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 2015  gennaio 12 Lunedì calendario

YANIS VAROUFAKIS L’ECONOMISTA DI SYRIZA CHE VUOLE CAMBIARE LA POLITICA EUROPEA

«Ho 54 anni, e non ne posso più: sono cresciuto con la dittatura dei colonnelli e mi ritrovo sotto la tirannia delle banche e degli economisti sedicenti liberisti». Ma forse Yanis Varoufakis, che si presenta con quest’amara autoironia, sta per smetterla di girare il mondo alla ricerca di una nazione veramente libera: se tutto andrà secondo le previsioni, fra due settimane sarà ministro dell’Economia del suo Paese, la Grecia. Gliel’ha promesso Alexis Tsipras, capo di Syriza e tutt’ora accreditato di un 3% di vantaggio su Nuova Democrazia, il partito del premier uscente Antonis Samaras. Che è, neanche a dirlo, il più grande dei bugiardi secondo Varoufakis: «Ha messo in giro questa voce che la Grecia sia in ripresa, solo perché ha chiuso un trimestre (il terzo del 2014, ndr) con un aumento del Pil dello 0,7%. Ma a parte che non significa niente perché siamo in deflazione e i prezzi scendono dell’1,9% e quindi la somma algebrica sarebbe tutta un’altra, di quale ripresa parla? Ma gira, Samaras, per le strade di Atene? Le vede le file dei disoccupati, di chi va a mangiare alla Caritas e fruga nei cassonetti? Ma si è accorto che per dare retta all’Europa che ci impone di privatizzare tutto il possibile a marce forzate abbiamo svenduto beni inestimabili a una serie di lestofanti? Guardi, mi creda, la Grecia è ancora nel profondo di una spaventosa depressione che dura da sette anni». Il rimedio? Ovviamente «cambiare governo». Sbaglierebbe però chi definisse Varoufakis solo un massimalista di sinistra, uno che usa questi toni perché è in campagna elettorale. In realtà è più realista, dialogante e metodico di quanto si potrebbe pensare. E di quanto indicherebbe il suo aspetto da duro, con quella faccia da pugile a riposo che ama ripetere “When the going gets tough, the tough gets going”, che non sarebbe altro che “quando il gioco si fa duro...”. Invece c’è proprio lui, il guru economico di Syriza, dietro il cambiamento forse decisivo di atteggiamento internazionale di Tsipras. E’ avvenuto un paio di settimane fa. Fino a quel momento il leader di Syriza aveva costruito il suo successo politico su uno slogan tanto semplice quanto irresistibile: “Basta con i sacrifici, la Grecia fuori dall’euro”. Poi, all’improvviso questa minaccia è sparita e Tsipras ha cominciato a parlare di comprehensive agreement, un accordo complessivo che risolva la situazione senza drammi. Anche perché dai sondaggi pre-elettorali si è scoperto che il 74% dei greci nell’euro, malgrado tutto quello che gli costa, ci vuole restare. I due protagonisti di questa battaglia sembrano essersi divisi perfettamente i compiti: Tsipras è l’oratore, il demagogo, il catturapopolo, Varoufakis è l’eminenza grigia e anche il tecnico di profonda esperienza che suggerisce le formule giuste. «L’euro è stato costruito malissimo, e manderei a processo chi ne ha formulato le technicalities», dice Varoufakis. «Per la Grecia, ma anche per tanti altri a partire dall’Italia, sarebbe stato molto meglio starne alla larga fin dall’inizio. È crollato miseramente sotto i colpi della crisi finanziaria americana del 2008 e non si è più ripreso perché le cure sono state le più sbagliate possibile. Ma ormai a bordo ci siamo e indietro non si torna. È come una nave che in mezzo all’Atlantico comincia a imbarcare acqua. Vogliamo metterci a fare il processo agli ingegneri che l’hanno costruita mentre stiamo per affondare? L’unica cosa da fare è mettercela tutta e arrivare sull’altra sponda». Ed è su questo “mettercela tutta” che Varoufakis ha concepito la sua ricetta, che è diventata la piattaforma economica