Pier Andrea Canei, Style 1-2/2015, 14 gennaio 2015
SPIKE LEE
(vedi appunti)
Una notte in aereo e un viaggio nella storia dell’arte, indietro di cinque secoli; Spike Lee, newyorkese, 57 anni, tra i massimi registi contemporanei (Malcolm X, 1992; La 25a Ora, 2002), si trova nella Galleria nazionale di Arte antica presso Palazzo Barberini, a Roma. Ad avergli suggerito la visita per sommi capolavori è l’attore/autore Massimiliano Finazzer Flory, che gli fa da guida e da anfitrione, avendolo invitato qui a una conferenza sotto le insegne del Gioco del Lotto (con quasi 19 milioni di euro dei cui fondi, è stato finanziato il recente restauro dello stesso Palazzo) prima di portarlo a Milano per l’UniversiDay Bocconi (ospite anche del Corriere della Sera). Le sue sneaker da basket policrome (linea Spizike, creata da lui assieme al mito del basket Michael Jordan, per Nike) cigolano su marmi non meno policromi. Si soffermano davanti al pasciuto, poderoso Enrico VIII di Hans Holbein; trotterellano ancora un po’; rallentano per il Caravaggio; e si arrestano davanti alle morbide forme della Fornarina di Raffaello, capolavoro di sensualità femminile. Impassibile nel suo Street style (tutto zippato tranne il berretto col logo della sua casa di produzione, 40 acres and a mule), la rimira. Poi, serissimo in volto, dice al fotografo di Style: «Se mi metto in posa con questa donna, che messaggio passa?». E poi, finalmente, si fa una risata.
Un quarto di secolo fa usciva sugli schermi il suo primo grande successo. Do the right thing, racconto (ambientato nella Brooklyn dove abitava) di tensioni razziali, e di soprusi polizieschi del tutto simili a quelli che di recente si sono verificati a Ferguson, Missouri, e a Staten Island, New York, causando agitazioni in tutt’America. Nel 1989, appena uscito, quel suo film lo andarono a vedere, al loro primo appuntamento, Barack e Michelle Obama; pensa che il presidente si sia perso qualche scena?
No, e Obama non ha bisogno di rivedere quel film: gli basta accendere la tv, o leggere un giornale, per capire che succede. Io sono un suo sostenitore. Ma il sistema giudiziario, e le forze di polizia, non funzionano oggi in America. Spesso mi si rivolge la parola come una sorta di portavoce dei neri: invece non sono portavoce di nessuno, e parlo a titolo personale. Però a seguire i disordini di Staten Island ci sono andato personalmente in bici, e so per certo che un sacco di gente è stufa, ha perso fede nella giustizia a causa delle decisioni sbagliate prese dalle giurie.
In rete ha messo un montaggio di scene di quel suo film intercalate con scene dai fattacci di questi giorni, riprese col telefonino da testimoni diretti. La sovrapposizione è impressionante. Ma col prossimo film, Da Sweet Blood of Jesus, è su un altro registro...
Do the right thing è ancora rilevante, perché lo dovrei rifare? Quello nuovo, per cui stiamo parlando con distributori italiani, è ispirato a Ganja & Hess, cult movie degli anni Settanta, una storia dai risvolti horror che parla di altri temi attuali, come la dipendenza. Da sangue, o droga, o soldi...
Lo ha finanziato ricorrendo a Kickstarter, una piattaforma web...
Sono sempre stato un indipendente; il crowdfunding via internet è uno strumento nuovo, e funziona. Prima non esisteva la piattaforma tecnologica ed era meno facile, ma i soldi a destra e a manca li ho sempre racimolati.
Una delle cose notevoli dei suoi film: lo stile va di pari passo con l’impegno sociale.
Non è una cosa marginale, voglio che i miei film siano appaganti sul piano estetico. Già da bambino avevo i gusti precisi: mi ricordo che ai piedi volevo le Converse. Eravamo nel 1965: la scelta era tra bianche o nere, e alte o basse. Ecco, io le volevo bianche, e basse.
Oltre alla love story con le scarpe, c’è quella con il basket, con la squadra newyorkese dei Knicks...
Un amore in crisi, come la squadra, Quest’anno ero andato a vedere la partita d’avvio prendendo un passaggio sul jet di amici: comodissimo. Poi, nove sconfitte di fila, il peggior inizio campionato della storia. Per la prima volta quest’anno mi sono perso un po’ di partite (ride)... apposta! L’italiano, Andrea Bargnani? Pare che sappia giocare, ma è sempre rotto. Danilo Gallinari, ottimo, è stato ceduto. Pessima mossa.
In Italia ha girato Miracolo a Sant’Anna. Che ricordi ha?
Tra le migliori esperienze della mia vita. Girare a Cinecittà, nello studio di Federico Fellini, e poi in Toscana, con un’ottima troupe italiana. Poi solo qualche spot, ma tornerei subito a fare altri film.
E quando è a Milano, dove fa shopping?
Tutto quel che c’è a Milano ce l’hanno pure a New York. Per la sartoria su misura mi piace andare da Ozwald Boateng a Savile Row, Londra. Ma il mio negozio è Flight Club, tempio delle sneaker a Manhattan. Io vivo nell’Upper East Side, vicino a Central Park, con mia moglie e i nostri due figli. La maggiore ha 20 anni e frequenta la NYU Film School; vuole produrre film.
La scuola di cinema dell’università di New York: lei ne è docente, e ha fatto esordire molti giovani talenti sul set. Cosa direbbe a chi vuole tentare la via del cinema, oggi?
A me, che in casa sono stato incoraggiato, viene da dire una cosa ai genitori: non ammazzate i sogni dei vostri ragazzi, bisogna lasciare che seguano l’inclinazione. Se fai qualcosa che ami magari farai fatica a sopravvivere, ma non sarai infelice. D’altro canto, è meglio non intraprendere la carriera artistica con l’aspettativa di far soldi.
Una cosa che si dice del suo ultimo film: ci sono scene molto sexy. Anche la seduzione torna spesso nel suo cinema...
Sì, ma seduzione non vuol dire sesso. Si può fare con la musica, la sceneggiatura, i personaggi. Il migliore film sulla seduzione comunque per me rimane Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Non tanto per la scena del burro, proprio nel suo complesso.