Marco Mensurati, la Repubblica 11/1/2015, 11 gennaio 2015
DAGLI ERRORI NEL RAID AL RUOLO DI AL QAIDA TUTTI I MISTERI SULLA CELLULA DEL TERRORE
Parigi
1. Che collegamento c’è tra la strage nella redazione del Charlie Hebdo e la sparatoria di Montrouge?
La formula di rito usata dagli inquirenti in queste ore è: «Connessione certa, coordinamento probabile». Di sicuro, i fratelli Said e Cherif Kouachi e Amedi Coulibaly si conoscevano. Ed erano in contatto. Le loro donne si telefonavano spesso, dai tabulati sono emersi circa 500 contatti in un anno. E se da un lato, di certo, la simultaneità delle loro operazioni non è un caso, va anche detto che mentre i fratelli Kouachi si sono proclamati membri di “Al Qaida nello Yemen”, Coulibaly ha fatto riferimento al Califfato e all’Is. Le due organizzazioni non sono compatibili. «Più che una connessione tra gruppi islamici — spiega un investigatore — potremmo parlare di saldatura tra jihadisti francesi».
2. Chi erano i tre attentatori?
Il profilo dei fratelli Kouachi e quello di Coulibaly sono assai diversi. I Kouachi fanno parte a pieno titolo dell’esercito dei foreign fighters, fenomeno ormai noto nei suoi contorni generali alle intelligence di tutto il mondo. Dopo un primo indottrinamento in Francia, hanno avuto modo di frequentare corsi militari e religiosi in Yemen e persino di combattere in Siria. Sapevano dunque usare le armi e muoversi negli scenari di guerra. La figura di Coulibaly era più vicina a quella di uno squilibrato violento. «Il classico balordo che in carcere è poi diventato un criminale e fuori dalla moschea un terrorista», spiegano fonti dei servizi.
3. Che formazione terroristica avevano i tre?
Sin dalle prime battute gli inquirenti francesi e gli specialisti di tutto il mondo sono rimasti molto perplessi, davanti ai video dell’esecuzione al Charlie Hebdo. Gli uomini in nero mostravano uno stranissimo mix di preparazione militare e goffaggine, di sicurezza e imprecisione. La galleria di errori è lunghissima. I più evidenti sono quattro. 1) Sbagliano indirizzo. 2) Nella redazione uccidono un addetto alla sicurezza e una donna, contrariamente a quanto si erano prefissati: niente donne né bambini e solo giornalisti maschi, vale a dire “target”, per usare le loro stesse espressioni. 3) Durante il blitz dalla macchina lasciano cadere una scarpa da ginnastica a terra e poi perdono tempo a raccoglierla. 4) Si portano dietro la carta d’identità e la dimenticano sulla macchina prima di abbandonarla. A fronte di questi errori, però, c’è un comportamento da militari provetti: sono abili a manovrare le armi. Freddi, spietati. A parte un piccolo errore (incrociano per un istante i propri passi riducendo per alcuni secondi l’area “sotto tiro”), per il resto si muovono in maniera quasi perfetta. L’impressione finale è quella di una infarinatura un po’ frettolosa. Su Coulibaly si sa molto meno: delinquente comune, era diventato un “discepolo” di Djamel Beghal, terrorista franco algerino condannato per l’attentato all’ambasciata Usa a Parigi.
4. L’attacco a Parigi è stato “eterodiretto” dall’estero? ? ? C’è la mano di Al Qaida o dell’Is?
L’etero direzione dell’attacco è una delle ipotesi allo studio. I contatti presi da Said Kouachi con Al Awlaki, ucciso dai droni in un attacco americano, e Al Zindani, due figure di spicco della jihad qaedista, alimentano i sospetti. Al Awlaki era considerato dall’intelligence americana uno degli arruolatori di Al Qaida nella penisola araba (Aqap) nonché erede designato di Bin Laden, per capirsi: fu lui, dallo Yemen, ad avvicinare e addestrare Umar Farouk Abdulmutallab il terrorista nigeriano che nel dicembre del 2009 cercò di imbarcarsi sull’Aribus A330 Amsterdam-Detroit con l’esplosivo nascosto nelle mutande. Said Kouachi e Abdulmutallab, secondo il New York Times, sarebbero stati addirittura compagni di stanza durante quei mesi di formazione. Al Zindani, fondatore dell’università Iman di Sanaa nello Yemen, è l’uomo che più di tutti ha combattuto contro la pubblicazione delle vignette satiriche. Secondo gli investigatori è probabile che il “mandato politico” possa essere stato conferito dallo Yemen. Quanto poi i mandanti abbiano fornito supporto militare o logistico è tutto da vedere. Intanto, secondo la Cnn che cita fonti della polizia, cellule terroristiche dormienti sono state attivate in Francia nelle ultime 24 ore. E alle forze dell’ordine è stato chiesto di cancellare il loro profilo sui social media e di portare sempre con sé le armi.
5. Quali e quante armi sono state usate?
Oltre ai kalashnikov impugnati dai tre uomini e alle relative cartucciere, nella disponibilità degli attentatori c’era di tutto. Nella Citroen C3 nera abbandonata sulla via della fuga, vicino a un drappo jihadista, i poliziotti hanno trovato 12 molotov, due walkie talkie, un lanciarazzi M82, due pistole automatiche, altri due fucili kalashnikov, una granata e due coltelli. C’era anche una telecamera go-pro: forse, sospettano gli inquirenti, in un primo momento i due volevano filmare le proprie gesta per poi caricarle su YouTube secondo la più consolidata strategia del terrore islamico.
6. Si può parlare di débâcle dei servizi segreti francesi?
A prima vista sì. E del resto, come ha scritto ieri Le Parisien, la sorveglianza sui due fratelli del terrore era interrotta da sei mesi. Ma è anche vero che in un Paese post imperiale come la Francia, con un tasso di immigrazione così elevato, di “profili” criminali come quello dei due stragisti ce ne sono a migliaia e controllarli tutti è tecnicamente impossibile. È vero che i servizi segreti algerini avevano avvertito i colleghi francesi di un attentato clamoroso imminente, ma è anche vero che si trattava di un allarme molto generico, per altro simile a molti altri arrivati negli ultimi mesi. Meno difendibile è la scelta – non attribuibile ai servizi - di “allentare” la tutela alla redazione di Charlie Hebdo, notoriamente uno dei bersagli più sensibili dell’occidente. Mentre una vera e propria gaffe sembra essere l’intera vicenda della fuga di Hayat Boumeddien. Anche se i contorni di quest’ultima vanno ancora chiariti.
Marco Mensurati, la Repubblica 11/1/2015