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 2015  gennaio 09 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - EPILOGO PER CHARLE HEBDO


REPUBBLICA.IT
Le forze speciali hanno deciso l’attacco ai terroristi che hanno sconvolto la Francia. Due blitz praticamente contemporanei a Dammartin - nella tipografia dove si erano asserragliati i due fratelli assalitori di Charlie Hebdo con un ostaggio - e nel negozio kosher di Parigi dove si era rinchiuso un terrorista (forse della stessa cellula jihadista) con numerosi ostaggi.

I due fratelli Kouachi sono stati uccisi dalle forze speciali, così come il killer asserragliato nel negozio kosher di Parigi, Amedy Coulibaly. Gli ostaggi dei due fratelli, tra cui un bimbo, sono stati liberati. Sembrava fossero sei ma nel negozio c’erano evidentemente altri avventori - alcuni dicono 15 - dei quali nessuno aveva notizia. E tra loro ci sono vittime - quattro, come confermato dal presidente Hollande - e altrettanti feriti gravi. Alcuni fonti, inoltre, riferiscono che Coulibaly avrebbe fatto fuoco sui sequestrati subito al suo ingresso nel negozio. Ed è giallo sulla sorte della complice del sequestratore, la 26enne Hayat Boumeddiene. Inizialmente si è detto che era riuscita a fuggire, confusa tra gli ostaggi. Fonti di Le Monde invece smentiscono: non era proprio presente nel negozio.

Dalle prime notizie su Dammartin sembra che i fratelli Kouachi siano usciti dalla tipografia, nella quale si erano asserragliati , sparando all’impazzata contro le forze di polizia dopo che queste - probabilmente - avevano iniziato a lanciare bombe e lacrimogeni nel locale. Salvo l’ostaggio del quale - a quanto hanno ricostruito i primi soccorritori - i due killer potrebbero anche non essersi accorti perché si era probabilmente nascosto in uno scatolone o in una botola. Tra le forze speciali si segnala solo un ferito lieve, mentre sarebbero quattro gli agenti rimasti feriti nell’irruzione nel negozio di Parigi.

E’ questo l’epilogo del doppio attacco alla Francia da parte di terroristi islamici dopo il massacro nella redazione parigina della rivista satirica Charlie Hebdo. I due fratelli Kouachi, ritenuti responsabili della strage, sono rimasti in trappola dalla mattina nel nord del Paese. E a Parigi un terzo uomo, di cui gli inquirenti sospettano la medesima affiliazione jihadista dei Kouachi e ieri ha ucciso a Montrouge una poliziotta, ha compiuto un assalto a un negozio kosher, prendendo ostaggi. In tutto il Paese il clima è di alta tensione, a Parigi il prefetto ha ordinato la chiusura precauzionale di tutti i negozi del quartiere ebraico, il Marais.

Dopo la fuga tra i boschi nella notte, l’inseguimento con la polizia a bordo di un’auto rubata e una violentissima sparatoria, i Kouachi si erano barricati nell’agenzia ’Creation Tendance Decouverte’, una piccola tipografia di Dammartin en Goele, in Rue Clement, a una quarantina di chilometri a nord-est di Parigi. Una persona, il 27enne Michel Catalano il responsabile della piccola azienda a conduzione familiare, è rimasto nel locale ( ma non è chiaro se i sequestratori si fossero accorti della sua presenza). A qauel punto è iniziato l’assedio: bloccate tutte le strade, studenti chiusi nelle classi, le finestre protette.

