatologi e studiosi di scienze della Terra potrebbero monitorare l’ambiente, anche volando a quote più basse», dice Rhodes. I vantaggi? I dirigibili sono manovrabili, avendo motori e organi di stabilità (in questo si differenziano dai semplici palloni, usati per esempio per portare strumenti di misura meteorologici), e affidabili nel riportare il prezioso carico a terra. «Con un velivolo in grado di “galleggiare” nell’aria e di restare in volo per giorni o settimane, gli scienziati potrebbero raccogliere anche dati che non si possono ottenere né da satelliti né da misurazioni al suolo», dice Miller. Gli usi? Dalla raccolta di campioni d’aria (che già è fatta anche con dirigibili a bassa quota) all’analisi di nubi vulcaniche. Ci sono però difficoltà tecniche da superare, per costruire dirigibili adatti alla stratosfera. Questi aerostati volano perché più leggeri dell’aria, gonfiati con gas come l’elio, ma a 20 mila metri le condizioni sono particolari: la pressione e la densità dell’aria sono minime, rispetto a quelle al livello del mare, e le escursioni termiche fra giorno e notte sono molto pronunciate. «L’involucro quindi dev’essere molto leggero e sufficientemente pieno di gas, per sostenersi in volo durante la notte, ma anche abbastanza robusto da non esplodere quando il calore del sole fa salire la pressione interna», spiega Steve Smith del Southwest Research Institute (Usa). Smith è stato tra i primi a portare dirigibili nella stratosfera per alcune ore: dall’HiSentinel20 (nel 2005) all’HiSentinel8O (2010), un grosso “sigaro” pieno di elio, lungo 60 metri e largo 14. Poi il ministero della Difesa americano, che aveva commissionato il progetto per scopi di ricognizione, ha interrotto i finanziamenti.
Prima degli scienziati, infatti, i protagonisti del rinnovato interesse per i dirigibili sono stati i militari. Per impieghi nella sorveglianza di vasti territori, o nel trasporto, anche a quote più basse. «Tra i progetti che hanno raggiunto una fase di sviluppo avanzata c’è il Lemv (Long endurance multi-intelligence vehicle), in grado di restare in volo per 16 giorni a 5.000 m di quota, ideato per l’impiego in Afghanistan», spiega Nicola Masi, presidente dell’Associazione Dirigibili Archimede. «Nel 2012 venne consegnato il prototipo, ma poi il programma fu annullato e il dirigibile rivenduto alla ditta che lo aveva costruito: la britannica Hav (Hybrid air vehicle), che ora lo vuole riconvertire per uso civile».
Ora il Lemv si chiama Airlander 10, aeronave finalizzata al trasporto pesante. La capacità di carico è stata decuplicata (da poco più di 1 a 10 t) e l’autonomia di volo ridotta a 5 giorni, con equipaggio. Le dimensioni di 92 m di lunghezza per 43,5 m di larghezza ne fanno oggi il velivolo più lungo del mondo. A differenza dei dirigibili “puri”, l’Airlander non è più leggero dell’aria ed è un “ibrido” tra pallone e aereo. I 38 mila m3 di elio racchiusi nel suo involucro di mylar, kevlar e altri materiali lo sostengono solo in parte; il resto lo fa la particolare forma aerodinamica dell’aeronave, che genera portanza come l’ala di un aereo. Con una velocità di crociera di 150 km/h, assicurata da 4 motori diesel da 350 cavalli, Airlander 10 è ancora un prototipo: la Hav conta di sfornare il prodotto definitivo nel 2016, a cui seguirà l’ancora più grande Airlander 50.
DOMANI, CARGO. Anche l’americana Worldwide Aeros vuole entrare nel settore del trasporto pesante: sta lavorando all’Aeroscraft ML866, lungo 169 m e in grado di trasportare fino a 66 t. Dovrebbe vedere la luce nel 2016: per ora sono state fatte prove di volo su un prototipo in scala 1:2 e a fine 2013 il costruttore ha firmato pre-accordi con compagnie di trasporto. L’obiettivo è avere una flotta di 22 aeronavi entro il 2020. Il loro punto di forza, sulla carta, è la manovrabilità. Le variazioni di altezza sono gestite da 4 camere d’aria: quando l’elio viene compresso in speciali serbatoi, queste sacche si gonfiano con aria dall’esterno che fa da “zavorra” e l’aerostato scende. Per riprendere quota, si diminuisce il volume delle sacche d’aria, aumentando così quello dell’elio. «I dirigibili da trasporto sono un’idea ricorrente. Il vantaggio è la possibilità di raggiungere luoghi non accessibili altrimenti, a velocità di crociera di 120-150 km/h», dice Cesare Cardani, docente di Strumentazione aeronautica al Politecnico di Milano. «Sarebbero però immensi, più soggetti a turbolenze e difficili da governare in prossimità del suolo. La possibilità teorica di realizzarli c’è, ma richiede un enorme impegno finanziario». Aspettando gli impieghi futuri, per ora i dirigibili continuano a essere usati per pubblicità, riprese aeree di eventi sportivi, giri turistici. E sorveglianza. La Aeros ha appena venduto un suo nuovo dirigibile (l’A40D “Sky Dragon”) a una società messicana per sorvegliare oleodotti e infrastrutture elettriche. E nel 2016 la Russia, che già usa questi aeromobili per controllare vasti territori, lancerà il monitoraggio delle zone artiche con dirigibili comandati a distanza.
Francesco Orsenigo