Robert Draper, National Geographic 1/2015, 13 gennaio 2015
PERVASA DA UNO SPIRITO IMPRENDITORIALE CHE HA RESO L’ECONOMIA NIGERIANA LA PIÙ GRANDE DEL CONTINENTE, IN AFRICA OGGI LAGOS È LA PRIMA CITT
A 15 anni David Adeotti lavorava in un internet café del quartiere operaio di Satellite Town, da dove era quasi possibile vedere gli scintillanti grattacieli dell’Isola di Lagos, a meno di 16 chilometri di distanza in direzione est.
Satellite Town era già un passo avanti per Adeoti, che è nato a Orile, un villaggio povero con strade allagate e case fatiscenti a nord di Lagos. Se è riuscito ad andarsene da lì è stato solo grazie alla sua conoscenza della tecnologia: l’internet café di Satellite Town apparteneva a un banchiere che, accorgendosi che il ragazzo aveva una predisposizione naturale per i computer, decise di affidargli la gestione del locale per poco più di 200 dollari al mese. Convinto che quella fosse solo una tappa della sua vita professionale, Adeoti spendeva tutti i soldi guadagnati per frequentare un istituto tecnico.
Un giorno, nel 2010, i clienti del café sollevarono lo sguardo dai monitor domandandosi chi fosse quell’uomo dal ricercato accento britannico che era appena entrato dalla porta. Si trattava di Jason Njoku, un londinese occhialuto di trent’anni che aveva deciso di trasferirsi nel paese dei suoi antenati. L’uomo chiese ad Adeoti di scansionare alcuni documenti. Mentre il giovane eseguiva la richiesta, l’elegante visitatore gli spiegò che era alla ricerca di investitori per avviare una nuova attività, e gli domandò se fosse soddisfatto del suo impiego. I due si scambiarono il numero di cellulare. Alcuni mesi dopo Adeoti contattò Njoku chiedendogli un lavoro e fu invitato a casa sua. Entrando nell’appartamento, Adeoti vide sei giovani accalcati dietro le loro scrivanie, intenti a battere sulle tastiere. Questa, spiegò Njoku, era la nuova attività di cui gli aveva parlato: una versione locale di Netfix per trasmettere film in streaming in Nigeria e far conoscere il cinema nigeriano nel mondo. Njoku aveva bisogno di qualcuno come Adeoti per convenire i DVD di Nollywood in video formato YouTube. Dall’ufficio improvvisato si capiva che il progetto non aveva grandi fondi a disposizione, ma Adeoti accettò il lavoro ugualmente, pensando che l’impresa avesse ottime possibilità di successo.
Ho conosciuto David Adeoti nella primavera del 2014: aveva 24 anni, indossava una maglia elegante e jeans firmati ed era seduto davanti a un portatile Mac nel lussuoso ufficio su tre livelli che oggi è la sede di iROKOtv, a Lagos. L’azienda di Njoku ha circa 80 dipendenti e sedi a Johannesburg, Londra e New York. Adeoti guadagna il doppio rispetto a quando gestiva l’internet café. Ma il contatto con tutto quel denaro e tutti quei film ha stimolato il suo appetito per entrambe le cose. «Vorrei aprire una mia attività, legata all’industria del cinema», dice. Così, ha cominciato a mettere soldi da parte per andare a Hollywood; vorrebbe diventare direttore della fotografia e magari, un giorno, dirigere una casa di produzione nigeriana.
«La strada per la ricchezza è ancora lunga», dice. Poi con un grande sorriso aggiunge: «Ma noi della classe media siamo lottatori. Tutti vogliono diventare molto ricchi di questi tempi».
