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 2015  gennaio 11 Domenica calendario

YOUTUBE LA TV SONO IO

YouTube sta per compiere dieci anni. Se fosse un bambino, sarebbe geniale, intraprendente e vagamente esibizionista. È stato creato da Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim, in California, nel febbraio 2005. Il primo aveva 28 anni, gli altri due 26. Karim ha spiegato che l’ispirazione gli è venuta dal seno (destro) di Janet Jackson, sbucato durante il Super Bowl 2004. Dell’insolita apparizione non si trovavano filmati online, così ha pensato: ehi, un sito di condivisione video potrebbe funzionare. Ha funzionato.
Il 23 aprile 2005 Karim ha caricato il primo video su YouTube ( Me at the Zoo , 19 secondi), nel quale spiegava che le proboscidi degli elefanti erano «davvero, davvero, davvero interessanti». Un ragazzino di terza elementare, oggi, saprebbe fare di meglio. Ma contava l’idea. Nel 2006 YouTube è stato acquistato da Google per 1,65 miliardi di dollari. Oggi è il terzo sito più visitato al mondo dopo lo stesso Google e Facebook.
Ogni giorno un miliardo di persone guardano 300 milioni di video; ogni minuto ne caricano 300 ore. Nel novembre 2014, scrive il «New York Times», l’83% degli utenti internet negli Usa ha guardato almeno un filmato su YouTube. In Italia le visualizzazioni sono 1,2 miliardi al mese, gli utenti unici 20 milioni: un italiano su tre, neonati e novantenni compresi. Quattro utenti su dieci hanno un’età compresa 18 e 34 anni. Gli adolescenti sono molti, ma Google Italia dice di non sapere quanti.
Cos’è successo in questi dieci anni? Questo: la piattaforma fai-da-te per appassionati di video — il motto era «Broadcast Yourself», trasmetti te stesso — è diventata uno strumento professionale. YouTube oggi produce più filmati di successo di qualsiasi studio di Hollywood. Il passaggio dall’artigianato al mercato ha creato nuovi mestieri, portato pubblicità, generato redditi, aperto questioni di diritto d’autore e censura.
L’utente medio oggi non carica video, guarda quelli degli altri. YouTube, come vedremo, è oggi una delle forme della televisione. Un luogo nuovo dove i tradizionali produttori di contenuti — dalla Bbc alla Rai, la prima più della seconda — competono con dilettanti fantasiosi, eccentrici professionali, microproduzioni specializzate nella compilazione, nella provocazione, nell’insolito. Tutte cose che, su YouTube, funzionano.
In questi giorni un video di Lionel Messi che calcia il pallone a 18 metri d’altezza, lo riprende al volo e continua a palleggiare è arrivato a 9 milioni di visualizzazioni. Una lista delle «25 canzoni più belle di sempre», prodotta da tale 0707NicePlayer, è stata vista 1,8 milioni di volte. Se mi avessero detto che, preparando quest’articolo, avrei trascorso sette minuti a guardare un video dove Grant Thompson «The King of Random» (Il Re del Caso) insegna a fondere lattine e produrre orsetti di alluminio, non ci avrei creduto: però l’ho fatto. Alla fine il vulcanico protagonista ringrazia lo sponsor (un editore di audiolibri) e consiglia The Hobbit di J.R.R. Tolkien. Fonderia e letteratura insieme: anche questo succede su YouTube.