di Syriza ma prima aveva riassunto in un libro intitolato “Una modesta proposta per risolvere la crisi dell’euro», scritto a quattro mani con James Galbraith (figlio del grande John Kenneth Galbraith che era stato l’economista di Kennedy), suo collega alla Lindon Johnson University di Austin, Texas, dove attualmente insegna economia politica dopo un giro del mondo che l’ha portato dall’Australia all’Inghilterra, e infine in America. La proposta “complessiva” comprende un ampio raggio di misure interne di razionalizzazione e riduzione della spesa, ma il tutto si basa sull’assunto che pretendere che la Grecia, così come forse altri debitori in difficoltà, sia costretto a pagare nei tempi previsti fino all’ultimo euro di debito, rappresenta un supplizio irragionevole. «È solo una tortura inutile, condotta oltretutto a carico di chi, per quanto abbia buona volontà, non ce la farà mai a rientrare nei termini previsti. Aggrava la situazione in una spirale di dolore infinita». Varoufakis aveva coniato in un’intervista proprio a Repubblica che ha anche inserito nel suo sito, il termine “fiscal waterboarding” come la peggiore delle torture della Cia in versione finanziaria, «ma forse era un po’ forte», ammette ora. Sta di fatto che se Syriza vincerà, chiederà «entro i primi cento giorni di governo», assicura Varoufakis, una completa rinegoziazione del suo debito estero, detenuto ormai in massima parte (81%) dai tre membri della Troika. Tassi molto più agevolati per tutte e tre le fattispecie di creditori: Bce, Fmi, Paesi europei, Fondo salvastati (per la verità sono stati già rinegoziati più volte e la media è scesa dal 3,5 all’1,5%). E scadenze dilazionate «senza un termine prefissato, almeno la parte dovuta alla Bce: cominceremo a restituire quando si sarà ripristinata una crescita adeguata». Ma quante possibilità, ammesso che un capo di governo come la Merkel porti questa proposta all’approvazione del Bundestag, quante possibilità esistono perché passi? «Non lo so, ma noi non cederemo. È la nostra linea rossa, non arretreremo. E poi, almeno per la parte di debito in mano alla Bce, ci è dovuto». E perché? «Perché quando nel 2011 ci fu la ristrutturazione del debito greco, le banche avevano già pensato bene di liberarsi dei titoli cedendoli alla Bce. La quale era esente dall’haircute così nessuno ha perso niente. Ci sono rimasti impigliati solo i debitori privati. È stata un’ingiustizia e una manifestazione di arroganza da parte del sistema finanziario alla quale ora c’è l’occasione di porre rimedio». Ma quello che fa più infuriare Varoufakis, economista di pura marca keynesiana, è l’intromissione «in una campagna elettorale democratica». Due sono i colpevoli: la Merkel, naturalmente, e Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione reo di aver detto di «fare attenzione» alle idee di Syriza in economia. «Juncker – accusa Varoufakis – dimostra un profondo disprezzo per la democrazia e un atteggiamento neocoloniale che si fa beffa dell’idea secondo cui l’Unione rispetta la sovranità dei suoi stati membri». In teoria, aggiunge l’economista ateniese, «dovrebbe essere la Commissione europea ad essere tenuta a rispondere delle sue scelte di fronte ai cittadini degli Stati membri, e non i cittadini ad essere tenuti a rispondere delle loro scelte di fronte alla Commissione. E per definizione la Commissione non può esprimere alcun giudizio di merito sull’esito di un’elezione, figurarsi se può indicare il candidato giusto e quello sbagliato». Il problema resta: i mercati sono ora nella fase in cui pensano che, d’accordo, vinca il migliore ad Atene. Ma se arrivano Tsipras e Varoufakis con le loro richieste e queste non vengono accolte, cosa succede?
Eugenio Occorsio, Affari&Finanza – la Repubblica 12/1/2015