In quasi tutti gli altri paesi in via di sviluppo, una simile aspirazione sarebbe solo una vana illusione. A Lagos, cuore commerciale della Nigeria, l’espressione “diventare molto ricchi” sembra invece essere diventata la parola d ordine di tutti. Il paese ha di recente ridefinito i parametri del PIL, includendo settori dell’economia che quasi non esistevano vent’anni fa. Di conseguenza, nel 2012 il PIL della Nigeria ha superato quello del Sudafrica e l’economia nigeriana è diventata la più importante del continente. In Nigeria oggi si contano circa 15.700 milionari e una manciata di miliardari, il 60 per cento dei quali vive a Lagos.
Come avviene in altre metropoli africane, in questa Lagos arricchita dal petrolio esiste da tempo un’élite a cui poco importa dello squallore che caratterizza la città nel suo complesso. I ricchi sono in aumento, ma lo è anche la classe media, malgrado la persistente diseguaglianza di reddito. Secondo un’indagine promossa nel 2013 da Ciuci Consulting, una società di marketing e strategia con sede a Lagos, la crescita della classe media nigeriana, soprattutto in questa città, è stimolata da settori in forte sviluppo tra cui quello bancario, quello delle telecomunicazioni e quello dei servizi. La classe media nigeriana, che nel 1990 comprendeva 480 mila persone, oggi ne conta 4,1 milioni (cioè l’11 per cento dei nuclei familiari).
Questa è una bella storia africana di successo. Sarebbe bello raccontare questa favola edificante facendo finta che non esista la cupa e demoralizzante saga dei terroristi nigeriani che ha rubato la scena mediatica a ogni storia positiva riguardante la Nigeria. Ma Lagos non esiste in un universo parallelo, e tantomeno il gruppo estremista islamico Boko Haram. Entrambi fanno parte di questa grande nazione dell’Africa occidentale in cui si incontrano uomini intraprendenti come Adeoti, ma in cui ci sono anche povertà, disperazione e violenza. Casomai potremmo considerare miracoloso il fatto che l’economia di Lagos continui a crescere nonostante il freno di quella stessa incompetenza a livello federale che consente al terrorismo di agire indisturbato. Una città più piccola ne avrebbe sofferto, e per certi versi ne soffre anche Lagos.
«Il problema di Lagos e della Nigeria è l’immagine. Questo è il guaio principale. A leggere quel che raccontano di ciò che succede qui, si direbbe sia una zona di guerra, come l’Afghanistan! Ma mi dica sinceramente: si è mai sentito in pericolo?».
No, confesso a Kola Karim, 45 anni, elegante multimilionario nonché amministratore delegato di Shoreline Energy International, un gruppo con interessi nei settori alimentare, energetico, delle telecomunicazioni e delle infrastrutture, con oltre 3.000 dipendenti. Mi sento piuttosto al sicuro a Lagos, ed è una piacevole sorpresa considerato che il giorno stesso in cui ho preso l’aereo per arrivare qui decine di persone sono morte per l’esplosione di una bomba in una stazione di autobus della capitale Abuja. Era solo l’ultimo, in ordine di tempo, di una serie di atti terroristici rivendicati da Boko Haram. Ma finora Lagos è stata risparmiata dagli attentati. La violenza sembra molto lontana.
«Poche settimane fa sono stato invitato alla Casa Bianca», prosegue, leggermente esasperato, Karim con un forbito accento inglese. «Eravamo in 21, giovani leader globali del Forum economico mondiale. E l’ho detto anche in quell’occasione: “Voi guardate le cose pensando solo alla sicurezza nazionale e non alla vitalità commerciale di un paese. Invitate gli imprenditori africani, ma chiedete soltanto notizie su al Qaeda. Perché mi fate perdere tempo a venire fin qui se devo sentire sempre le solite sciocchezze?”».
