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 2015  gennaio 11 Domenica calendario

NAZIONALE - 11

gennaio 2015
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R2 CULT-Cultura
Napoli.
A Capodimonte una retrospettiva sull’artista con le opere provenienti dal salotto del suo collezionista
Vincenzo Gemito
Il tormento e l’estasi del genio che scolpiva anche con i disegni
CESARE DE SETA
NAPOLI
DOPO la perdita del ruolo di capitale, Napoli visse una stagione artistica di primaria rilevanza e non fu seconda a Roma, malgrado le contraddizioni che segnarono la vita della città. Vincenzo Gemito (1852-1929) ne fu uno dei protagonisti più singolari e geniali a cavallo di due secoli. Nella sua vita visse momenti di esaltante successo ma anche drammatici con crisi psichiche ricorrenti che lo portarono alla follia. Da autodidatta fin dagli esordi aveva dato prova del suo versatile talento in felicissimi disegni, schizzi e acquerelli nei quali fissava le sue emozioni: volti, personaggi o scene prese dalla vita corrente. La sua forte personalità fu istintivamente lontana dalla retorica tardoromantica dominata da un bozzettismo e un paesaggismo di lieve tenuta. Non solo la cultura artistica napoletana ma l’intera Italia fu afflitta da queste tare che in parte la resero marginale rispetto all’Europa, ma assai meno di quanto fino a pochi decenni fa si è ritenuto. Gemito aveva mosso i primi passi nella bottega di Emmanuele Caggiano e di Stanislao Lista, scultori realisti di sicura professionalità: così imparò a modellare, ma la sua vera scuola fu il Museo Archeologico Nazionale dove attinse alla pittura ercolanese-pompeiana e alla statuaria antica con impressionante voracità. Nel museo ordinato dal grande Giuseppe Fiorelli disegnò sistematicamente e lì vicino aprì un primo studio. La più felice diagnosi di questo rapporto simbiotico è di Alberto Savinio (1938) quando scrisse: «era più scultore nei disegni che nelle statue… » e la sua opera è «arte italiana nel senso più vasto di arte mediterranea… un caso singolarissimo di uomo trasmesso da una epoca ad un’altra, o come dire il delegato della Grecia dal quinto secolo presso la Napoli dell’Ottocento». Gemito ebbe per nutrice Giuseppina Baratta, che aveva avuto un primo marito Bet imbianchino francese, e bambino imparò a parlare in napoletano e in francese: un legame quest’ultimo che fu un segno del destino visto che Parigi gli diede il primo successo internazionale. Al Salon del 1877 presentò il Pescatore napoletano in bronzo a grandezza naturale e faceva compagnia ad Auguste Rodin con il gesso de L’Age d’Airin affine allo sperimentalismo classicista di Gemito. L’amico in questa trasferta fu Antonio Mancini, strinse amicizia con Meissonier e scarsa attenzione mostrò all’incandescente avanguardia. La modella di Mancini Mathilde Duffaud, parigina colta, divenne la sua amante. Sono bellissimi gli inchiostri e gli acquerelli – in cui ricorrono tratti che ri- mandano a Degas e a Manet – dedicati a questa donna dal volto elegante. Mathilde lo raggiunse a Parigi ma la salute malferma di lei e le turbe psichiche di lui furono tali che nel 1880 lo scultore rientrò a Napoli. L’anno successivo muore la compagna e sconvolto si rifugia a Capri, dove conosce Anna Cutolo una donna assai bella che in qualche modo rappresenta l’alternativa fisiognomica e figurativa dell’ideale femminino di Gemito. Entrambe le donne testimoniano l’intensità del rapporto che ebbero con il loro compagno bello come un dio antico. I ritratti di Anna – inchiostri, tempere e busti – testimoniano come Gemito ritorni, dopo la parentesi parigina, al tema di fondo della classicità.
Moltissimi di questi fogli, bozzetti, disegni e sculture sono centro della mostra Vincenzo Gemito dal salotto Minozzi al Museo di Capodimonte , a cura di Fernanda Capobianco e Mariaserena Mormone (fino al 16 luglio, catalogo Arte’m). L’acquisto da parte del Ministero dei Beni culturali della collezione di Achille Minozzi arricchisce la collezione del museo con opere di grande fascino messe assieme nel corso di una vita nella casa di Mergellina: l’ingegnere Minozzi ricco imprenditore, fu intimo amico e protettore di Gemito. Se non fosse stato per Minozzi molto di quanto vediamo sarebbe andato distrutto o disperso dallo stesso Gemito che nel corso delle sue crisi distruggeva ogni cosa. La crisi più grave durò vent’anni, quando si rinchiuse nella sua casa-atelier di via Tasso. Minozzi creò una sala-museo che presto ci si augura possa essere ricomposta con il suo arredo in legno appositamente progettato per accogliere questa cornucopia di opere. Fu l’ingegnere che promosse la presenza delle opere di Gemito nell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 dove bronzi, terracotte e disegni ebbero grande successo e fu sempre lui a indurre Salvatore Di Giacomo, a scriverne la monografia (1905) testo di fine intelligenza critica. Lo scultore, devoto a Minozzi, di lui disegnò un ritratto in cui la mano s’apre simbolicamente in un gesto di munificenza, mentre più intimo è il ritratto in sanguigna. Alcune foto, una delle quali è nella monografia di Di Giacomo, ci mostrano quanto ricca fosse la raccolta e come essa fosse inserita nella boiserie del salotto. Partecipe di questa avventura fu Ada, figlia di Achille, donna raffinata che sposò nel 1904 Raffaele Cosenza, che lasciò a suo figlio l’ingegnere Luigi il salotto. Gli anni delle guerre certamente furono causa di dispersioni, ma segnalo a chi avrà il compito di ricomporre il salotto a Capodimonte che c’è un filmato all’Archivio della Biennale di Venezia prezioso nel quale intervisto Luigi Cosenza – l’autore della Olivetti di Pozzuoli – in occasione della mostra Il Razionalismo e l’architettura in Italia durante il fascismo ( 1976) e il regista indugiò su questo straordinario ambiente. Una rarità in un’epoca in cui si smantellano collezioni e si cancellano tracce importanti della storia artistica del Paese. I ritratti in terracotta del pittore Petrocelli e di Maria la zingara, i bronzi di un patriarca come Domenico Morelli che sempre lo protesse, di Giuseppe Verdi – intorno a cui Gemito indugiò a lungo fin a quando non ebbe l’occasione di vedere il maestro suonare al piano – e di Mariano Fortuny. Opere che risalgano agli anni 1873-74, cui si associano studi per sculture celeberrime come il Pescatore e l’ Acquaiolo, ma anche l’ Arciere, la Psiche, il Narciso, temi classici; per il Filosofo attinse al Socrate dell’archeologico ma il volto è un amorevole omaggio al padre adottivo Mastro Ciccio. Numerosi sono i bozzetti per il Trionfo da tavola commissionato dalla Corona proprio per Capodimonte. In questa opera Gemito mostra una dimestichezza con la temperie barocca per la fluidità quasi berniniana dei tratti. Un aspetto della vasta cultura di Gemito che non era rimasta ancorata al mondo antico ma aveva assorbito ad un momento essenziale della civiltà artistica italiana. Non solo i disegni e i bozzetti lo sottolineano ma anche la Coppetta con coperchio così firmata «Gemito / copiato da un / arancio / 1888» dove sembra rivivere la Stimmung del modellato barocco.
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LE OPERE
Da sinistra, Vincenzo Gemito:
L’arciere ; Ragazzo mendicante ; Il filosofo