Idioti, squallidi e malvagi, com’era inevitabile, hanno approfittato del nuovo palcoscenico per mostrare violenze, volgarità e assurdità (puntualmente registrate dai media tradizionali, mai dispiaciuti di mostrare gli eccessi della nuova concorrenza). Ma costituiscono una minoranza. La maggioranza sa quello che fa e, sopratutto, ciò che vuole. Ho chiesto a otto ragazze e ragazzi italiani — età tra i 18 e i 28 anni — perché usassero YouTube. Risposte:
1) per guardare filmati di attualità e passaggi televisivi che ho perso;
2) per vedere i gol delle partite;
3) per ridere;
4) per i video delle canzoni, ora che su Mtv si parla soprattutto di «sedicenni incinte»;
5) per studiare i quiz della patente di guida;
6) per guardare i tutorial. Volevo smontare l’iPhone;
7) per imparare a mettermi il mascara;
8) per imparare a farmi la treccia dei capelli;
9) per sapere come legare il sari portato dall’India;
10) per seguire gli YouTuber che mi interessano.
Qualche esempio di YouTuber?
— CutiePieMarzia (Marzia Bisognin) è l’italiana più seguita su YouTube. Vicentina, classe 1992. Nel suo canale si parla di moda, tendenze, acquisti. 4.720.000 iscritti. La svolta grazie all’incontro con Felix, alias PewDiePie, forse il YouTuber più famoso di sempre (oltre 33 milioni di iscritti), che al «Wall Street Journal» ha rivelato di guadagnare, con la pubblicità, 4 milioni di dollari l’anno.
— Favij, pseudonimo di Lorenzo Ostuni, 19 anni. Il suo canale FavijTV ha 1.438.000 iscritti. Prova videogame e racconta la vita giovanile.
— DmPranksProductions (2.845.000 iscritti). Due ragazzi di 27 anni, di Magione (Perugia), realizzano video-esperimenti horror (decisamente spettacolari, piuttosto diseducativi).
— ClioMakeUp. Clio Zammatteo (Belluno, 1982). Il 26 luglio 2008 apre su YouTube il canale ClioMakeUp. In tre anni carica 577 video con 141 milioni di visualizzazioni. È quarta in Italia, con 735.000 iscritti.
— Frank Matano (994 mila iscritti). Battute e scherzi surreali. Del tipo «Modello chiede a 100 ragazze di fare l’amore con lui» (4.178.000 visualizzazioni).
— TheShow. Due ragazzi di Crema mostrano «esperimenti sociali, scherzi e altre amenità».
— Willwoosh, alias Gugliemo Scilla, classe 1987. Video blogger, conduttore radiofonico, scrittore, attore. Nel 2013 ha partecipato al film Fuga di cervelli , regia di Paolo Ruffini, con PanPers e Frank Matano, nel ruolo di Lebowski.
— The Jackal. 50 milioni di visualizzazioni, 260.378 iscritti. Gli ultimi video: «Gli effetti di Gomorra, l a serie sulla gente» e i video-satira sul lavoro («Precariato o posto fisso»).
La maggiore parte dei video di YouTube — lunghezza massima consentita, 15 minuti — vengono caricati da privati. Un 2,5% di professionisti — cinema, musica, televisione — raccoglie circa il 90% delle visualizzazioni globali. Anche società come Cbs, Bbc, Vevo, Hulu hanno aderito al Partnership Program, un sistema che permette di condividere i ricavi pubblicitari. Dal 2007, un meccanismo chiamato Content ID consente — dovrebbe consentire — di individuare automaticamente i contenuti che violano un copyright, e difendere così la proprietà intellettuale.
Ognuno dei primi 500 produttori di contenuti, secondo il «New Yorker», guadagna oltre 100 mila dollari l’anno (il dato è del 2012). YouTube, di solito, tiene il 45% e lascia il 55% a chi carica il video (uploader). Un caso di scuola? Aldo, Giovanni e Giacomo. Il loro canale YouTube è arrivato a 44 milioni di visualizzazioni. Per un ricco, un povero e un maggiordomo — non più giovanissimi — non è male.

The Tube , a Londra, è la metropolitana. In America è — era — il termine colloquiale per indicare il televisore (quando aveva il tubo catodico). Il nome YouTube è, quindi, un invito: fatti la tua televisione, non aspettare quella degli altri. Giocaci, cambiala, ordina, mescola. Se la realtà è indigesta, sminuzzala. È il principio del cibo orientale applicato al video: funziona.