Karim non perde occasione per diffondere nel mondo la notizia del miracolo di Lagos, nel quale egli stesso ha svolto un ruolo importante. Più tardi una televisione francese lo riprenderà mentre gioca a polo per mostrare la ricchezza della città, mentre la settimana prossima andrà al Milken Institute di Santa Monica per parlare del settore energetico africano. Ha già tenuto conferenze analoghe alle università di Harvard e Yale, per quello che considera il «dovere morale di promuovere la Nigeria e Lagos». Quando gli dico scherzando che potrebbe guadagnare molto con queste attività, risponde con tono serio: «Comincerò a farmi pagare quando tutti conosceranno la nostra storia».
Eccola, la storia. Dopo secoli di regni tribali con sovrani territoriali e imperatori, dopo 99 anni di dominio coloniale britannico, la Nigeria ottenne l’indipendenza nel 1960. Fu governata a fasi alterne da capi di stato militari fino al 1999, quando finalmente nel paese si instaurò una traballante democrazia. Fra i 36 Stati che la compongono, quello di Lagos – che include l’omonima e caotica città portuale – è sempre stato il centro di potere del paese, anche quando la capitale federale fu trasferita ad Abuja, a 735 chilometri di distanza. Tuttavia, nei decenni di governo militare Lagos cadde in declino; scuole, strade e ospedali andarono in rovina e gli investitori occidentali si tenevano a debita distanza. Quando Karim ritornò in patria dall’Inghilterra nel 1996 per rilevare l’azienda di famiglia, attiva nel settore del cacao, quelli come lui erano pochi perché, come spiega, «in Nigeria non esisteva un’economia aperta e i servizi finanziari erano scarsi. All’epoca il capitale totale di una banca poteva arrivare forse a due milioni di dollari. Immagini di voler avviare un’attività a Lagos. Quanto denaro potrebbe prestarle una banca simile? Oggi, invece, le banche arrivano a prestiti di 500 milioni di dollari!».
Questo sviluppo esponenziale di Lagos è dovuto alla convergenza di due fenomeni. In primo luogo, dopo aver subito per anni politici incompetenti, i suoi abitanti hanno eletto due governatori che hanno saputo fare la differenza: nel 1999 l’ex contabile Bola Tinubu e nel 2007 il successore da lui indicato Babatunde Fashola, a cui si attribuisce il merito di aver contribuito a bloccare un’epidemia di Ebola a Lagos. Oltre ad aver riequilibrato il sistema fiscale, i due hanno migliorato le infrastrutture, costruendo ponti e autostrade. Nel frattempo, in una sorta di diaspora al contrario, molti nigeriani emigrati tornavano in patria. Quando la crisi economica ha investito l’Europa e gli Stati Uniti, Lagos è diventata la nuova frontiera degli imprenditori ambiziosi. Uno di loro, Lanre Akinlagun, racconta: «Quando ero ancora in Gran Bretagna, vedevo molti miei amici trasferirsi in Nigeria. Quando tornavano in visita, ci incontravamo in un bar e offrivano un giro di drink. Alla visita successiva ordinavano bottiglie di roba veramente costosa. Così mi sono detto: “Da quelle parti sta succedendo qualcosa!”».
Affacciata sulla costa atlantica, costruita attorno a una laguna e composta da un blocco di terraferma e da diverse isole, oggi Lagos è un ecosistema improvvisato, popolato da cercatori di ricchezza. Qui il turismo praticamente non esiste a Lagos si viene solo per motivi di lavoro eppure è un posto stranamente invitante, una città di ottimisti.
Ciò non significa che a Lagos la vita sia una passeggiata. Come tutte le città in espansione, fa fatica a stare al passo con se stessa. La popolazione cresce così in fretta e la mobilità è talmente alta che è impossibile stabilire con precisione quanti siano i suoi abitanti; secondo le stime si tratta di un numero compreso fra i 13 e i 18 milioni. Il commercio è concentrato nelle due piccole isole di Lagos e Vittoria, dove riescono a vivere solo i più ricchi. E mentre i costruttori si avventano sugli ultimi minuscoli appezzamenti di paludi, foreste e discariche (come nel caso del nuovo quartiere di Eko Atlantic, su nove chilometri quadrati di terra sottratta al mare), i cittadini ambiziosi si affannano per conciliare la consapevolezza del loro status sociale con i prezzi assurdi degli alloggi in centro e gli interessi del 20 per cento imposti dalle banche sui mutui. Quasi tutti alla fine si stabiliscono negli appartamenti sulla terraferma, il che significa sopportare ogni giorno anche più di due ore di viaggio nel traffico insostenibile per raggiungere il posto di lavoro. Qualcuno, pur di non affrontare l’incubo del ritorno, aspetta che sia passato il traffico dell’ora di punta in un bar, bevendo birra e fumando sigari insieme ai colleghi.