Poche ore dopo il drammatico blitz di Dammartin en Goele, l’assalto nella zona sud di Parigi - a Porte de Vincennes. Prima uno scontro a fuoco in cui un uomo è rimasto gravemente ferito, poi Amedy Coulibaly - così è stato identificato il presunto terrorista - ha fatto irruzione in un piccolo market di alimentari ebraici kosher, prendendo 5 ostaggi tra cui un bambino piccolo. Coulibaly fa parte della cellula jihadista dei fratelli Kouachi: la famosa cellula di Buttes-Chaumont, dal nome del parco parigino del XIX arrondissement in cui si radunavano i reclutatori jihadisti per la guerra in Iraq. Coulibaly, un 32enne di origini africane, nel 2010 era stato collegato alla progettata evasione di Smain Ait Ali Belkacem, terrorista algerino condannato all’ergastolo per gli attentati del 1995. Contattato da Bfm Tv, durante il sequestro, Coulibaly ha detto di appartenere a Daesh, acronimo arabo per indicare lo Stato islamico. E ha aggiunto di essere "sincronizzato" con fratelli Kouachi: "a loro Charlie Hebdo, a me i poliziotti", ha detto. Uno dei fratelli Kouachi, prima di essere ucciso nel blitz delle forze speciali francesi, aveva invece annunciato alla ’Bfm Tv’ di essere stato inviato e finanziato da Al Qaeda nella Penisola Arabica, braccio yemenita dell’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden.

IL LIVEBLOG DELLA GIORNATA

FOCUS STRAGE CHARLIE HEBDO

Intanto si prepara la grande marcia di domenica a Parigi. Hanno annunciato la loro partecipazione anche i leader di molti Paesi europei. Arrivereanno David Cameron e Angela Merkel, Matteo Renzi, Mariano Rajoi, il presidente del Consiglio europeo Tusk. "Continuiamo a vigilare, ci saranno altre minacce", ha detto il presidente francese stasera in un messaggio alla nazione. E poi: "Da questa prova usciremo ancora piu’ forti. Questi fanatici non hanno nulla a che fare con l’Islam. E noi saremo implacabili contro razzismo e antisemitismo".

PEZZO DI STAMATTINA DEL CORRIERE SU MONTROUGE
DAL NOSTRO INVIATO PARIGI Clarissa è morta mentre svolgeva il mestiere che stava ancora imparando. I gesti delle mani, mantenere la calma in mezzo al traffico e agli insulti degli automobilisti. Avrebbe dovuto essere un altro giorno caotico ma normale, uno dei quarantacinque di apprendistato prima di diventare vigilessa titolare. Per questo aveva lasciato l’isola della Martinica, dall’altra parte dell’Atlantico: partecipare al concorso del comune di Montrouge, trovare un lavoro, avere uno stipendio.
È stata uccisa a 25 anni da un uomo sceso da una macchina. Tutti e due indossavano il giubbotto antiproiettile, lui era armato, lei disarmata. La polizia sta cercando di ricostruire quello che è accaduto poco dopo le 8 di ieri mattina nel dipartimento Hauts-de-Seine, a ovest di Parigi. Clarissa Jean-Philippe viene chiamata assieme a un collega, c’è stato un incidente, il vialone è intasato. L’agente è in piedi tra i veicoli, da uno di questi un uomo spara con una pistola, la colpisce alla gola, le piastre di kevlar non possono fermare i proiettili.
