Adriano Sofri, la Repubblica 11/1/2015, 11 gennaio 2015
L’AVANZATA DELLE “CONVERTITE” SOTTO IL VELO L’ESTREMA RIBELLIONE
La scena era stata pressoché tutta maschile: uomini gli assassinati, giornalisti, impiegati e poliziotti, uomini gli ostaggi uccisi, uomini gli assassini uccisi. C’era stata una donna, Clarissa Jean-Philippe, 26 anni, nata in Martinica, aspirante poliziotta e disarmata, ammazzata giovedì mattina a Montrouge da Amedy Coulibaly: un episodio senza rapporto con l’attacco a Charlie Hebdo, avevano detto, abbastanza assurdamente. C’era stata la disgraziata giornalista costretta ad aprire la porta agli assassini. E l’altra, Segolène Vinson, cui uno dei fratelli ha impartito la sua lezione — la leggete, se vi regge il cuore, come una parodia raccapricciante della parabola meravigliosa dell’adultera, “va’ e non peccare più”: «Non ti uccido perché sei donna e noi non uccidiamo le donne, ma ti devi convertire all’Islam, leggere il Corano e coprirti col velo!».
Donne di servizio, che il caso aveva interposto fra i vendicatori e i loro bersagli. Poi, una figura femminile si è via via fatta spazio, la minaccia micidiale che impediva di ritenere conclusa la sequenza sanguinosa. Una figura fatta apposta per suscitare i senti- menti più esacerbati e ingannevoli, a cominciare dalle immagini. In una, la fotografia a capo scoperto, è una ragazza davvero bella dallo sguardo insieme dolce e doloroso, che si direbbe destinata a commuovere come una vittima piuttosto che a spaventare. Nelle altre, lo sguardo è la sola cosa visibile attraverso una fessura nel nero della veste: non è più dolce, eppure c’è lei intera dentro il manto nero, mentre punta una balestra contro l’obiettivo.
Da ieri si dice che fosse uscita dalla Francia, alla volta della Siria, da alcuni giorni. Se fosse così, la caccia serrata inseguiva un fantasma: reso più minaccioso dall’aura speciale che accompagna l’idea della convertita. Dell’avversione all’islam, la conversione femminile è la punta più angosciosa. Lì non c’è una diversità, di religione o di costumi, c’è la sensazione di un tradimento, che le donne che passano al nemico violino l’identità più intima e gelosa della nostra società. È un capovolgimento di fronti insopportabile: un cambio di proprietà, un rinnegamento della libertà che pretendono “da noi” per la sottomissione completa “a loro”, e l’annuncio di un estremismo che mette insieme tutto, la fede supposta fanatica, e la disposizione femminile all’eccesso.
Il trasgressivo Houellebecq ha accettato una mezza misura facendo protagonista della sua conversione un professore come lui, e non una donna. Nei sommari ritratti sulla ventiseienne Hayat Boumedienne (sei fratelli, affidata bambina ai servizi sociali) la premessa alla conversione era una imprecisata adolescenza «turbolenta». Beninteso, che la compagna di Coulibaly porti nella sua uniforme nera un bagaglio di odio, vendetta e sangue, è del tutto possibile. Ma i giorni che stiamo vivendo sollevano interrogativi capaci di scuotere convinzioni e sentimenti, e anche di rivelarceli e rinsaldarli.
Le conversioni all’islam sono una moltitudine di cose diverse. Sono, intanto, le conversioni forzate di cui viene dato spettacolo, come con le ragazze studentesse (cristiane) rapite da Boko Haram, che chiediamo di “ridarci”, e intanto altre centinaia hanno seguito la loro sorte terribile, o le copte in Egitto e le cristiane d’Iraq, o del Pakistan… A volte, l’esito di queste “conversioni” è lo sbaraglio rassegnato delle “kamikaze”. Poi sono le donne che si convertono perché si innamorano di un musulmano. E ancora le donne che si convertono per una scelta personale, che abbia o no all’origine un amore, e allora le storie sono altrettante quante le protagoniste, e farle rientrare dentro una categoria psicologica o sociologica è un arbitrio.
Naturalmente, è lecito riconoscere tratti comuni nella decisione di giovani donne di lasciare educazione, famiglia e paese per andare a servire Allah e per lui i miliziani del califfato, e non a caso si indirizza loro una specifica campagna di adescamento. Ma non è la questione più importante. Una parola tiene il campo: sottomissione. Intanto perché è la traduzione di Islam. Ora è il titolo del libro di Houellebecq, che a sua volta riprende il precedente più vero della tragedia parigina: l’assassinio di Theo van Gogh, coautore con Ayaan Hirsi Ali del film Sottomissione ( 2004). Scrissi allora: «È stato ammazzato non perché fosse una personalità eccentrica invadente e trasgressiva — lo era — ma per aver avuto a che fare troppo da vicino con Ayaan Hirsi Ali. Da morto è stato sgozzato ritualmente, e sul suo ventre l’assassino ha conficcato con un coltello cinque fogli di devote bestemmie e minacce feroci. Ha fatto da bacheca per il manifesto di quel fanatico islamista, che annunciava la condanna a morte di Ayaan Hirsi Ali, e qualche altro. Lei vive scortata e nascosta. Gli altri sono avvisati. Anche i suoi editori, i suoi traduttori, i suoi prefatori». Ayaan avrebbe intitolato poi il suo libro Non sottomessa, premessa di un cammino che l’avrebbe fatta mettere al bando e condannare a morte come apostata — l’opposto della convertita — dagli assatanati tutori dell’islam.
Sembra che la maggioranza delle conversioni all’islam nel Regno Unito e negli Stati Uniti riguardi donne. Esistono molti libri e testimonianze personali, e spingono a ricordare esperienze affini nella cultura cristiana. La storia del monachesimo femminile si è divisa fra l’orrore della monacazione forzata e la vocazione scelta (e una dubbia terza via, di fingere che la monacazione forzata fosse una virtuosa scelta, e spingere al parossismo la dedizione). Da un lato l’ardore mistico, un’abnegazione eroica e a volte una sublimità intellettuale, dall’altro la disperata ribellione della ciocca che la monaca di Monza lascia uscire dal velo.
Affinità non vuol dire identità, e trasferire l’offerta del Grande Inquisitore di Dostoevskij — il pane e il quieto vivere contro una libertà troppo più che umana come quella proposta da Gesù — alle prediche degli imam da garage è una discesa di grado vertiginosa. Ma la convertita è anche per noi la figura della radicalità, della superiore santità che ha per premessa il peccato. La conversione all’islam nelle nostre società (salva, ripeto ancora, la storia personale di ciascuna) è la scelta di una soggezione senza riserve a una libertà, soprattutto sessuale, sentita come falsa, oltraggiosa, mercificante: i cartelloni pubblicitari e l’Histoire d’O. La nostra libertà, e quella sessuale che ne sta al cuore, è vastamente falsa e mercificante, ma ha l’invincibile pregio di fermarsi all’ habeas corpus, e di non voler negare la scelta di richiudersi dentro un burqa. La religione della laicità ha le sue gatte da pelare, e la giovane Hayaat Boumedienne quando ha indossato il suo velo integrale ha perso il posto di cassiera — che disprezzava, del resto. Chissà, per liberarsi di un posto di cassiera si può credere di esser chiamate a diventare una martire di Allah.
Adriano Sofri, la Repubblica 11/1/2015