Un pomeriggio mi ritrovo seduto in uno di questi bar con una mezza dozzina di bancari trentenni ben vestiti, un gruppo di gentiluomini che si incontra quotidianamente e ha perfezionato l’arte di perdere tempo bevendo. Uno di loro, un tipo particolarmente loquace, mi racconta che un appartamento sull’Isola gli costerebbe quattro volte di più del suo alloggio sulla terraferma. «Se potessi permettermelo ovviamente vivrei sull’Isola», dice. «Finito il lavoro tornerei a casa, aiuterei i miei figli con i compiti, giocherei con loro al computer oppure porterei mia moglie a cena fuori. Durante la settimana non posso farlo mai».
Poi, per sdrammatizzare, si mette a ridere e ordina un altro giro.
STANDO A UNA RECENTE INDAGINE Condotta dalla banca d’investimento Renaissance Capital, il 76 per cento dei componenti della classe media nigeriana è ottimista riguardo al futuro del paese. L’atteggiamento fiducioso è molto radicato in Nigeria, in particolare a Lagos, terra di coloni e commercianti naturalmente predisposti all’operosità. Gli abitanti di Lagos si reputano più intraprendenti dell’africano occidentale medio. Un giorno Daniel Sunday, l’uomo che ho assunto per accompagnarmi in giro nelle mie tre settimane a Lagos, mi porta nel quartiere in cui è nato e cresciuto: Makoko, una fetida baraccopoli costruita su palafitte all’interno della laguna di Lagos, ironicamente definita “Venezia d’Africa”. Quando era adolescente Sunday ha abbandonato la povera casa della sua famiglia e ha poi trovato lavoro come bigliettaio di autobus.
Accontentandosi di dormire sul pavimento dell’ufficio del capo, dopo alcuni anni è riuscito a mettere da parte il denaro sufficiente per comprare un’automobile. Oggi è sposato, abita in una casa sulla terraferma e per due ore ogni mattina accompagna pazientemente clienti come me nei vari distretti commerciali. Sul suo biglietto da visita si legge il motto “In God I Trust”, versione personalizzata della dicitura stampata sui dollari americani.
«Quando a un nigeriano viene data un’opportunità, lui la sfrutta al meglio», sentenzia Onyekachi Chiagozie, 36 anni, mostrandomi con orgoglio la sua bottega da elettricista mobile. In realtà non c’è molto da vedere nel suo furgone senza sedili e con il parabrezza rotto. Chiagozie l’ha comprato usato per 4.300 dollari e lo usa per portare i suoi attrezzi in tutta la città, artefice e beneficiario al tempo stesso dello sviluppo edilizio di Lagos.
Un simile risultato sembrava impossibile per un giovane che a 18 anni faceva l’apprendista non pagato di un elettricista e sbarcava il lunario con ogni genere di lavoretto. Per qualche tempo ha persino dormito sui sedili di una fermata d’autobus. Possedeva soltanto i vestiti che indossava, ma dopo quattro anni aveva raggranellato i soldi necessari per affittare una casa minuscola a Ojota, quartiere di famiglie a reddito misto dove aveva lavorato come apprendista. «Risparmia, risparmia, risparmia: ho fatto tanti sacrifici che poi sono stati ripagati», ricorda. «Ho registrato la mia ditta. La gente della zona mi conosceva e mi chiamava per aggiustare una presa o perché una luce non si accendeva. I clienti hanno cominciato ad avere fiducia in me e così sono arrivati lavori migliori. Sistemare l’impianto elettrico di tutta la casa, oppure riparare gli sportelli bancomat e i condizionatori d’aria. E visto che a Lagos un ufficio costa molto, mi sono inventato la prima bottega mobile del paese».
