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 2015  gennaio 10 Sabato calendario

«IN FRANCIA LA SATIRA RISALE A RABELAIS NEGLI USA MAI VIGNETTE COME QUELLE»

NEW YORK «È vero, c’è una diversa sensibilità tra americani ed europei davanti alla pubblicazione di vignette satiriche volutamente volgari, offensive, blasfeme. È il frutto delle diverse storie culturali. Negli Usa, anche se viene difesa un’assoluta libertà d’espressione, non c’è mai stata una tradizione di forte anticlericalismo, mentre il puritanesimo ha limitato le espressioni volgari, l’esibizione di nudità». È per questo, non per mancanza di solidarietà, che oggi la stampa anglosassone non pubblica quasi mai le vignette satiriche su Maometto costate la vita ai giornalisti di Charlie Hebdo , spiega lo storico Robert Darnton. Docente a Princeton e poi ad Harvard, ha da poco pubblicato un libro sulla censura in Europa.
Lei è americano, ma è anche un celebre studioso della storia francese e soprattutto della cultura politica del Settecento e dell’Ottocento. Considera anche lei «stupide», oltre che eccessive, le vignette del periodico parigino?
«Evidentemente no, ma gli europei devono capire che l’America ha una storia politica diversa. Così come chi liquidava come volgare e puerile il lavoro di Stéphane Charbonnier e dei suoi disegnatori dovrebbe riflettere sulla storia della satira politica francese. A Parigi una satira pesante, anche offensiva e pornografica, ha sempre fatto parte della cultura politica. Combattuta dalla censura, ma spesso tollerata dalla monarchia che, in certi periodi, ha cercato di usarla a suo favore. Anche per questo ha potuto mettere radici profonde. È una tradizione che risale fino a Rabelais, anche se lui era più sofisticato. La satira feroce, oltraggiosa, era diffusa anche nel resto dell’Europa del Nord, dalla Germania della Riforma luterana all’Inghilterra, unite negli attacchi pesanti, volgari al Papa. Qualcosa della satira inglese ha attraversato l’Atlantico, trasferendosi nelle colonie americane ma non con la stessa intensità».
Oggi l’Occidente si divide sul pubblicare o non pubblicare. Ma anche chi lo fa spesso giudica queste vignette volgari e oltraggiose.
«Certo, Charlie Hebdo ha scelto di essere molto pesante nella sua satira. Del resto il giornale, come sa, è nato dall’esperienza di Hara-Kiri che voleva esplicitamente essere “stupido e sgradevole”. Un mensile che è stato chiuso due volte d’autorità dal governo francese negli anni Sessanta. Ma io, che sono stato sempre affascinato dall’uso della risata come arma politica, capisco la loro scelta. L’esempio più significativo, per me, resta quello di Voltaire secondo il quale per vincere una battaglia culturale bisognava aver la capacità di far sorridere, di mettere alla berlina, anche di ridicolizzare l’avversario. Gran parte dell’Illuminismo è basato su questa strategia. Certo, c’è una bella differenza tra le sottigliezze di Voltaire e la satira da pesci in faccia di Charlie Hebdo , il suo cattivo gusto intenzionale, studiato a tavolino. Ma lo spirito è quello».
Sul «Financial Times» lo storico Simon Shama ha scritto che la satira è l’ossigeno della democrazia e vede la scarsa irriverenza dell’America come un rischio per la sua libertà.
«D’accordo sull’ossigeno. La satira è un indice di salute della democrazia: se non prendi in giro chi ha il potere lo rendi ancora più potente. Ma bisogna tenere conto che l’America ha inibizioni sulla blasfemia che non esistono in Europa. Mark Twain ha preso in giro l’ipocrisia della cultura della Bible Belt ma negli Usa non abbiamo avuto una forte reazione antipapale. Né ho mai visto vignette antislamiche».
Siamo allo scontro di civiltà di Huntington?
«Non sono un esperto del mondo musulmano, ma non credo. L’Islam dell’Indonesia o del Marocco è molto diverso da quello che vediamo diffondersi in Siria e Iraq».