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 2015  gennaio 10 Sabato calendario

«Sono l’opposto del Masini degli anni 90». Marco Masini si presenta così, ed è la settima volta in carriera, al Festival di Sanremo

«Sono l’opposto del Masini degli anni 90». Marco Masini si presenta così, ed è la settima volta in carriera, al Festival di Sanremo. L’opposto musicalmente, anzitutto: «“Che giorno è” è una ballad pop-rock con delle sonorità che nessuno si aspetta da me. Se “Disperato” è il Polo Sud del mio lavoro, questo è il Polo Nord. Ma credo che nell’arco di una carriera, e anche della vita, sia naturale andare da un estremo all’altro». Il cambiamento c’è anche nella persona. «Canto di un giorno positivo che è un punto d’arrivo dopo anni di ricerche e cambiamenti personali. Ho una visione diversa delle vicende e del mio cammino. Da giovane i giorni passano in fretta, dopo i 45 anni analizzi ogni dettaglio in modo diverso». Nel 2001 aveva annunciato il ritiro dalle scene perché si sentiva estromesso da radio e tv causa l’infamante etichetta di jettatore che gli avevano gettato addosso. «Non mi rovineranno la vita come a Mia Martini. Farò nomi e cognomi», denunciò allora. «Lungi da me la tentazione di fare nomi e cognomi. Sono tranquillo e sereno, non sento più rancore e odio —, dice adesso —. Però fu dura. Non trovavo più nessuno disposto a investire su di me. Era diventato impossibile lavorare. Ringrazio lo zoccolo duro di fan e gli amici che mi hanno sorretto: mi davano del vigliacco e allora decisi di ripartire da zero fondando una mia etichetta». E nel 2004, proprio a Sanremo, vinse con «L’uomo volante». Il cantautore fiorentino sta lavorando al triplo «Cronologia» in cui, assieme al brano in gara e 5 inediti, ci saranno i suoi vecchi successi. Il Masini di oggi dovrà affrontare il Masini di allora. «Gli argomenti di quelle canzoni sono ancora attuali: parlavo di droga, di ragazze disperate costrette a tirare avanti da sole e con un figlio. È il pubblico che viene ai concerti che mi fa capire che sono ancora attuali». Nel 1993 cantava «Vaffanculo». Anche quello è ancora valido? «Quello era un vaffa personale, detto da un ragazzo di vent’anni a chi non aveva creduto in lui prima del successo. Oggi quell’insulto ha più direzioni e va a colpire tutto quello che non mi va bene». Renzi sistemerà qualcosa? «Mi sembra presto giudicarlo». Però è stato sindaco della sua Firenze, lo ha già visto al lavoro a lungo... «Gli faccio gli auguri per l’incarico che ricopre, ma per la città rappresenta il passato — non si sbilancia —. Spero solo che Nardella, il nuovo sindaco, ci dia il nuovo stadio e punti sul turismo e sulla cultura per ridare attenzione alla città». Sei partecipazioni al Festival, scelga tre selfie... «Il primo non è la vittoria del 1990 fra i Giovani con “Disperato”: non lo metto perché non avevo nulla da perdere. Fotograferei il terzo posto del ‘91 con “Perché lo fai”: fu gratificante arrivare dietro Cocciante e, sopratutto, Renato Zero, uno dei miei idoli musicali». Secondo scatto. «Il 2004 con “L’uomo volante”. Un successo che arrivò dopo momenti di difficoltà e di cambiamento. Dopo che negli anni 90 avevo contribuito al rinnovo della nostra tradizione faticavo a ritrovare il bandolo della matassa. Quella vittoria fu importante». Ne manca uno. «Ne scelgo uno negativo. Nel 2009 portai “L’Italia” un brano che non mi convinceva: raccontavo i difetti del Paese con un taglio troppo giornalistico. Non è quello che la gente vuole ascoltare in una canzone. Mi sentii pesante». L’autovoto è vietato. Chi farebbe vincere in questa edizione? «Non conosco le canzoni, quindi mi baso sulle persone. Grignani, che quando vidi la prima volta pensai sarebbe diventato il nuovo Vasco, ha ancora la possibilità di dimostrare di essere forte, ma deve dare di più. Se parliamo di amicizia scelgo Raf: sono stato per tre anni il suo tastierista». Andrea Laffranchi