Grazie alla sua Varied Pace Enterprises (“a ritmi vari”, strano nome per una ditta!), Chiagozie mi racconta raggiante che si è sposato, che ha una casa con tre camere da letto a Ojota e possiede un appezzamento di terra fuori città che reputa un saggio investimento. Mi guida attraverso il quartiere, indicandomi le case in cui stanno lavorando lui e i suoi due apprendisti. Insomma, il ragazzino della baraccopoli è riuscito a sfondare, regalando un’altra storia di successo a Lagos. Questa però non si è ancora conclusa, perché l’elettricista non si accontenta. «Guadagno bene, ma i soldi veri li fai al di là del ponte, sull’Isola», spiega. «Io però non conosco ancora le persone giuste per arrivarci».
Chi ha i contatti giusti è Banke Meshida Lawal. La incontro nel suo salone di bellezza, il BM Pro, sull’Isola di Lagos. La giovane truccatrice sta lavorando con una ricca cliente che è stata invitata a un matrimonio a Chicago. Visto che Lawal non potrà accompagnarla, una collega sta filmando la procedura e il video verrà poi inviato a una delle rappresentanti di BM Pro negli Stati Uniti che rifarà lo stesso trucco il giorno del matrimonio. Per questo lavoro Lawal sarà pagata più di quanto Chiagozie ha speso per la sua bottega mobile.
La truccatrice ha lo stesso spirito imprenditoriale e la stessa tenacia dell’elettricista, solo che lei è partita da un gradino più alto della scala sociale. Suo padre insegnava all’università e sua madre era radiologa. Lawal ha cominciato truccando le sue compagne di corso all’Università di Lagos in cambio di piccole somme. «All’epoca nessuno pensava che fare la truccatrice potesse essere una professione. Ma quando andavo in vacanza in Gran Bretagna compravo prodotti di tutti i tipi, e non mi perdevo un numero delle riviste femminili come Marie Claire e Cosmopolitan. Inoltre, ho studiato arte e ho imparato ad abbinare i colori e a disegnare linee perfette». Durante l’anno di servizio civile, che in Nigeria è obbligatorio per i giovani laureati, Lawal ha aperto uno studio piccolissimo nel ricco quartiere di Ikoy. Nel 2000 ha truccato le invitate alle nozze del figlio del nuovo presidente, un evento seguito dalla stampa, e in seguito ha aperto uno studio più grande. Molte celebrità hanno iniziato a richiedere i suoi servizi, che adesso includono acconciatura e manicure. Oggi BM Pro ha quattro filiali e 32 dipendenti. E Banke Meshida Lawal ha quello a cui aspira Onyekachi Chiagozie: è ben inserita nell’ambiente più facoltoso della città.
«So di lavorare nell’ambito del superfluo e del lusso», dice Lawal. «Le donne sanno truccarsi anche da sole, ma se vogliono qualcosa che le faccia sentire speciali per un giorno vengono da me. La nostra economia si basa sui contanti e qui c’è gente disposta a pagare contanti».
«Qui c’è un divario enorme tra ricchi e poveri», aggiunge con un sorriso mesto. «Io sono contenta di essere dalla parte di chi i soldi li guadagna».
È PASQUA, LA GIORNATA È SOLEGGIATA. Salgo a bordo di un motoscafo su un molo dell’Isola Vittoria e, dopo un’ora di navigazione lungo la costa, il pilota mi deposita davanti a un sentiero sterrato che conduce a una villa sulla spiaggia dove 200 giovani di Lagos ballano e bevono cognac.