Funziona con lo spettacolo, l’attualità, la politica. Casa Bianca, governi, rivoltosi, dittatori e tagliagole hanno capito in fretta la forza del nuovo strumento: consente di trovare un pubblico, e farlo crescere. Molti Paesi (tra cui Iran, Pakistan, Libia, Egitto) hanno, in diverse occasioni, bloccato temporaneamente l’accesso a YouTube; in Cina resta bloccato. È un’ammissione della potenza dello strumento.
YouTube non è un’invenzione isolata. È arrivata con la quarta onda. La prima, negli anni Venti e Trenta del Novecento, ha portato nelle case la voce, con la radio; la seconda, negli anni Quaranta e Cinquanta, ha portato l’immagine in movimento, attraverso la televisione; la terza, negli anni Novanta, ha portato le informazioni, grazie ai browser che rendevano possibile la navigazione in internet. La quarta onda è arrivata nel secolo nuovo e ha combinato tutto questo: voce, immagini, informazioni, accesso.
Umts, Adsl, Facebook, smartphone, Skype (videochiamate) e YouTube sono arrivati al pubblico una decina d’anni fa. Le strade e i veicoli, insieme. In cent’anni siamo passati dall’ascolto alla visione, alla condivisione in movimento. Seguendo necessità e istinti, certo. Ma necessità e istinti seguono la tecnologia. Se Guglielmo Marconi non avesse inventato la radio, l’umanità, per qualche tempo ancora, avrebbe ascoltato solo i discorsi in piazza e le urla dei vicini di casa.
YouTube è la televisione di una generazione. Per chi è venuto al mondo tra il 1980 e il 2000 rappresenta ciò che il televisore in salotto è stato per i nonni e i genitori: una finestra sul mondo, una scoperta diventata presto un’abitudine.
Fino a dieci anni fa qualcuno sceglieva per noi che cosa guardare e quando guardarlo. Per i nativi digitali questo è inconcepibile. «Si fanno il loro palinsesto», dicono i critici televisivi. Non è così. Un palinsesto presuppone un’organizzazione. I neotelespettatori scelgono invece in base a tempo, strumenti, umori, gusti, amici e occasioni. YouTube, in dieci anni, è riuscito a organizzare quest’apparente anarchia, decidere standard, stabilire regole, creare un marchio, immaginare modelli economici. Accettando anche di somigliare, in qualche caso, alla prototelevisione che sfida.
Un ventenne, nel 1975, aveva a disposizione quattro canali televisivi (Rai Uno, Rai Due, TV svizzera italiana, Tele Alto Milanese). Video, non ne girava. In vacanza, scattava quaranta foto, le portava a sviluppare, le stampava, le conservava, le mostrava agli amici. L’unica condivisione possibile era un album o una serata con diapositive, una forma di sadismo dell’epoca. Un ventenne del 2015 apre regolarmente YouTube, dispone di duemila canali televisivi, scatta cento fotografie e gira dieci video al giorno con il telefono che porta in tasca, se gli sembra ne valga la pena. Poi sceglie, modifica, carica, pubblica, invia, commenta, condivide. Nessun costo, nessuna fatica, poca attesa, l’ansia confinata al numero di «Mi piace».
Dobbiamo renderci conto, quando parliamo di loro e con loro, che i Millenials — termine americano, chiamiamoli Millenari — amano raccontarsi, conoscersi, vedersi e rivedersi. La narrazione illustrata è ormai un’abitudine. La rapidità, una condizione necessaria. La varietà, una conquista irrinunciabile. Selfie, WhatsApp, Facebook, Instagram, Skype e YouTube sono variazioni dello stesso fenomeno.
I nuovi italiani possiedono un’immaginazione allenata con le immagini.
Immaginate cosa potrebbero inventare se noi — i loro padri, le loro madri, i loro datori di lavoro — li lasciassimo fare.