Gli investigatori considerano l’attacco un «attentato», non vedono per ora legami con la strage di mercoledì nella redazione di Charlie Hebdo. Anche se un testimone dice che l’omicida era vestito di nero, come i terroristi che hanno assaltato la sede del settimanale satirico. Due uomini sarebbero stati fermati. «Il mio cliente non c’entra, si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato» commenta uno degli avvocati. Per ora la polizia non conferma neppure gli arresti.
«È evidente che abbiamo pensato subito a Charlie Hebdo» racconta Claire Cheour al quotidiano Le Monde . Vive vicino al luogo della sparatoria, aveva appena accompagnato i figli a scuola, il portone è rimasto socchiuso, i bambini sono entrati uno alla volta, i genitori restavano fuori: «In questa zona c’è un istituto ebraico, ho pensato fosse il bersaglio». Claire è convertita all’islam: «È già cambiato il modo in cui la gente guarda me e il mio velo».
L’uccisione della vigilessa a Montrouge spinge il ministero degli Interni a mantenere l’allerta sul livello «rischio attentati». Il piano Vigipirate — creato nel 1978 e messo in atto per la prima volta durante la guerra del Golfo nel 1991 — continua il dispiegamento di militari e poliziotti, ormai oltre 10 mila tra la capitale e le regioni verso il Nord del Paese, dove si sta concentrando la caccia ai due fratelli Kouachi.
Parigi blindata, le pattuglie in assetto di guerra, gli appelli alla vigilanza. La tensione ha causato qualche falso allarme, come nel quartiere della Défense dove gli impiegati al lavoro nei grattacieli di vetro e acciaio hanno ricevuto un’email che li avvertiva di restare negli uffici, un uomo armato era stato avvistato nella zona. Tutto sarebbe partito dal passaparola digitale, un sms via cellulare diventato vero panico. Le squadre speciali hanno comunque perquisito l’area, l’ordine è di non sottovalutare alcun pericolo.
Le Monde ha elencato ora dopo ora le segnalazioni: una borsa abbandonata a una fermata della metropolitana, uno zaino sospetto alla Gare de Lyon, sette bombole di gas scoperte nel parcheggio della stazione di Colmar, al confine con la Germania. Ovunque la stessa procedura: zona isolata, treni bloccati, passeggeri evacuati, la sacca o il pacco fatti saltare dagli artificieri.
Bernard Cazeneuve, il ministro degli Interni, ringrazia le centinaia di cittadini che hanno telefonato al numero verde attivato per gli avvistamenti dei due fratelli ricercati, ammette che non molte delle informazioni hanno fornito una pista. Gli investigatori prendono in considerazione e verificano tutte le chiamate — raddoppiate dopo l’omicidio a Montrouge — come quella che avvertiva di un uomo con il passamontagna nero alla guida di un’auto e si è rivelata infondata.
Davide Frattini