Sono tutti vestiti di bianco, come richiesto nell’invito alla festa, almeno fino a quando un temporale si abbatte sul cortile e molti rimangono in costume da bagno e si tuffano in piscina. Sembra che si conoscano tutti: frequentano gli stessi locali oppure lavorano nello stesso settore, hanno studiato nella stessa università londinese o sono clienti del salone di bellezza di Lawal. Pochi, forse nessuno, hanno mai fraternizzato con lavoratori come Chaigozie, né sanno quanto abbia dovuto faticare per entrare a far parte della classe media.
Resto per ore accanto al dj che mette musica hip-hop osservando questo spettacolo di inaccessibile bellezza e ricchezza, una scena a cui potremmo assistere in quasi tutto il mondo, dalle colline di Hollywood agli Hamptons. Mi ritrovo però a pensare che non potremo mai assistere a una scena simile a oltre 1.000 chilometri da qui in direzione nord-est, nelle foreste della Nigeria settentrionale, dove appena sei giorni fa circa 200 studentesse sono state rapite da Boko Haram.
Gente benestante e gente in balìa dei banditi: come possono coesistere questi due mondi? Come è possibile che Lagos prosperi mentre la Nigeria del nord precipita nel caos? Individuare i collegamenti tra queste due realtà non è semplice, ma dopo un paio di settimane che giro per la città comincio a pormi altre domande: se la Nigeria è il primo esportatore di petrolio in Africa, come mai il carburante manca sempre, tanto che a Lagos la gente fa periodicamente la fila alle stazioni di servizio, aspettando anche quattro ore per un pieno di benzina?
Perché ogni edificio – non solo le case più povere sulla terraferma ma anche gli alberghi più eleganti dell’Isola di Lagos – deve fare affidamento sui generatori per avere l’elettricità giorno e notte? Perché i residenti continuano a pagare la bolletta della luce se non hanno mai elettricità? Perché la polizia istituisce dei posti di blocco la sera sui ponti ed estorce denaro ai pendolari? Perché gli accademici dell’Università di Lagos scioperano per interi semestri? Che c’è che non va?
Ciò che non va è la corruzione e visto che è largamente diffusa a livello federale, Lagos può fare ben poco per combatterla. I professori in sciopero e i poliziotti sottopagati sono dipendenti federali. La responsabilità del fatto che un gigante del petrolio come la Nigeria debba importare il carburante per soddisfare la domanda interna va attribuita al ministero del petrolio, che rimane impotente a guardare mentre le raffinerie del paese vanno in rovina e i distributori limitano la produzione per far aumentare i prezzi. Secondo Abike Dabiri-Erewa, eletta alla camera dei rappresentanti della Nigeria, la colpa delle interruzioni croniche di fornitura di elettricità in tutta la città è in parte dei burocrati di Abuja. «Non sfruttiamo appieno neppure i depositi di gas. Così le centrali elettriche non possono funzionare», aggiunge.
Prima di occuparsi di politica, Dabiri-Erewa era una giornalista televisiva. Adesso, in qualità di legislatrice federale, è una testimone diretta del genere di sfrenata corruzione di cui la Nigerian Television Authority, la rete televisiva di proprietà del governo per cui lavorava, non le aveva mai permesso di occuparsi. «È un problema molto grave», afferma con tono serio. «E i responsabili rimangono impuniti. Qualcuno che lavora nel governo possiede un jet privato. Un amministratore pubblico ruba un miliardo di naira [sei milioni di dollari] dai fondi per le pensioni e se ne va in giro liberamente. Nessun funzionario federale è mai stato punito per corruzione, nessuno! Qui a Lagos le persone si ingegnano ogni giorno per campare; vedi gente che sopravvive vendendo arance o schede telefoniche. Il nigeriano medio dovrebbe sentirsi demoralizzato per tutta questa corruzione».
