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 2015  gennaio 10 Sabato calendario

PER L’EURO LA PARITÀ NON È UN’UTOPIA

La corsa del dollaro nei confronti dell’euro è proseguita anche nella settimana appena conclusa, con il cambio che venerdì 9 gennaio è sceso in zona 1,18 dollari, con un minimo di giornata a 1,176. A spingere al ribasso il cambio euro-dollaro sono le opposte prospettive della politica monetaria della Federal Reserve e della Bce, diventate ancora più evidenti nelle ultime settimane. Se da una parte la Bce è attesa rendere la propria politica monetaria più espansiva con l’acquisto di titoli di stato già dalla riunione del 22 gennaio, la Fed non dovrebbe invece deviare dallo scenario di base che la vede aumentare i tassi a metà anno, anche se poi i rialzi saranno moderati. A confermare che la Bce è pronta a incrementare gli interventi sul mercato per ridurre i rischi che la deflazione diventi cronica dopo essere scesa al -0,2% su base annua in dicembre sono state le parole del presidente della Bce, Mario Draghi, che ha sottolineato come l’Eurotower sia pronta ad acquistare titoli governativi, pur rimanendo il parere contrario di alcuni membri del Consiglio direttivo. In tale direzione vanno le indiscrezioni secondo cui lo staff della Bce ha preparato un piano di acquisto di titoli governativi con il rating di investment grade (quindi italiani compresi) di 500 miliardi di euro. Gli ultimi dati economici pubblicati in area euro hanno evidenziato come un intervento delle autorità monetarie sia necessario, se non altro per ridare fiducia agli investitori. In settimana segnali di debolezza dell’economia sono arrivati dagli ordini all’industria tedeschi di novembre, scesi del 2,4% su base mensile contro le attese di un calo del -0,8%, e dalla produzione industriale francese, sempre di novembre, diminuita dello 0,3% rispetto a ottobre, contro le attese di un aumento dello 0,3%.
I solidi dati economici statunitensi, di cui l’ultimo esempio è stato la discesa del tasso di disoccupazione al 5,6% in dicembre, nonostante le perplessità legate al calo dei salari e della forza lavoro, dovrebbero rassicurare la Fed sul fatto che la crescita economica possa proseguire vigorosa nei prossimi mesi, anche in presenza di una fase di rialzo dei tassi. La stretta dovrebbe iniziare in giugno, nonostante le dichiarazioni del presidente della Fed di Chicago, Charles Evans, secondo cui il primo rialzo dovrebbe essere rinviato al 2016 ed essere molto graduale, come confermato dalle minute dell’ultima riunione della Fed pubblicate pochi giorni fa. Il rialzo dei tassi da parte della banca centrale Usa dovrebbe continuare ad attrarre flussi di capitali dagli investitori alla ricerca di rendimenti più alti sui mercati obbligazionari. In questo scenario il dollaro potrebbe continuare a guadagnare terreno contro la moneta unica. Il consensus degli analisti interpellati da Bloomberg è per una discesa del cambio a 1,15 entro la fine del 2016, ma alcuni strategist, come per esempio quelli di Ing, Abn Amro e Citigroup, stimano una discesa del tasso di cambio alla parità. Si tratterebbe di una quotazione che non si vede dalla fine del 2002, ma che non rappresenterebbe un minimo assoluto. A fine 2000, infatti, l’euro toccò il minimo storico di 0,822 dollari prima di iniziare il trend al rialzo che l’ha portato a registrare il massimo storico di 1,60 nel 2008. Un’ulteriore discesa dell’euro ne aumenterebbe la sottovalutazione rispetto al dollaro sulla base della parità del potere d’acquisto calcolata dall’Ocse. Sulla base dei calcoli dell’istituto di Parigi, a 1,18 l’euro sarebbe sottovalutato del 9% e del 22% in caso di discesa a 1. Anche in questo caso, però, non si tratterebbe di una novità storica poiché già nel 2002 si era raggiunto questo livello di sottovalutazione. Il calo dell’euro avrà effetti positivi sulla crescita economica sia nel 2015 sia nel 2016. Secondo le stime dell’Ocse, un calo del 10% dell’euro ha l’effetto di aumentare la crescita economica dello 0,8% nell’anno seguente alla svalutazione e di un ulteriore 0,9% in quello successivo. Per questo motivo la Bce dovrebbe assicurarsi che il recente trend al ribasso della valuta continui anche nei prossimi mesi, aiutando così la crescita economica e riducendo le pressioni deflazionistiche. Una discesa sostenuta in deflazione, infatti, ha l’effetto di aumentare il valore di una valuta, come dimostrato dallo yen negli ultimi anni, incrementandone il potere d’acquisto a fronte di prezzi in discesa. Il raggiungimento del target di un attivo di bilancio a 3 mila miliardi di euro annunciato da Draghi è, quindi, quanto mai necessario per garantire la discesa dell’euro. Tanto più che la Fed, in presenza di un rallentamento dell’economia o di pressioni inflazionistiche contenute, sarebbe molto veloce nel fermare la fase di rialzo dei tassi, riducendo così l’appeal del dollaro, con la conseguente rivalutazione della moneta unica.
Matteo Radaelli, MilanoFinanza 10/1/2015