PEZZO SARZANINI SU NUOVA LEGGE
ROMA Espulsioni veloci e misure di sorveglianza speciali per i sospetti. È composto da cinque articoli il provvedimento antiterrorismo che il ministro dell’Interno Angelino Alfano porterà a Palazzo Chigi per contrastare il fenomeno dei «lupi solitari» e così cercare di prevenire atti estemporanei, ma anche attacchi pianificati come quello contro la rivista Charlie Hebdo a Parigi. Misure d’urgenza che il governo deciderà se approvare addirittura per decreto.
I combattenti stranieri
Modifiche al codice penale che — senza stravolgere le attuali norme — inseriscono una serie di procedure per «combattere le organizzazioni, che hanno minacciato il compimento di attentati anche ai danni di Stati europei, tra cui l’Italia, ed esercitano una forte capacità di proselitismo e attrazione, incrementando il fenomeno dei cosiddetti foreign fighters , cioè dei soggetti che, senza essere cittadini o residenti, si recano in Paesi dove agiscono questi sodalizi per combattere al loro fianco o per commettere azioni terroristiche».
Il titolare del Viminale ribadisce che sono «53 quelli censiti che non sono italiani ma hanno avuto a che fare con l’Italia nella partenza o nel transito. Conosciamo la loro identità e sappiamo dove si trovano», anche se la cifra appare in continua evoluzione e il timore è che in realtà qualcuno possa essere sfuggito al controllo o comunque sia in grado di organizzare azioni anche dall’estero. Non a caso in queste ore si stanno ricontrollando le liste, confrontandole con quelle fornite dagli apparati di intelligence stranieri.
Viaggi ed esplosivi
Il testo messo a punto dai tecnici del Viminale con l’accordo della Giustizia integra l’articolo 270 quater sull’arruolamento con finalità di terrorismo «per rendere punibile anche il soggetto che viene arruolato per le predette finalità» ma soprattutto per punire con la reclusione da tre a sei anni «l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda di viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità terroristiche».
Una nuova sanzione penale riguarda invece «il soggetto che si “autoaddestra” all’utilizzo di armi, esplosivi, sostanze chimiche o nocive ovvero alle tecniche e ai metodi per commettere atti di violenza o sabotaggio con finalità di terrorismo». Quello sugli esplosivi è un aspetto che si è deciso di perseguire in maniera più efficace prevedendo l’arresto fino a 18 mesi per «chiunque, senza averne titolo, introduce nel territorio dello Stato, detiene, usa o mette a disposizione di privati le sostanze o le miscele che le contengono indicate come precursori di esplosivi» e fino a 12 mesi per «chiunque omette di denunciare il furto o la sparizione delle materie indicate come precursori di esplosivi».
Espulsioni e Internet
Per tenere sotto controllo i «sospetti» e impedire i viaggi di addestramento verso i teatri di guerra, ma anche per garantire la procedura di espulsione, il provvedimento prevede che «nei casi di necessità e urgenza, il questore, all’atto della presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora abituale, può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento». Chi non rispetta i divieti rischia la reclusione da uno a tre anni.
Norme più severe anche per quanto riguarda la rete internet, ritenuta dagli analisti il veicolo più efficace di propaganda tra i jihadisti.
Per questo «se sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che la propaganda terroristica avviene per via telematica, il pubblico ministero ordina ai fornitori di servizi o ai soggetti che comunque forniscono servizi di immissione e gestione, attraverso i quali il contenuto relativo alle medesime attività è diffuso al pubblico, di provvedere alla rimozione» e ciò deve avvenire entro 48 ore.
Militari e agenti
Alle forze dell’ordine viene concessa la possibilità di accedere ai dati personali in maniera più elastica. Una misura che certamente potrebbe creare polemiche, perché consente di effettuare «per finalità di polizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati all’esercizio dei compiti di polizia di prevenzione dei reati» e quindi anche quando non ci siano contestazioni già effettuate ma un semplice sospetto.
Sulla necessità di utilizzare strumenti straordinari insisterà Alfano che già ieri ha ribadito come «nessuno possa escludere che in Italia accadano fatti drammatici, anche se stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo».
Al suo fianco avrà il ministro della Difesa Roberta Pinotti che evidenzia il pericolo di emulazione e insisterà sulla necessità di abolire i «tagli» previsti mantenendo il numero dei militari a presidio degli obiettivi sensibili uguale a quello del 2014.

