Fabio Cavalera, Corriere della Sera 10/1/2015, 10 gennaio 2015
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA È
tutto da vedere chi sia il «Buon Samaritano» fra il quattordicenne Ben Azarya che raccoglie il piccolo tesoro e quel signore sui quaranta con un «vecchio cappellaccio» che invece, il piccolo tesoro, glielo regala. Ma la storia ha comunque gli ingredienti di una bella parabola e le parabole conservano pur sempre qualcosa di misterioso. Se poi aggiungiamo che di mezzo c’è il nome di Banksy il quadretto si completa alla perfezione.
Banksy è l’artista di strada più famoso al mondo, il più quotato. Pure il più anonimo. Colpisce con classe e torna in silenzio, circondato da mille domande: chi è il vero Banksy?
Ciò che capita a Ben Azarya su un treno in Cumbria, nord inglese, rientra perfettamente nei canoni del personaggio Banksy. Anche se, va detto, potrebbe essere benissimo un suo imitatore, un suo adepto, un suo allievo. Il mistero è mistero. Banksy è mistero.
Dunque: il ragazzino, Ben, è in carrozza e seduto davanti c’è un tipo «occhi azzurri, capelli biondi sotto il cappellaccio scuro, blu jeans, la giacca appoggiata al braccio, un uomo piuttosto stravagante» che sta discutendo animatamente al telefono con un amico. L’amico ha il nome strano di «Ak 47», che è la sigla del kalashnikov ma è anche un tag usato dai graffitari, moltissimi imbrattatori e vandali di professione, pochi artisti coi fiocchi o persino di valore. Banksy per l’appunto.
Ed è tale la foga della discussione telefonica che lo «stravagante signore» a un certo punto e senza accorgersene perde alcuni disegni che conserva nella borsa. Ben è un adolescente educato e li tira su per restituirli al compagno di viaggio che ringrazia, poi ne prende uno, lo scarabocchia e gli mette la firma, il tag, come si dice, il marchio di fabbrica. E gli dice «Tu sai chi è Robert Banks?».
Banksy è uno pseudonimo. Pochissimi conoscono il vero nome. Molto si è favoleggiato, scritto e ipotizzato. Ad esempio: che siano più artisti e non uno. Che sia una donna. Che sia il volto nascosto di un artista molto famoso. In ogni caso è un fuoriclasse. Schizza, dipinge e dissacra con ironia, con maestria. Sui muri di Londra e di New York, quando parte in trasferta. Le opere, bellissime, valgono decine di migliaia di sterline o di dollari, se non vengono distrutte o cancellate da zelanti e frettolosi «tutori dell’ordine». Banksy, questo ormai è certo, è di Bristol. Almeno il Banksy delle origini. L’underground di Bristol. C’è chi si è spinto fino a identificarlo per Robert Gunningham, ex studente di scuola musicale. Chissà. Le prime incursioni notturne cominciarono proprio a Bristol. Più di venti anni fa.
Difficile che il vero Banksy si sia qualificato sul treno con le generalità giuste. Robert Banks non esiste. E comunque Ben, il ragazzino, proprio non lo ha mai sentito nominare. Né Banks. Né Banksy. «Non so chi è» ammette sincero (anche se adesso, se fosse vero, sarebbe uno dei pochi al mondo a conoscere il volto dell’artista). Allora, «lo stravagante signore», che è lì con lui, sorride e, prima di congedarsi, gli offre il disegno: «Tienilo, guarda che vale 20 mila sterline».
Un po’ incuriosito e affascinato, un po’ ringalluzzito dall’idea delle ventimila sterline, Ben se ne va a casa e alla mamma racconta l’avventura in treno. E così nasce il mistero. Perché la mamma non è sprovveduta ed è ben consapevole di che cosa valga Banksy.
Non le resta che affidarsi agli esperti per stabilire se è un falso o un originale. Per il momento il confronto dei tag, delle firme, sembra perfetto o quasi. Il tam-tam raggiunge i giornali. Quando si parla di Banksy e della sua «street art» i titoli sono assicurati. Peccato che un anonimo, spacciandosi per il «vero Banksy», faccia sapere di non essere lui l’uomo del treno. Depistaggio da maestro? Il sospetto c’è. In fin dei conti mistero più mistero sono gli ingredienti giusti di Banksy, il «Buon Samaritano» di strada da parecchi zero.
Fabio Cavalera
@fcavalera