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 2015  gennaio 11 Domenica calendario

ACCONCIATURE DELLO STILE

«In tutti i luoghi e in tutte le epoche, la capigliatura è sempre stata considerata non solo l’ornamento più prezioso del corpo umano, ma ha assunto anche un ruolo nella società, tanto in quella antica quanto in quella moderna», recita il Grand Dictionnaire universel Larousse del Diciannovesimo secolo alla voce «Chevelure». L’opera di Carol Rifelj prende in esame le pratiche storiche e culturali relative ai capelli delle donne nell’Ottocento (le pettinature alla moda, la professione del coiffeur), con particolare riguardo verso gli scrittori realisti, che hanno messo al centro delle loro opere questo elemento, ancor più che i vestiti e i tratti fisici, per fornire delle indicazioni sulla personalità, la situazione sociale e la condizione emotiva dei personaggi descritti.
Ogni capitolo analizza le opere degli autori che hanno maggiormente accordato ai capelli delle proprie eroine un ruolo primario: svelando quale sia il significato che la società assegna al loro colore, creando uno spazio intimo in cui la donna si pettina, attribuendo ai capelli tagliati e scambiati tra gli amanti la funzione di oggetti sentimentali da conservare religiosamente, e rivelando lo stretto rapporto tra i capelli e la morte, autori come Gautier, George Sand, Flaubert, Maupassant, Zola e Rodenbach hanno mostrato quanto i capelli siano ricchi di implicazioni profonde, che informano i testi letterari. Argomento di maggior interesse del libro è l’associazione tra i capelli e la sessualità o l’identità sessuale della donna che li porta. A partire da Baudelaire, che nei suoi Fiori intitola una lirica La Capigliatura, tessendo le lodi di questa chioma profumata, «foresta aromatica» che gli evoca «estasi» e «ricordi dormienti» dell’«alcova oscura», passando per Balzac, che ne La Comédie humaine faceva di ogni elemento fisico (e in particolare dei capelli) una sineddoche per riassumere la persona; ancora, Zola e la sua Nana, in cui i capelli sono associati alla sessualità bestiale, e Maupassant, che dedica una novella del 1884 a La Capigliatura, facendole incarnare un ruolo malefico e utilizzandola come metafora dell’orrore e dell’attrazione che l’alienazione mentale e l’inconscio esercitavano su di lui.
Ma è sicuramente Flaubert l’autore che ha descritto più chiome femminili scolpite nell’immaginario comune, creando dei veri e propri esempi di feticismo della capigliatura. Già in Novembre, il lungo racconto giovanile sulla prostituta Marie, il narratore autobiografico scriveva «amo i capelli», e la descrizione delle scene di sesso, o meglio dell’iniziazione sessuale del protagonista, era intimamente legata alla capigliatura della donna, cui vengono attribuite «forme flessuose e corrotte di serpente e di demonio». L’associazione tra l’amore e la morte si dipana in tutto il testo e si annida tra i capelli di Marie, che evocano pensieri di voluttà ma anche di cimiteri. Emma Bovary, fin dalla prima apparizione a Charles, viene descritta con «due bande lisce e compatte di capelli neri», che lui notava il quel momento «per la prima volta nella sua vita». Permettendo appena di scorgere il lobo dell’orecchio, particolare erotico che ne annuncia la sua prossima nudità, i capelli di Emma lasciano il medico stordito e confuso, avvinto nelle maglie di una seduzione che non lo lascerà più. Allo stesso modo Justin, il garzone del farmacista, quando vede per la prima volta «quella cascata di capelli neri che quasi scendeva fino a terra srotolando le sue nere volute», ne rimane spaventato come di fronte a qualcosa di «straordinario e di nuovo». I capelli di Emma si modificano nel romanzo, seguendo le sue emozioni: una volta intrecciata la sua appassionata relazione con Rodolphe, Flaubert li delinea come «una massa pesante», che si avvolgeva sulla nuca «con indolenza», e secondo «i capricci dell’adulterio che li scioglieva ogni giorno».
I capelli dénoués, in quasi tutti i romanzi, sono il simbolo della passione, dell’abbandono erotico e sessuale della donna, che, come la sua chioma, si «scioglie», si lascia andare. Agli uomini che non hanno avuto la fortuna di consumare questa passione, come Charles Bovary, e dunque di accarezzare queste «masse opulente» di capelli che ondeggiano nei romanzi dell’Ottocento, resta la piccola consolazione di «una lunga ciocca» da tenere fra le mani; morto l’amore (e nel caso di Charles, anche colui che ama), sopravvive così un po’ della persona amata, ma solo come reliquia.
Chiara Pasetti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 11/1/2015

Carol Rifelj, Coiffures. Les cheveux dans la littérature et la culture française du XIX siècle, "Romantisme et Modernités", Honoré Champion, Paris, pagg. 312, € 65,00