Valeria Pacelli, il Fatto Quotidiano 11/1/2015, 11 gennaio 2015
TELEKOM SERBIA, SETTE ANNI A IGOR MARINI
Dopo undici anni è finito così il processo denominato “Telekom Serbia”: con una condanna definitiva a sette anni e mezzo di reclusione per il conte Igor Marini e nessuna risposta sugli eventuali mandanti dei falsi dossier sulle tangenti al centrosinistra della XIV legislatura. La seconda sezione penale della Cassazione, presieduta da Antonio Esposito, ieri ha respinto il ricorso dell’ex consulente finanziario, Marini, accusato di ricettazione, falso e calunnia, che nel 2003 ha causato un terremoto politico, tirando in ballo Romano Prodi e numerosi dirigenti del centrosinistra, colpevoli – a suo dire – di aver intascato tangenti milionarie provenienti dall’operazione di acquisto di Telekom Serbia. Con Prodi, finirono nel mirino anche Walter Veltroni, Piero Fassino. Come pure l’ex guardasigilli Clemente Mastella che ricorda ancora quando scoppiò lo scandalo: “Ero a cena con un amico – dice Mastella al Fatto – e mi chiamò il direttore di un telegiornale per rendere conto di questa storia. Mi accusarono addirittura di aver fatto una telefonata da Miami per avere da banca austriaca 5 milioni di dollari per la campagna elettorale a Ceppaloni”.
Era questa una delle menzogne che dal 2003 in poi riempirono anche le pagine dei giorni: il Giornale gli dedicò 32 titoli di apertura. La stampa da una parte, alcuni esponenti politici dall’altra, i quali fecero di quella che poi è stata definita “la madre di tutti i tentativi di denigrazione dell’avversario politico” il proprio cavallo di battaglia.
E di menzogne ce ne furono tante: la più dura fu appunto l’accusa al centro sinistra di aver intascato tangenti sull’acquisto da parte di Telekom Italia del 30 per cento di Telekom Serbia. Per quell’operazione – che costò 893 milioni di marchi tedeschi – sarebbero stati pagati altrettanti 893 milioni di dollari ai politici. Nessuno si accorse che per la prima volta nella storia delle mazzette, la tangente aveva un valore più elevato dell’operazione essendo quell’anno il dollaro più forte del marco. Da quei dossier sono nate due inchieste giudiziarie e una commissione parlamentare (istituita sotto il governo Berlusconi), le cui opere restano nella memoria: un giorno di maggio ad esempio due deputati, due poliziotti e un magistrato andarono con il conte Marini in Svizzera a recuperare le prove della corruzione e vennero arrestati e accusati dalla polizia elvetica di “spionaggio economico”. Alla fine gli episodi di calunnia tra il maggio e il settembre del 2003 – contestati nel capo di imputazione – sono ben 52. Marini ad esempio citò Prodi, Fassino e Dini (ribattezzati “Mortadella” , “Cicogna” e “Ranocchio”) quali destinatari di due pay order da 125 mila euro. E anche alti prelati, come il cardinale Ruini. Tutto falso, tanto che in primo grado, nel 2010, Marini è stato condannato a 10 anni. Sentenza ridotta in appello, nell’ottobre 2013, a sette anni e mezzo. Infine la Cassazione ha confermato questa pena. Il collegio infatti ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Giulio Romano nell’udienza di ieri aveva chiesto al collegio di pronunziarsi per la conferma della condanna, ritenendo “ben motivata” la sentenza rispetto al reato di ricettazione, e avendo verificato che “siamo sicuramente nei termini di prescrizione” per la calunnia. Oltre Marini è stato condannato anche l’ex manager Maurizio De Simone a 4 anni e mezzo per la sola accusa di calunnia.
Se le sentenze sono ormai definitive, resta l’ombra di eventuali mandanti di quei dossier. Ancora oggi Mastella si domanda: “Non mai capito il perché di quelle accuse. Chi c’era dietro?”. Un aspetto questo già evidenziato dai pm romani durante la requisitoria di primo grado, nel 2011. I pm Francesca Loy e Francesco De Falco definirono “Telekom Serbia la madre di tutti i tentativi di denigrazione dell’avversario politico”. E nella stessa sede bacchettarono la commissione parlamentare d’inchiesta che seguì la vicenda: “Di quello scandalo - dissero i pm - fu fatto un grande uso politico perché quello che Marini andava sostenendo al pari di alcuni soggetti che trafficavano in titoli falsi da monetizzare è stato cavalcato per motivi mai chiariti dalla commissione parlamentare d’inchiesta, che non solo contribuì a dilatare la portata di questo scandalo ma non fu per nulla tenera con i presunti corrotti”.
Valeria Pacelli, il Fatto Quotidiano 11/1/2015