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 2015  gennaio 12 Lunedì calendario

ANAS, LA MACCHINA DEGLI APPALTI MILIARDI, IMMOBILI E ZONE GRIGIE

Non nominate la parola “crollo” al presidente dell’Anas Pietro Ciucci: la chiusura a pochi giorni dall’inaugurazione del nuovo viadotto Scorciavacche sulla Agrigento-Palermo per lui non è l’ennesimo caso di appalto pubblico dagli esisti disastrosi e tanto meno un sintomo di problemi della società che guida dal 2006 e che sarà privatizzata l’anno prossimo. «Primo, non è stato un crollo ma uno smottamento di una parte della rampa di accesso al viadotto, che invece sta benissimo», spiega con fervore il giorno dopo il sopralluogo di mercoledì scorso in Sicilia. «Secondo — continua Ciucci — l’errore c’è stato, è stato della ditta, e non doveva accadere, ovvio. Ma siccome gli errori esistono, e noi abbiamo centinaia di cantieri aperti, si fanno i controlli. E i nostri controlli hanno funzionato: se nel caso di Scorciavacche non ci sono state conseguenze, nessun incidente, nessuna auto coinvolta, non è stata fortuna ma è stato perché avevamo rilevato un primo avvallamento già nei giorni precedenti e avevamo già chiuso il tratto di strada». Appalti, controlli e privatizzazioni. Attorno a questi tre termini si gioca la partita dell’Anas: la maggiore stazione appaltante italiana, come ha calcolato il Cresme. Una macchina complicata: 6200 addetti, 180 dirigenti, una ventina di compartimenti territoriali. Un bilancio da un miliardo l’anno. Per fare che? Per gestire 25 mila chilometri di strade statali ma soprattutto per gestire la realizzazione di ogni nuova struttura viaria di interesse nazionale. «Nel 2014 — enumera Ciucci — abbiamo terminato 26 opere e aperto al traffico 147 chilometri di strade e autostrade, per un investimento complessivo di circa 3,3 miliardi di euro. Nel complesso, attualmente, sulla nostra rete sono attivi o in fase di attivazione 108 interventi per nuove opere per un importo di oltre 11,5 miliardi di euro e 540 interventi di manutenzione straordinaria per oltre 825 milioni». E infatti il Cresme calcola che dal 2007 a fine 2014 Anas ha pubblicato 4.700 bandi di gara per un corrispettivo di 21 miliardi di euro, aprendo 1.460 chilometri di nuove strade. Ecco la centralità dell’Anas: la società naviga su un mare di soldi. Ma non li gestisce direttamente: non ci sono più trasferimenti di denaro pubblico. Lo Stato individua le nuove strade da fare e decide gli stanziamenti; l’Anas si occupa di redigere i primi progetti, di bandire le gare, di seguirne lo sviluppo. Quanto deve costare un’opera lo decide il ministero delle Infrastrutture, che a fine 2012 ha anche tolto all’Anas la vigilanza sulle concessioni autostradali e le ha portate al suo interno, assieme a un paio di centinaia di addetti ex Anas per dar corpo alla nuova Struttura di Vigilanza sulle Concessioni Autostradali. Questo per risolvere il conflitto di interesse che vedeva l’Anas al tempo stesso autorità di vigilanza, soggetto concedente, stazione appaltante e anche concessionario di diverse tratte autostradali, in primis la Salerno-Reggio Calabria. Ora l’Anas sta cercando la strada per la sua terza vita, dopo quella da Azienda Autonoma, ossia un pezzo della Pa, poi quella più incerta da Spa del settore pubblico, metà società privata e metà pubblica, controllata al 100% dal Tesoro ma con uno stato giuridico incerto, tanto che se nel 2013 il governo Letta la dichiara “società privata e non In House della Pa”, appena nel luglio scorso una ordinanza della Cassazione ne ribadisce la sua appartenenza al settore pubblico. «I due interventi non sono in contrasto — spiega Ciucci — il primo ribadisce l’indirizzo del governo verso la privatizzazione, il secondo dirime un problema sullo stato giuridico dei dirigenti. Ma è vero che per arrivare alla Fase Uno della privatizzazione mancano ancora diversi passaggi. Solo una volta completati questi, decideremo, ossia il governo deciderà, come fare entrare capitali privati. Tutte le ipotesi sono oggi possibili: una Ipo, o una prima fase “a fermo” con l’ingresso di investitori istituzionali. E poi le quote e la valorizzazione. E’ tutto prematuro per ora. Prima ci servono certezze riguardo al nostro quadro operativo. Per il momento noi procediamo e in tema di legalità e trasparenza operiamo già oggi come una società privata, non utilizzando le deroghe che sono invece concesse alle strutture pubbliche». Di strada la società ne ha fatta da quando nel 2006 il suo presidente Vincenzo Pozzi venne sfiduciato dal governo Prodi e dall’allora ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro proprio per problemi di consulenze pazze e spese fuori controllo, tanto che l’anno prima il bilancio aveva chiuso in perdita per 500 milioni. Al suo posto venne insediato Pietro Ciucci, che di strade e autostrade ne aveva già masticato quando si era occupato un decennio prima, della privatizzazione dell’Iri, compresa la partita della Società Autostrade. Ma Anas veniva da una tale stato di caos giuridico e amministrativo che a distanza di otto anni molti passaggi sono ancora da compiere: per esempio non c’è ancora il quadro completo del