Roberto Giardina, ItaliaOggi 9/1/2015, 9 gennaio 2015
NON VOGLIONO DIVENTARE TEDESCHI
Berlino
Una volta, alla nostra ambasciata tedesca in Germania, ho incontrato un italiano che si vantava d’aver aperto la prima pizzeria a Berlino. Non era il primo, non sarà l’ultimo. Ne ho conosciuta almeno una mezza dozzina. Tutti in buona fede. «Vivo in Germania da trent’anni», si lamentava, «e sono sempre uno straniero».
Ormai può chiedere la cittadinanza, gli ho detto. Mi ha guardato come se l’invitassi a tradire la patria. «Io tedesco? Mai». E ha continuato a protestare. Una contraddizione da esule. Anch’io potrei chiedere il doppio passaporto, ma quali vantaggi avrei? Come europeo, ho tutti i diritti dei prussiani. Forse, un giorno, chiederò asilo politico, ma questo è un altro discorso.
Sono andato alla presentazione della seconda edizione di Tutti a Berlino (Quodlibet), guida pratica per chi si vuole trasferire nella metropoli di Gabriella Di Cagno e Simone Buttazzi. Ero andato anche alla prima. Quel che dice il manuale, lo so. Mi interessava il pubblico. Nel frattempo, Buttazzi, di professione traduttore, ha preso il passaporto tedesco. La coautrice lo prendeva affettuosamente in giro: «Quando gli hanno messo in mano il passaporto tedesco, Simone è scoppiato a piangere». E ha aggiunto: «La funzionaria lo ha avvertito: lei ora ha un pass tedesco, ma guardi che non è diventato tedesco». Sarà stata messa in allarme dalle lacrime. Non basta un documento a cambiare le nostre radici.
Io ho vissuto a Palermo appena 13 anni, eppure continuo a soffrire per i rosanero. Poi, trovo che se diventassi tedesco, non sarei più credibile come corrispondente dall’estero per un giornale italiano: debbo infatti rimanere (anche se vivo in Germania da più di un quarto di secolo) un osservatore che vede con altri occhi (gli occhi italiani, appunto) la realtà in cui vive. Sono convinto d’avere ragione, ma alcuni miei colleghi che vivono negli Usa e hanno giurato sulla bandiera a stelle e strisce, non la pensano come me. Avranno i loro buoni motivi, sicuramente familiari.
A quanto pare, a casa di Frau Angela io non sono in minoranza. Secondo i dati comunicati dal Baden-Württemberg, il Land con la più alta percentuale di residenti con radici straniere (uno suo quattro), anche alla terza generazione gli immigrati sono restii a prendere la cittadinanza tedesca. Da noi, come di sovente, si fa confusione tra jus sanguinis e jus soli. Concedere la cittadinanza a chiunque nasca in Italia? Perfino gli Stati Uniti vogliono modificare la legge. Ora si dice jus soli dopo che i figli degli immigranti hanno compiuto un corso di studi. E allora non è jus soli. Ma noi giochiamo per furbizia con le parole.
Ora, dopo un certo numero di anni, i tedeschi concedono il doppio passaporto. Fino al 2013, compiuti i 23 anni dovevano scegliere: o l’uno o l’altro. Adesso non più. Ma solo un terzo ha chiesto il Doppelpass, e i più restii a «tradire la patria» sono i turchi e gli italiani. L’Università di Costanza ha condotto una ricerca sull’integrazione: perché non volete diventare tedeschi? Ci sentiamo sempre stranieri, siamo stranieri, ci trattano da stranieri, sono le risposte scontate.
Una causa è la scarsa integrazione scolastica: solo il 15% dei ragazzi italiani arriva a studi superiori, i turchi sono al 12%, ma la percentuale dei tedeschi è del 28. Gli immigrati dall’Europa dell’Est appaiono più motivati. Il 31% dei polacchi arriva a un diploma, e addirittura il 44% dei serbi e dei croati. Gli immigrati da questi paesi sanno che quasi sempre non ci sarà ritorno, e cercano di integrarsi. Gli italiani continuano a vivere a mezz’acqua, convinti di tornare dopo qualche anno al paese, continuano a vedere la nostra tv da Berlino o da Amburgo, e i figli parlano spesso dialetto a casa, e non impareranno mai bene il tedesco.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 9/1/2015