varie 9/1/2015, 9 gennaio 2015
ARTICOLI SULLA FUGA DEI DUE KILLER DI CHARLIE HEBDO DAI GIORNALI DEL 9 GENNAIO 2015
MARCO IMARISIO, CORRIERE DELLA SERA -
La strada provinciale che unisce Crépy-en-Valois e Senlis è una catena di blindati lunga almeno cinque chilometri. Ogni mossa, ogni gesto di questa caccia all’uomo ha dimensioni giganti, e se davvero la campagna battuta dal vento della Piccardia fosse l’ultima tappa del viaggio dei fratelli Kouachi non ci potrebbe essere contrasto più stridente tra il paesaggio da idillio nordico con i campi battuti dal vento e la loro jihad domestica.
Sono stati loro. È questo il senso delle parole pronunciate dal ministro dell’Interno Bernard Cazenueve al termine di un monologo spacciato per conferenza stampa, convocata all’improvviso anche per mettere qualche punto fermo negli ultimi due giorni segnati da informazioni e paure contraddittorie.
«Said Kouachi è stato formalmente riconosciuto da più testimoni come aggressore materiale» ha detto il rappresentante del governo francese. Il più vecchio dei fratelli Kouachi non è mai stato accusato o condannato per atti di terrorismo, ma è apparso «ai margini» delle inchieste francesi che hanno visto coinvolto il secondogenito Chérif, l’aspirante jihadista ben noto alle forze dell’ordine. Secondo il New York Times invece Said sarebbe stato anche lui un militante di primo piano, essendo stato addestrato nei campi di Al Qaeda in Yemen. Entrambi «violentemente antisemiti», i due fratelli erano stati oggetto di stretta sorveglianza, ma nessun «elemento incriminante» era emerso su di loro negli ultimi due anni, nonostante fossero stati messi sulla no-fly list degli Usa. Nessuna parola di Cazeneuve sulla sorte del giovane Mourad Hamyd, che per un’intera giornata è stato considerato il terzo uomo del commando. La scorsa notte si è presentato di sua volontà al commissariato di Charleville-Mézières, nelle Ardenne, dove vivono i suoi genitori. Con sé ha portato un alibi che in caso di conferma esporrebbe gli investigatori a una discreta figuraccia: all’ora dell’attentato si trovava a scuola, in un’altra città.
I familiari di Said e Chérif Kouachi sono quasi tutti in stato di fermo, ha detto il ministro, lasciando intendere che si tratta di un modo per mettere pressione sui fuggitivi. Erano loro le abitazioni perquisite la scorsa notte a Reims senza grandi riscontri. All’alba di ieri la caccia è ripresa in direzione nord, subito dopo la telefonata del benzinaio della stazione di servizio Avia sulla strada nazionale 2, appena dopo il villaggio di Crépy-en-Valois, 60 chilometri da Parigi e duemila abitanti nel dipartimento dell’Aisne, in Piccardia. Il commerciante ha affermato di aver riconosciuto i due fratelli negli uomini che stavano cercando di fare rifornimento a sbafo, di aver anche intravisto, particolare dirimente, dei kalashnikov adagiati sui sedili posteriori della vettura.
La conferma è arrivata dalle immagini riprese dalla telecamera di sorveglianza del distributore, che hanno anche certificato l’avvenuta sostituzione della targa originale, segno del fatto che i due fratelli devono aver effettuato almeno una sosta durante la loro fuga da Parigi. Per una volta, non si trattava di un falso allarme. Verso mezzogiorno la Clio grigia usata dai presunti autori della strage sarebbe stata ritrovata, condizionale d’obbligo in quanto manca la conferma ufficiale, in un bosco appena fuori da una fattoria disabitata di Villers Cotteret, il più grande comune della zona.
Le ricerche sono cominciate in quel momento, una battuta di caccia nei boschi che sta coprendo un’area di venti chilometri in lunghezza e 10 di larghezza, estesa nella notte anche alla foresta di Retz, alla quale prendono parte elicotteri a raggi infrarossi, brigate e corpi speciali di ogni genere, per un totale di 20.000 uomini dispiegati sul campo in assetto di guerra, da sommare agli altri 68.000 che nel resto della Francia stanno braccando i due fratelli. Ma il gigantismo di questa ricerca sul campo nella quieta Piccardia non ha dato i frutti sperati. Solo per ora, almeno così si spera.