patrimonio immobiliare: oggi sono 2.400 fabbricati e 6.500 unità immobiliari iscritti a bilancio per 170 milioni ma di cui anche la Corte dei Conti rileva non si conosce il reale valore di mercato. E poi di questi, quasi 6 mila sono “emersi” solo negli ultimi anni. E il lavoro non è ancora finito. «Questo dà l’idea di come sia stato difficile rimettere ordine nella società — chiosa Ciucci — Nel 2006 non c’era praticamente organigramma, mancavano funzioni strategiche come l’audit. Abbiamo dovuto fare tutto da capo: non riuscimmo nemmeno a far approvare il bilancio». Una prima svolta per Anas arriva tra il 2007 e il 2008, quando nei mesi finali del governo Prodi Anas inizia a costituire società paritetiche con le Regioni. Nel giro di un anno nascono la Cal, Concessionaria autostradale lombarda, le analoghe Cav in Veneto e Cap in Piemonte, e poi la Adm, Autostrade del Molise, Adl, Autostrade del Lazio, la Quadrilatero delle Marche. L’ultima è del dicembre scorso: Centralia, con le Regioni Marche, Umbria e Toscana. Tutte queste società sono invece, in buona sostanza, delle In House pubbliche perché sono le affidatarie naturali di ogni nuova infrastruttura stradale che le Regioni stesse e il ministero riterranno di realizzare e finanziare. Sono cioè titolari delle concessioni. E’ così che la Cal in Lombardia, dove la Regione è presente non direttamente ma tramite la Infrastrutture Lombarde, finita al centro delle inchieste dei giudici milanesi sull’Expo, è la titolare della concessione per la Brebemi e la Tangenziale Est. La Cav in Veneto è titolare di concessione e anche gestore, cioè concessionario, del Passante di Mestre e della Venezia-Padova. La Adl nel Lazio realizzerà la nuova Roma-Latina e la bretella da questa alla A1, la Cisterna-Valmontone. Mentre in Molilse la Adm realizzerà il passante appenninico A1-14, da San Vittore a Termoli. Queste dovrebbero essere tutte autostrade a pedaggio. La Quadrilatero Marche sta invece completando la superstrada Ancona- Fabriano-Perugia, mentre la Centralia dovrà realizzare il collegamento Grosseto-Fano. Un sostanzioso portafoglio lavori da gestire che costituisce anche lo “zoccolo duro” degli asset di Anas guardando al collocamento sul mercato. E un “tesoro” anche a scadenza medio-lunga: questo stato di cose è infatti lo scenario di riferimento fino al 2032, quando scadrà la convenzione trentennale che lo Stato ha firmato nel 2002 al momento in cui l’Anas venne trasformata da ente economico pubblico in Spa. Il futuro di Anas, per Ciucci, è quello di una utility. Certo, un po’ sui generis. Un po’ società di ingegneria, un po’ certificatore di gare e appalti, un po’ direttore dei lavori. E un po’ (ma il quanto è ancora tutto da vedere) concessionaria. Già oggi Anas gestisce autostrade a pedaggio. Si è detto del Passante di Mestre e della Padova-Venezia. Ha però quote di altre strutture: un 30% della Asti Cuneo (il resto è di Gavio), altrettanto della Traforo Montebianco (il resto è di Autostrade). Aveva una quota anche del Traforo del Frejus, ma appena lo scorso dicembre ha investito 75 milioni per rilevare le quote della Provincia di Torino e ora se ne ritrova il 51% («Ma lo rimetteremo presto sul mercato», assicura Ciucci). Il passaggio cruciale in questo pezzo di partita sarà la decisione di cosa fare della Salerno-Reggio Calabria. «Si deciderà — afferma Ciucci — Ormai mancano solo gli ultimi 40 chilometri. Ora è una struttura di standard autostradale vero, e potrà essere introdotto il pedaggio”. In gestione o in concessione? La cosa fa differenza, in vista della privatizzazione. I ricavi di Anas infatti sono intorno agli 800 milioni di euro, ma di questi 650 sono il corrispettivo del canone pagato dalle società di gestione autostradale come corrispettivo delle strutture di accesso, in pratica svincoli e strade di collegamento (cifra in lieve calo perché è in rapporto al traffico e ai pedaggi incassati dalle concessionarie, a loro volta in calo a causa della crisi). Il resto viene da voci diverse, ma una buona parte è costituita dai pedaggi sulle autostrade gestite direttamente o sulle concessioni di cui è rimasta titolare. E’ chiaro che dove Anas può operare da concessionaria e incassare direttamente pedaggi ha più ricavi e più margini di manovra. Anche perché c’è la parte “improduttiva” degli asset che pesa. I 25 mila chilometri di strade statali la cui manutenzione ordinaria Anas deve svolgere di tasca propria: dal taglio dell’erba al ripristino di asfalti danneggiati. Il vantaggio è che la convenzione con lo Stato stabilisce che tirare un manto d’asfalto nuovo è manutenzione straordinaria e viene finanziata con stanziamenti pubblici. E meno male che nei mesi scorsi il governo ha emanato le Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia che hanno sbloccato una corposa tranche di oltre 300 milioni di investimenti in manutenzione straordinaria della rete stradale, con l’impegno tassativo a metterne a gara almeno il 30% entro fine anno. Non se lo sono fatti ripetere due volte: al 31 dicembre avevano bruciato le tappe a appaltato già il 56% del totale, doppiando l’obiettivo.
Stefano Carli, Affari&Finanza – la Repubblica 12/1/2015