fsarzanini@corriere.it

SE LA SONO CERCATA (CDS DI STAMANE)
PIERLUIGI BATTISTA
Stavolta i professionisti del «se la sono cercata» non hanno perso tempo. Anche nel clima ecumenico del «Je suis Charlie», sul Financial Times si bolla come «stupida» la scelta del giornale massacrato dagli stragisti di pubblicare le vignette su Maometto. E sul New York Times risuona la parola «irresponsabili». Ma almeno sono coerenti. L’abitudine di prendere le distanze dai bersagli della furia fanatica si è manifestata anche in tanti intellettuali, campioni della satira, sacerdoti del politicamente corretto che nel 2006 criticarono aspramente Charlie Hebdo perché, da veri irriverenti e libertari, avevano osato affermare il diritto di pubblicare una vignetta senza incorrere in una condanna a morte. E se anche non apprezzavano il gusto e l’estetica delle vignette pubblicate in Danimarca che stavano provocando tumulti, assalti, roghi tra i militanti islamisti pronti a uccidere i «blasfemi» e gli «infedeli», decisero di tener fede al principio non negoziabile della libertà d’espressione. Ma erano libertari, appunto. Altri invece, criticarono duramente (se la andavano a cercare) quella scelta. Per il Premio Nobel José Saramago «alcuni ritengono che la libertà d’espressione sia un diritto, ma la cruda realtà impone dei limiti». La libertà d’espressione «limitata» come la sovranità dei Paesi dell’Est sotto Breznev: la ricetta di Saramago. In Italia Vauro sosteneva che quelle vignette erano «propaganda bellica» e «la libertà d’espressione non c’entra niente», eccepiva, e concludeva, censurando la scelta di Charlie Hebdo : «Non ci si può indignare se messaggi violenti ottengono e provocano reazioni violente»: se la sono cercata e, nove anni dopo, l’hanno tragicamente trovata. Per Elle Kappa «quelle vignette offendono il sentimento religioso dei musulmani». Sandro Ruotolo tuonava, su un sito pacifista: «A pubblicarle è stato un giornale di estrema destra danese. La libertà di satira non c’entra e non ci si può chiedere di aderire alle libertà di propaganda». La «libertà» non c’entra mai, per gli ultras del «se la sono cercata» (e non si capisce nemmeno perché si debba negare «la libertà di propaganda»). Categorico Giulietto Chiesa contro la scemata del settimanale francese: «Pubblicare quelle vignette a difesa della libertà d’espressione la considero una provocazione non meno stupida per il fatto che è stata collettiva». Se l’erano andata a cercare collettivamente. «Stupidi», come sostiene il Financial Times . Del resto, non è che la difesa della libertà d’espressione, quando si creano attriti con il fondamentalismo jihadista, sia una bandiera che gli intellettuali intimoriti o pronti alla «sottomissione» evocata da Michel Houellebecq sono disposti a sventolare con una certa fermezza di princìpi. Ayaan Hirsi Ali, braccata dai fanatici islamisti per aver collaborato con Theo van Gogh, pugnalato in Olanda, è stata sfrattata perché i vicini ne hanno chiesto l’allontanamento e l’Università di Boston ha revocato una laurea honoris causa dopo le proteste dei professori timorosi di fomentare «guerre di religione». Quando Salman Rushdie era inseguito dai musulmani che volevano eseguire la fatwa pronunciata da Khomeini, molti intellettuali prestigiosi parteggiarono per i carnefici e infierirono sulle vittime (lo scrittore e i traduttori). Lo storico Hugh Trevor-Roper, noto per aver avallato la bufala dei falsi diari di Hitler, sentenziò: «Non verserei una lacrima se qualche musulmano inglese lo aspettasse in un angolo buio per insegnargli le buone maniere». E John Le Carré: «È mia opinione che Rushdie non abbia niente da dimostrare se non la sua irresponsabilità». Se l’era andata a cercare. Come gli «irresponsabili», gli «stupidi» di Charlie Hebdo .