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MARCO IMARISIO, CORRIERE DELLA SERA -
A dividere il ragazzo di banlieue che beveva birra e cantava il rap dal presunto assassino che imbraccia il kalashnikov adesso c’è un cratere. Il prima e il dopo di Chérif Kouachi finiscono e iniziano al civico 39 di rue Tanger, davanti a un cancello che nasconde i resti di un cantiere mai finito. I capannoni industriali che ospitavano la vecchia moschea Adda’wa del XIX arrondissement sono stati abbattuti nel 2006 e da allora i musulmani che rappresentano la maggioranza di questo anticipo di periferia pregano in quattro diversi garage del circondario. Quando ci mette piede per la prima volta, dopo il Ramadan del 2001, l’uomo accusato di essere la mente della coppia dei fratelli presunti stragisti non conosce una sola parola di arabo. Orfano dei genitori, è cresciuto in una casa famiglia di Rennes, in Bretagna, dove ha ricevuto la normale educazione francese, fermandosi alla soglia del diploma di scuola media.
Arriva nella banlieue di Genervilliers ancora minorenne con il fratello Said, due anni più di lui, e da allora mette insieme una serie di piccoli reati che al tempo del suo primo processo per terrorismo gli valgono un profilo psicologico per nulla simile a quello del fanatico jihadista. «Fuma, beve, non porta la barba e ha un’amante fuori dal matrimonio contratto in giovane età». Ancora nel 2003 si diletta con il rap e i testi delle canzoni che sceglieva erano un inno al machismo, non certo al Corano.
Quello è l’anno in cui Chérif incontra uno strano personaggio che ha preso possesso dei capannoni di rue de Tanger mettendo fuori gioco i vecchi imam moderati. Si chiama Farid Benyettou, come lui è di origine algerina e si presenta come una specie di predicatore, non certo moderato.
La sua opera di proselitismo si traduce nella costruzione di una rete di aspiranti martiri per la guerra in Iraq, con annesso addestramento ideologico e pratico. La banda del Buttes Chaumont, i giornali la chiamarono così, per via delle riunioni all’aria aperta nel parco del XIX arrondissement che divide il quartiere arabo dalla zona turistica da La Villette. Il giorno fatale dovrebbe essere il 25 gennaio 2005, partenza da Parigi verso l’Iraq. I biglietti sono già pronti. Chérif viene arrestato dopo la data di partenza. È rimasto a casa, racconterà in seguito di aver mancato l’appuntamento.
Il più giovane dei fratelli Kouachi perde l’aereo e forse anche la voglia, almeno in apparenza. «Al nostro primo incontro mi sembrò addirittura sollevato. Mi confessò di avere avuto una paura folle di partire per davvero dopo tante chiacchiere». L’avvocato Vincent Olliver è uno dei professionisti più ricercati di Francia, almeno in questi giorni. A processo riuscì a convincere i giudici ad attenuare la pena usando l’argomento del noviziato islamico di Kouachi, al suo debutto. Olliver ride alla domanda se avesse notato qualcosa di particolare durante l’incontro con il suo cliente alla vigilia della libertà condizionata dopo 18 mesi di carcere: «Si mangiava le unghie. Lo faccio anch’io».
Chérif è libero ma Parigi diventa una gabbia. I poliziotti dell’antiterrorismo lo tengono d’occhio. Porta la famiglia a Reims, lontano dagli occhi e dai controlli periodici, ma continua a gravitare nella banlieue della capitale francese.
Nel 2010 il suo nome spunta spesso nelle conversazioni intercettate di Djamel Beghal, condannato cinque anni prima per essere stato l’ideatore di un attentato, mai realizzato, contro l’ambasciata Usa in Francia e sospettato di essere il capo di una nuova cellula jihadista. Kouachi va più volte a trovare il nuovo maestro. L’antiterrorismo lo fotografa mentre partecipa a una partita di calcio tra aspiranti martiri. La magistratura lo definisce «allievo prediletto» di Beghal, che ha preso il posto del predicatore algerino con l’unica variante della Siria al posto dell’Iraq come destinazione ultima del viaggio.
