Piersandro Pallavicini, La Stampa 10/1/2015, 10 gennaio 2015
LA VITA SGHEMBA DI JANNACCI CHE NON SI FERMAVA DAVANTI AL SEMAFORO ROSSO
Questo libro non è semplicemente un libro su Enzo Jannacci, ma è un libro, delizioso, con dentro Enzo Jannacci. Ci si trova il cantautore milanese in tre dimensioni, vivo e presente, da toccare con mano, e non allontanato dal binocolo capovolto della leggenda o guastato da un ricordare nostalgico. Sandro Patè, trentasettenne, qui al suo esordio, ha conosciuto Jannacci nel ’99, in un corso di cabaret. Da quel corso è nata un’amicizia e poi una familiarità, e alla fine anche una tesi sull’amico Enzo, discussa da Patè nel 2005: quando successe che Jannacci arrivò in ritardo nell’aula gremita di curiosi e si complimentò, alla fine, abbracciando l’autore e dicendogli: «Hai fatto un ottimo lavoro... Peccato l’argomento».
Autoironia e umiltà erano tra le qualità che tanto ci hanno fatto amare Jannacci, e quella battuta intrisa di understatement è diventata il miglior titolo possibile per questo libro. Peccato l’argomento è basato su ore e ore di interviste inedite a Jannacci e agli artisti e alle persone che sono stati importanti nella sua vita. La sezione finale mette in fila le biografie di ventinove intervistati, dalla A di Diego Abatantuono alla V delle figlie di Beppe Viola, passando per Bianciardi (Luciana, la figlia dell’autore de La vita agra), Conte (Paolo, proprio lui), Gaberscik (Dalia, figlia di Giorgio Gaber e Ombretta Colli), e incontrando pure Villaggio, Paolo. E quasi in ogni pagina scatta un collegamento con una canzone di Jannacci, la citazione del testo, il commento al testo, e poi quando riprende la storia – i ricordi, le testimonianze – si ricomincia non da dove ci si era interrotti ma un passo o due più in là, o meglio di fianco. Confusione, allora?
In effetti in Peccato l’argomento non c’è un vero filo conduttore. La cronologia viene percorsa avanti e indietro tra anni ’50 e nuovo millennio, con la vita di Jannacci e il suo mondo distribuiti in una galassia aneddotica raggruppata nelle macroaree di sette capitoli. Ma proprio questa indeterminatezza, questi scarti improvvisi e imprevisti, questa veemenza che ogni tanto s’accende e poi si stempera nella malinconia, proprio tutto questo rende bene la personalità del caro Enzo. Famosi i suoi discorsi incomprensibili e sghembi, che spiegava così: «Un po’ è un problema di dislalia... un po’ è che le parole non stanno dietro a quello che penso». E famose le sue azioni altrettanto scoordinate e inconsulte, come racconta il jazzista Paolo Tomelleri: «Una volta eravamo in macchina in piazza Cordusio, fermi al semaforo perché c’era molta gente per strada. Lui [che era alla guida, ndr] si è innervosito, ha aperto la portiera e se n’è andato via a piedi».
Eppure era un bravissimo medico. Un chirurgo che operava negli ospedali di Lombardia, lottando con la malinconia che gli davano i suoi pazienti, come la bambina malata di cuore finita nella straziante Natalia. D’altronde «O vivere o ridere», recita il titolo di un suo album. E qualunque cosa significhi, letto questo libro ci si trova d’accordo nel dire che sarebbe l’epigrafe perfetta per ricordare Enzo Jannacci.
Piersandro Pallavicini, La Stampa 10/1/2015