MARCO IMARISIO STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO PARIGI A dividere il ragazzo di banlieue che beveva birra e cantava il rap dal presunto assassino che imbraccia il kalashnikov adesso c’è un cratere. Il prima e il dopo di Chérif Kouachi finiscono e iniziano al civico 39 di rue Tanger, davanti a un cancello che nasconde i resti di un cantiere mai finito. I capannoni industriali che ospitavano la vecchia moschea Adda’wa del XIX arrondissement sono stati abbattuti nel 2006 e da allora i musulmani che rappresentano la maggioranza di questo anticipo di periferia pregano in quattro diversi garage del circondario. Quando ci mette piede per la prima volta, dopo il Ramadan del 2001, l’uomo accusato di essere la mente della coppia dei fratelli presunti stragisti non conosce una sola parola di arabo. Orfano dei genitori, è cresciuto in una casa famiglia di Rennes, in Bretagna, dove ha ricevuto la normale educazione francese, fermandosi alla soglia del diploma di scuola media.
Arriva nella banlieue di Genervilliers ancora minorenne con il fratello Said, due anni più di lui, e da allora mette insieme una serie di piccoli reati che al tempo del suo primo processo per terrorismo gli valgono un profilo psicologico per nulla simile a quello del fanatico jihadista. «Fuma, beve, non porta la barba e ha un’amante fuori dal matrimonio contratto in giovane età». Ancora nel 2003 si diletta con il rap e i testi delle canzoni che sceglieva erano un inno al machismo, non certo al Corano.
Quello è l’anno in cui Chérif incontra uno strano personaggio che ha preso possesso dei capannoni di rue de Tanger mettendo fuori gioco i vecchi imam moderati. Si chiama Farid Benyettou, come lui è di origine algerina e si presenta come una specie di predicatore, non certo moderato.
La sua opera di proselitismo si traduce nella costruzione di una rete di aspiranti martiri per la guerra in Iraq, con annesso addestramento ideologico e pratico. La banda del Buttes Chaumont, i giornali la chiamarono così, per via delle riunioni all’aria aperta nel parco del XIX arrondissement che divide il quartiere arabo dalla zona turistica da La Villette. Il giorno fatale dovrebbe essere il 25 gennaio 2005, partenza da Parigi verso l’Iraq. I biglietti sono già pronti. Chérif viene arrestato dopo la data di partenza. È rimasto a casa, racconterà in seguito di aver mancato l’appuntamento.
Il più giovane dei fratelli Kouachi perde l’aereo e forse anche la voglia, almeno in apparenza. «Al nostro primo incontro mi sembrò addirittura sollevato. Mi confessò di avere avuto una paura folle di partire per davvero dopo tante chiacchiere». L’avvocato Vincent Olliver è uno dei professionisti più ricercati di Francia, almeno in questi giorni. A processo riuscì a convincere i giudici ad attenuare la pena usando l’argomento del noviziato islamico di Kouachi, al suo debutto. Olliver ride alla domanda se avesse notato qualcosa di particolare durante l’incontro con il suo cliente alla vigilia della libertà condizionata dopo 18 mesi di carcere: «Si mangiava le unghie. Lo faccio anch’io».
Chérif è libero ma Parigi diventa una gabbia. I poliziotti dell’antiterrorismo lo tengono d’occhio. Porta la famiglia a Reims, lontano dagli occhi e dai controlli periodici, ma continua a gravitare nella banlieue della capitale francese.
Nel 2010 il suo nome spunta spesso nelle conversazioni intercettate di Djamel Beghal, condannato cinque anni prima per essere stato l’ideatore di un attentato, mai realizzato, contro l’ambasciata Usa in Francia e sospettato di essere il capo di una nuova cellula jihadista. Kouachi va più volte a trovare il nuovo maestro. L’antiterrorismo lo fotografa mentre partecipa a una partita di calcio tra aspiranti martiri. La magistratura lo definisce «allievo prediletto» di Beghal, che ha preso il posto del predicatore algerino con l’unica variante della Siria al posto dell’Iraq come destinazione ultima del viaggio.
Marce forzate ed esercizi fisici, ma non risulta l’addestramento con armi che avrebbe portato all’incriminazione. Le perquisizioni a Reims e Parigi danno magri frutti. Ci sono video di Al Qaeda mischiati a video pornografici, e molti libri di indottrinamento a senso unico. Nelle pagine di Statuto giuridico dell’infedele c’è una nota a margine scritta da Kouachi in francese. «Colui che abbandona la preghiera è un miscredente apostata. L’unica sentenza possibile è la morte».
Il ragazzo che cantava il rap è ormai stato sostituito dall’eterno allievo plasmato da due predicatori violenti. Ma non ci sono mai le prove del passo definitivo. La moglie, interrogata dai magistrati, racconta di portare il velo dal 2008, ma non per costrizione. Chérif dice invece che i suoi incontri con Beghal erano frutto della voglia di trascorrere qualche giorno in campagna. Scriverà il giudice: «Nonostante il saldo ancoraggio all’Islam radicale, l’interesse dimostrato verso le tesi difensive della Jihad armata e la conoscenza di molti soggetti dell’inchiesta, non esistono prove dirette del coinvolgimento di Kouachi».
Accanto a lui, in ogni passo dell’inchiesta, che verrà archiviata nel 2012, appare Said, il fratello silenzioso. Spariscono entrambi, per riapparire la mattina del 7 gennaio. La meta finale di un viaggio cominciato sognando la Jihad internazionale è un ufficio nel centro di Parigi a pochi chilometri di distanza dal XIX arrondissement. Al posto dei capannoni di rue de Tanger doveva sorgere una moschea con una sala da preghiera da 1.600 posti, come si legge nel cartellone appeso al cancello. Era stata promessa ai fedeli per il Ramadan del 2010, poi per quello del 2011. Alla fine è rimasto solo il cratere.