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 2015  gennaio 13 Martedì calendario

HAITI, CINQUE ANNI DOPO COSA RESTA?

HAITI, CINQUE ANNI DOPO COSA RESTA? -
Haiti cin­que anni dopo il sisma cha causò 230 mila vit­time imme­diate e mol­tis­simi altri feriti e meno­mati e più di un milione e mezzo di senza casa. Cosa resta di quella gara di soli­da­rietà che ha coin­volto il mondo nella rico­stru­zione dell’isola?
Le pro­te­ste di que­sti giorni sono già una prima rispo­sta: è dal 2011 che la popo­la­zione di Haiti attende di andare alle urne; una sospen­sione demo­cra­tica moti­vata anche dallo stato di ecce­zione per­ma­nente indotto dal ter­re­moto e dalle dina­mi­che che si sono inne­scate a causa del flusso mas­sic­cio di aiuti inter­na­zio­nali. Aiuti che hanno mostrato le diverse filo­so­fie che ani­mano la rico­stru­zione. Se da una parte, infatti, molte ong inter­na­zio­nali si sono con­cen­trate sulla rico­stru­zione di scuole, pic­coli cen­tri di salute, case popo­lari, altri grandi dona­tori hanno pre­fe­rito con­cen­trarsi su strut­ture più appa­ri­scenti, i grandi cen­tri com­mer­ciali, gli hotel di lusso, i palazzi del potere, dando un indub­bio con­no­tato di classe alla gara di solidarietà.
Se que­sto non bastasse a ren­dere per­lo­meno cri­tico il bilan­cio di cin­que anni di aiuti, si dovrebbe aggiun­gere una rifles­sione che motiva, almeno in grande parte, le mobi­li­ta­zioni popo­lari di que­sti giorni: non basta rico­struire le infra­strut­ture, biso­gna anche rico­struire il tes­suto civile. Ed è pro­prio que­sta la parte più debole del bilan­cio dei cin­que anni pas­sati. Solo le ong inter­na­zio­nali, che d’altra parte erano già pre­senti ad Haiti pima del ter­re­moto, hanno saputo coniu­gare la rico­stru­zione delle infra­strut­ture di ser­vi­zio con il raf­for­za­mento della società civile locale.
Que­sta è la parte più dif­fi­cile per diversi ordini di motivi. Prima di tutto l’instabilità poli­tica di Haiti fa gioco alle potenze regio­nali che, ancora, si con­ten­dono la lea­der­ship sulla pic­cola nazione carai­bica. Il Grande Gioco intorno a chi comanda real­mente ad Haiti esi­ste da quando l’isola è diven­tata indi­pen­dente, cioè dai tempi delle prima scon­fitta di Napo­leone in terre d’oltremare. Da allora la Fran­cia non ha mai rinun­ciato al dire la sua, natu­ral­mente con­tra­stata dagli Usa che, con la Dot­trina Mon­roe, vede­vano Haiti come parte del loro «cor­tile di casa». Il ter­re­moto ha mol­ti­pli­cato il pro­ta­go­ni­smo degli attori regio­nali che, con la moti­va­zione della soli­da­rietà, hanno cer­cato di piaz­zarsi sull’isola espan­dendo le loro aree di potere: Non solo gli Usa e la Fran­cia dun­que, ma anche Cuba, il Bra­sile e via via scen­dendo di livello tutti i dona­tori internazionali.
Que­sti con­tra­sti geo­po­li­tici hanno finito per osta­co­lare non tanto l’arrivo degli aiuti, quanto la loro effi­ciente gestione, con il risul­tato che, a fronte di diversi miliardi di euro donati, circa la metà dei danni resta ancora senza rispo­sta. Haiti, in sin­tesi, resta una nazione a forte sovra­nità limi­tata, e il ter­re­moto non ha certo modi­fi­cato in meglio que­sta situazione.
Altro punto di cri­ti­cità è quello che potremmo defi­nire «geo­me­dia­tica», cioè la capa­cità dei media di ampli­fi­care una situa­zione di crisi tanto da spin­gere a un flusso di dona­zioni a fini geo­po­li­tici per poi, una volta spenti i riflet­tori, far dimen­ti­care la crisi con altret­tanta rapi­dità. Nel caso di Haiti le sfide geo­po­li­ti­che erano impor­tanti, basti pen­sare che la gestione dell’aeroporto di Port au Prince per il con­trollo dei flussi aerei, vinta dagli Usa, signi­fi­cava la pos­si­bi­lità di spe­ri­men­tare in cor­pore vili, una logi­stica che sarebbe stata uti­lis­sima anche in caso di una guerra.
Pas­sata la prima onda media­tica sul dramma hai­tiano si sono però spenti i fari, lasciando i dona­tori di lungo periodo sco­perti sul fianco dell’informazione. Nel frat­tempo altri riflet­tori si sono accesi su altri drammi, più o meno indotti, e le opi­nioni pub­bli­che sono state por­tate a guar­dare altrove. Per quanti ope­rano, ad esem­pio, attra­verso il soste­gno a distanza dei bam­bini, la scelta più cor­retta per aiu­tare in loco chi vuole restare a rico­struire la sua terra, que­sti spo­sta­menti repen­tini di fronte sono esiziali.
E dun­que è stato tutto inu­tile? Chi si è speso per Haiti cin­que anni fa o ha con­ti­nuato a farlo durante la bassa dell’onda infor­ma­tiva ha fal­lito? Niente affatto, e le mani­fe­sta­zioni di que­sti giorni sono una rispo­sta anche a questo.
Se ana­liz­ziamo infatti chi scende in piazza, vediamo che si tratta spesso degli espo­nenti di quella società civile orga­niz­zata che hanno saputo appro­fit­tare degli aiuti inter­na­zio­nali, della soli­da­rietà dif­fusa, del soste­gno delle ong, per strut­tu­rare le loro orga­niz­za­zioni e chie­dere ciò che ad Haiti manca oggi più del pane: la demo­cra­zia.