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 2015  gennaio 09 Venerdì calendario

PERISCOPIO

Charlie Hebdo aveva pubblicato le prime vignette satiriche su Maometto nel 2006. Ci hanno messo un po’ a capirle. Spinoza. Il Fatto.

Dice Boldrini di «non confondere assassini e musulmani». Dove «confondere» è l’unico vocabolo che abbia una qualche pertinenza con la presidente della Camera. Maurizio Crippa. Il Foglio.

(mfimage) Nel corso degli anni Romano Prodi ha accumulato un tesoretto: incassa 15 mila euro al mese di pensioni e ha 12 proprietà. Stefano Filippi. Il Giornale.

Finché Renzi non trova una maggioranza alternativa (e Grillo non è ancor seriamente interessato a una trattativa), è costretto a tenere in piedi il patto del Nazareno. Renzi non può fare a meno di Berlusconi e Berlusconi non può fare a meno di Renzi. Tra i due poi c’è affinità psicologica: la personalità conta molto in politica. Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia. La Stampa.

Sotto la sua aria di serissimo banchiere centrale tirato a lucido (Mario Draghi non porta mai il cappotto per lasciar vedere il taglio perfetto dei suoi abiti fatti su misura), il presidente della Bce è pieno di humour, che spesso usa per dipanare le situazioni più difficili con i suoi interlocutori più ostici, come, recentemente, Hollande. Alexandrine Bouilhet. Le Figaro.

«Curare i gay» è una scemenza col botto, un gesto di piccola intolleranza ignorante. Tutti abbiamo bisogno di essere curati e soprattutto di essere lasciati in pace. A tutti sono dovuti rispetto, libertà personale e privacy. Giuliano Ferrara. Il Foglio.

Matteo Renzi non mi piace, innanzitutto perché ha ridotto la democrazia a un sondaggio su quello che fa e decide lui. In questo Paese è stata cancellata la memoria politica. Io voglio fondare il partito dei nonni, e ho già trovato molte adesioni. C’è stata una rottura generazionale, più forte in Italia che in qualsiasi altro Paese. E non è stata un’operazione indolore. Mi riferisco allo scioglimento del Pci: la rimozione del passato è stata un’abiura. E ne è rimasta un’idea falsa, cioè che tutto ciò che si è fatto nel Novecento siano stati errori e orrori. Luciana Castellina, co-fondatrice de Il Manifesto. Il Fatto.

Il business del momento non sono più le sale giochi, ma le sale d’aspetto, i cui biglietti di ingresso lievitano progressivamente. Davanti all’ingresso delle sale, file di gente in attesa che arrivi il loro turno per entrare. Dentro c’è anche la televisione. Massimo Bucchi. ilvenerdì.

Anche quando avevo la scorta e andavo allo stadio, pagavo l’abbonamento della mia squadra, la Lazio. Forse sono il politico che ha dato più volte le dimissioni: tre da deputato, una da consigliere regionale in Campania, una da ministro del governo Ciampi, quando non passò l’autorizzazione a procedere per Craxi. E mi sono dimesso da presidente del Copasir (il Comitato parlamentare per i servizi segreti, ndr) quando sono uscito dal Pd. Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma. Il Fatto.

Nel 1983, quando il Psi torinese fu spazzato via dallo scandalo Zampini, Craxi nominò commissario il ras torinese Giusi La Ganga, che fu subito indagato e sostituito con un altro dirigente eletto sotto la Mole, Amato. Che non bonificò un bel nulla, tant’è che dieci anni dopo il Psi torinese finì in Tangentopoli. Marco Travaglio. Il Fatto.

Matteo Maria Salvini, un metro e 80 per 85 chili, milanese di zona Bande Nere, famiglia piccolo-borghese, diplomato con 48 su 60 al liceo classico Manzoni, non laureato in Storia medievale alla Statale («mi mancavano 5 esami, ma ero francamente troppo fuoricorso»), diventa bossiano a 17 anni grazie a un manifesto, «Sono lombardo, voto lombardo», che tiene ancora nel suo ufficio, insieme a un variegato Pantheon di eroi tra cui Franco Baresi, capitano storico del Milan. «Sì, erano i primi anni Novanta, la Lega era stata appena fondata. A scuola comandava la sinistra. Mi vennero a prendere in classe, i compagni, e giù calci in culo perché facevo attacchinaggio per il Carroccio». Molta militanza, rapida carriera: consigliere comunale (il più giovane a Milano), deputato, europarlamentare, e dal dicembre 2013 segretario. Carlo Verdelli. la Repubblica.

Non sono, per partito preso, un antipolitico, come invece - et pour cause - gran parte degli italiani, riconosco che la politica è necessaria, ma quando la politica la sento parlare ne sono frastornato. Sto spesso, data l’età, in casa, su una poltrona a guardare la televisione. La politica mi arriva da lì, dalle trasmissioni dove conduttori, più autoritari che autorevoli, invitano persone di opinioni diverse a discutere di politica, con l’intenzione di far spettacolo e non di chiarire i problemi che ci assillano. Raffaele La Capria. Corsera.

Più i partiti sono piccoli e sfigati, più i loro manifesti sono lontani dal centro, dagli incroci affollati, dalle posizioni privilegiate. Eppure nessuno rinuncia all’ebbrezza del 6m per 3m (6x3), sarebbe come perdersi il meglio della festa. Il faccione del leader, lo slogan che suona bene, la possibilità di dire all’elettore: ci sono anche io, non sono fuori gara. Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori, 2006.

Dove c’erano discussioni, polemiche e risse, Giorgio Bocca si precipitava a menar fendenti contro nemici e amici, senza distinzioni, direi con una certa onestà che sarebbe delittuoso negargli. La sua prosa assomigliava a un torrente di montagna in piena. Chi iniziava a leggere un articolo firmato da lui, arrivava di sicuro fino in fondo. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

«Arrigo si arrabbiava soprattutto per le piccole cose» riflette la moglie di Benedetti, la signora Rina. «Lui era in un certo senso un esteta. Io, per prenderlo un po’ in giro per questa mania che aveva di vedere sempre tutte le cose al loro posto, gli dicevo che voleva impaginare la casa come faceva con i giornali. Arrigo, poi, adorava le cravatte. Ne comprava in continuazione e lo stesso era per i quadernetti, i taccuini, i blocchetti». Luciano Simonelli, Dieci giornalisti e un editore. Simonelli editore.

Per un’età così lunga sono un’eccezione. Mi sentivo un’eccezione anche da adolescente. Sapevo di essere veramente solo. Non avevo confidenze. Né amicizie. Detestavo i miei genitori. La mia casa. Il mio paese. Oggi so che non avrei potuto fare a meno di quelle cose. Per questo non le rinnego. Anzi. Forse le amo. Manlio Cancogni, romanziere, 98 anni. la Repubblica (Antonio Gnoli).

Vorrei essere un altro ma non ho ancora deciso chi. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 9/1/2015