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 2015  gennaio 11 Domenica calendario

TRE MOSSE PER RIAGGANCIARE LA RIPRESA

A parte la Grecia, il cui debito non è ripagabile a prescindere dall’esito delle prossime elezioni, ci sono molti elementi che dovrebbero indurre all’ottimismo, quali il significativo deprezzamento dell’euro, il rilevante calo del petrolio, il bassissimo livello raggiunto dai tassi di interesse, i prossimi interventi della Bce di allargamento della base monetaria, gli incentivi fiscali contenuti nella legge di Stabilità e lo svolgimento dell’Expo a Milano.
Tutti questi elementi raramente e forse unicamente presenti in contestualità nel nostro scenario economico saranno sufficienti a rimettere il Paese su un percorso di crescita stabile e funzionale alla riduzione del debito? In una situazione di normalità non potrebbero sussistere dubbi sulla loro efficacia. Ma a conti fatti la risposta purtroppo non può essere che molto dubitativa.
Quali sono le ragioni? L’Italia è “uscita” dalla crisi finanziaria del 2008-2009 e soprattutto dalla crisi dei debiti sovrani del 2011 fortemente traumatizzata e menomata. L’economia è stata seriamente depotenziata con la perdita di 25 punti percentuali di base produttiva, il carburante da mettere nel motore è stato prosciugato con l’aumento di 2 punti percentuali della pressione fiscale e la vulnerabilità si è gonfiata in forma esponenziale con un rapporto debito/Pil che ha cambiato stabilmente traiettoria e si avvicina al 140%. La perdita di quasi dieci punti di ricchezza (Pil) ed una fase recessiva mai verificatasi per ampiezza e profondità nel dopoguerra rappresentano l’effetto più evidente della forza d’urto subita ma le cause che l’hanno determinata in gran parte non sono state rimosse, né risultano in corso di rimozione. Sono tutte ancora saldamente presenti ad esercitare la loro azione negativa: l’alta esposizione agli shock, il basso potenziale di sviluppo, l’evidente carenza di risorse pubbliche per sostenere adeguatamente il rilancio, la scarsa incisività degli apparati politici. Infatti, il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto dal 2007 ad oggi di circa 100 miliardi (tornato al livello del 1995) e la situazione non viene certamente modificata nella sostanza dal dato Istat di settembre 2014: tornerà a crescere strutturalmente solo quando scenderà la pressione fiscale.
Gli investimenti pubblici crollati del 35% (-13 miliardi), non per rispettare i patti europei ma come conseguenza dei tagli lineari di spesa (e pensare che ora ci disperiamo a chiedere che i nuovi investimenti vengano scorporati dai calcoli del deficit), non sono in grado di riprendere quota fino a quando non si ricreeranno spazi in bilancio sufficienti. Gli investimenti privati in costante flessione da tre anni non danno alcun segnale di risveglio e non lo daranno fino a quando non ripartiranno i consumi interni. Il credito bancario tramortito dallo tsunami delle sofferenze è passato da una crescita media annua del 6-7% prima del 2007 ad una restrizione del 3-4% negli ultimi tre anni, e non potrà ritornare a dare il contributo ante-crisi allo sviluppo fino a quando non cambierà adeguatamente la percezione del rischio. La fiducia di famiglie ed imprese nel futuro abbattutasi negli ultimi tre anni stenta a ritrovare uno spessore sufficiente ad alimentare le aspettative perché non trova le basi per rinsavire.
È questa un’analisi pessimistica o si tratta di un amaro realismo?
I dubbi a riguardo sono molto labili perché gli errori di politica economica commessi dal 2011 in poi sono di indubbia consistenza. L’errore di fondo che continuiamo a commettere è quello di ritenere che da una situazione di una gravità straordinaria ed inconfutabile, come quella descritta, si possa uscire con le alchimie, più o meno acrobatiche, delle manovre di una legge di Stabilità e con qualche spruzzo di riforma che ci allontana di qualche gradino dai livelli di efficienza della Tunisia per portarci a cinque gradini in meno da scalare per recuperare i quarantacinque che ci separano dalla Svezia (Banca Mondiale -Doing Business). Come è possibile continuare a credere che tali terapie potranno essere utili a sovvertire una situazione così compromessa? Vogliamo continuare a vivere di speranze e/o di illusioni sugli aiuti esterni? Davvero siamo convinti che cambiando qualche regola di funzionamento e stringendo qualche bullone ci risolleveremo alla grande? Se crediamo in tutto questo non abbiamo scampo.
Anche nel 2015 non succederà nulla di significativamente diverso dagli ultimi tre anni e non avremo alcun cambiamento davvero positivo per il semplice fatto che mancano i presupposti basici affinché esso si manifesti. Nella situazione data, il cambiamento non basta volerlo e cercarlo con energia procedendo a strappi per realizzarlo! È necessario prima di tutto seguire la strategia giusta che consiste nell’elaborare un grande progetto di trasformazione del Paese fondato su tre assi principali da perseguire in stretto parallelismo:
- l’abbassamento della vulnerabilità finanziaria (debito); imprescindibile per tornare ad essere credibili lato sensu verso l’esterno e verso l’interno;
- la mobilitazione di un livello di risorse adeguato a stimolare efficacemente i consumi, gli investimenti pubblici e privati e il credito bancario; imprescindibile per ridare energia ad una macchina da lungo tempo a secco di carburante;
- un piano di riforme organico e profondo che risulti davvero in grado di incidere sugli agenti nevralgici, funzionalmente ed organizzativamente, e di portarci entro tre anni vicini di cinque gradini alla Svezia e lontani di quarantacinque dalla Tunisia; imprescindibile per ridare potenza e fluidità ad un motore spompato ed inaffidabile.
Solo così scatterà l’interruttore dell’ottimismo generando una luce che illumina il cambiamento delle prospettive all’orizzonte e che ci farà tornare a correre, come sappiamo fare, nella giusta direzione. Una possibilità che è alla nostra portata ma che non vogliamo o sappiamo cogliere essenzialmente per carenza di visione strategica e di coraggio reattivo, di eccesso di fiducia nei semplicismi e prevalenze diffuse di interessi corporativi e politici. Fino a quando non guarderemo meglio in faccia la realtà e non correggeremo radicalmente l’exit strategy, anche i tanti elementi favorevoli con cui si apre il 2015 non basteranno a fermare il nostro declino, perché non sono quelli che agiscono sulle sue determinanti.
Giuseppe Maria Pignataro, Il Sole 24 Ore 11/1/2015