La situazione è più che demoralizzante: una simile mancanza di scrupoli finisce col penalizzare i cittadini che lavorano duro, a meno che, ovviamente, non siano disposti a stare al gioco. Chiagozie mi ha raccontato che la corruzione influenza anche il suo lavoro. «La maggior parte degli elettricisti come me cerca di lavorare con gli appaltatori. Ma alcuni di loro non sono neppure ingegneri», spiega. «Magari fanno gli insegnanti o qualcos’altro, però hanno un fratello che lavora nel governo. Così quando ottengono un appalto pagano un subappaltatore che può mettersi in tasca un sacco di soldi utilizzando materiali scadenti. E nessuno si rivolge a me perché io insisto nel voler usare materiali di buona qualità. Se non lo facessi, l’edificio potrebbe crollare, finirei con l’essere arrestato, privato della licenza e costretto a pagare i danni. Succede spesso».
Chiedo a Kola Karim se la cattiva reputazione del governo federale induca cautela negli investitori occidentali. L’esperto industriale lo liquida come un falso problema. Le aziende fanno affari con altre aziende, non con i burocrati, precisa. «Cosa fa il governo se non imporre nuove tasse?», aggiunge. «Guardi, qui non si tratta più di chi governa. Lagos è un treno in corsa che può essere rallentato ma non fermato. Per cui, non importa chi sarà il prossimo presidente. Questo è il bello della democrazia! Goodluck Jonathan o no, qui si tratta di progresso! Dimentichi la politica!».
Lascio gli uffici della Shoreline pensando alle parole di Karim, un vero patriota che investe generosamente tempo e denaro nella causa nigeriana. È difficile rimproverargli la Ferrari gialla, o le case estive a Miami e a Marbella, o il fatto che i suoi figli, che vivono a Londra, abbiano poche probabilità di essere rapiti da Boko Haram. Eppure l’ha detto lui stesso: Lagos non può essere fermata, ma può essere rallentata, non è immune alle forze che paralizzano altre regioni meno fortunate della Nigeria. E quando faccio presente a Dabiri-Erewa che gli attacchi di Boko Haram hanno risparmiato Lagos, l’ex giornalista agita le mani e scuote la testa. Dopotutto, non si tratta di un gruppo terroristico nascosto in qualche regione isolata e preso di mira dai missili dei droni americani. Boko Haram è nato in Nigeria e colpisce con tremenda efficacia. «Non sappiamo dove agiranno la prossima volta», dice. «E mentre loro organizzano un nuovo attentato, il governo brancola nel buio».
PER ADESSO LA CITTÀ RIMANE SICURA, un buon posto per chi ha il coraggio di mettersi in gioco, un luogo in cui persino chi avrebbe tutti i motivi per essere disperato aspira a salire un altro gradino nella scala sociale. Qualcuno mi parla di un tipo che avrebbe un gran talento per procurarsi non è chiaro in che modo capi d’abbigliamento usati di marca, che vende in una bancarella in Market Street a pochi passi dal Nigerian Stock Exchange, la borsa di Lagos. L’allampanato venditore mi saluta, mi squadra dalla testa ai piedi, poi comincia a rovistare in sacchi di plastica pieni di camicie da uomo.
«Già da bambino pensavo che ci fosse una forza che mi spingeva ad andare avanti», dice T.J. mentre cerca qualcosa di adatto a me. «Sono un inguaribile ottimista. Non credo nella negatività e ai miei clienti questo piace. Non sarò un santo, ma dico la verità. E la verità è che io amo questo paese. La gente qui soffre, io soffro. Il governo non risolve i problemi. Ma non bisogna perdere la speranza. Io quantomeno riesco a sfamarmi. E un giorno troverò un altro lavoro».
Poi, continuando a frugare nel sacco pieno di abiti usati, aggiunge: «Al momento sto cercando gli agganci giusti».