Stefano Agnoli, Corriere della Sera 9/1/2015, 9 gennaio 2015
ACCISE
Bisognerebbe sussurrarlo piano piano, senza farsi sentire troppo, per non incorrere in qualche reazione tardiva e tirarsi (da consumatori) la zappa sui piedi. Ma con l’inizio del nuovo anno è scaduto un aumento dell’accisa sui carburanti (l’imposta fissa prelevata dallo Stato) che il governo per la prima volta in assoluto non ha reso stabile, come sempre è stato fatto dalla guerra di Etiopia del 1936 al terremoto emiliano del 2012. Come ha rilevato la «Staffetta petrolifera» (storica pubblicazione del mondo dell’energia) negli ultimi vent’anni solo in due occasioni (nel 1999 e nel 2008) le accise sono state ridotte, a fronte invece di sedici aumenti. Ma in entrambi i casi si trattava di provvedimenti finalizzati solo a «sterilizzare» l’aumento del gettito Iva dovuto all’incremento dei prezzi di benzina e gasolio, e non della scadenza di una misura «temporanea», (questa volta contenuta nel decreto del «Fare» adottato nel 2013 dal governo Letta). E come la stessa «Staffetta» non manca di cogliere, il fatto che l’esecutivo non abbia sbandierato l’evento di una riduzione a suo modo «storica» delle tasse sui carburanti fa più pensare a una svista piuttosto che a un atto voluto politicamente e soprattutto «economicamente», dato che vale 75 milioni di euro, cifra assolutamente non disprezzabile in una congiuntura come quella attuale. Questa volta la «manina», o la sua assenza, sembra essersi mossa in direzione favorevole ai cittadini-bancomat. Ora, più che altro, si tratterà di vedere se quanto uscito da una tasca dello Stato non rientri in qualche differente forma nell’altra.