Marce forzate ed esercizi fisici, ma non risulta l’addestramento con armi che avrebbe portato all’incriminazione. Le perquisizioni a Reims e Parigi danno magri frutti. Ci sono video di Al Qaeda mischiati a video pornografici, e molti libri di indottrinamento a senso unico. Nelle pagine di Statuto giuridico dell’infedele c’è una nota a margine scritta da Kouachi in francese. «Colui che abbandona la preghiera è un miscredente apostata. L’unica sentenza possibile è la morte».
Il ragazzo che cantava il rap è ormai stato sostituito dall’eterno allievo plasmato da due predicatori violenti. Ma non ci sono mai le prove del passo definitivo. La moglie, interrogata dai magistrati, racconta di portare il velo dal 2008, ma non per costrizione. Chérif dice invece che i suoi incontri con Beghal erano frutto della voglia di trascorrere qualche giorno in campagna. Scriverà il giudice: «Nonostante il saldo ancoraggio all’Islam radicale, l’interesse dimostrato verso le tesi difensive della Jihad armata e la conoscenza di molti soggetti dell’inchiesta, non esistono prove dirette del coinvolgimento di Kouachi».
Accanto a lui, in ogni passo dell’inchiesta, che verrà archiviata nel 2012, appare Said, il fratello silenzioso. Spariscono entrambi, per riapparire la mattina del 7 gennaio. La meta finale di un viaggio cominciato sognando la Jihad internazionale è un ufficio nel centro di Parigi a pochi chilometri di distanza dal XIX arrondissement. Al posto dei capannoni di rue de Tanger doveva sorgere una moschea con una sala da preghiera da 1.600 posti, come si legge nel cartellone appeso al cancello. Era stata promessa ai fedeli per il Ramadan del 2010, poi per quello del 2011. Alla fine è rimasto solo il cratere.
Marco Imarisio
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DAVIDE FRATTINI, CORRIERE DELLA SERA -
Clarissa è morta mentre svolgeva il mestiere che stava ancora imparando. I gesti delle mani, mantenere la calma in mezzo al traffico e agli insulti degli automobilisti. Avrebbe dovuto essere un altro giorno caotico ma normale, uno dei quarantacinque di apprendistato prima di diventare vigilessa titolare. Per questo aveva lasciato l’isola della Martinica, dall’altra parte dell’Atlantico: partecipare al concorso del comune di Montrouge, trovare un lavoro, avere uno stipendio.
È stata uccisa a 25 anni da un uomo sceso da una macchina. Tutti e due indossavano il giubbotto antiproiettile, lui era armato, lei disarmata. La polizia sta cercando di ricostruire quello che è accaduto poco dopo le 8 di ieri mattina nel dipartimento Hauts-de-Seine, a ovest di Parigi. Clarissa Jean-Philippe viene chiamata assieme a un collega, c’è stato un incidente, il vialone è intasato. L’agente è in piedi tra i veicoli, da uno di questi un uomo spara con una pistola, la colpisce alla gola, le piastre di kevlar non possono fermare i proiettili.
Gli investigatori considerano l’attacco un «attentato», non vedono per ora legami con la strage di mercoledì nella redazione di Charlie Hebdo. Anche se un testimone dice che l’omicida era vestito di nero, come i terroristi che hanno assaltato la sede del settimanale satirico. Due uomini sarebbero stati fermati. «Il mio cliente non c’entra, si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato» commenta uno degli avvocati. Per ora la polizia non conferma neppure gli arresti.
«È evidente che abbiamo pensato subito a Charlie Hebdo» racconta Claire Cheour al quotidiano Le Monde . Vive vicino al luogo della sparatoria, aveva appena accompagnato i figli a scuola, il portone è rimasto socchiuso, i bambini sono entrati uno alla volta, i genitori restavano fuori: «In questa zona c’è un istituto ebraico, ho pensato fosse il bersaglio». Claire è convertita all’islam: «È già cambiato il modo in cui la gente guarda me e il mio velo».
L’uccisione della vigilessa a Montrouge spinge il ministero degli Interni a mantenere l’allerta sul livello «rischio attentati». Il piano Vigipirate — creato nel 1978 e messo in atto per la prima volta durante la guerra del Golfo nel 1991 — continua il dispiegamento di militari e poliziotti, ormai oltre 10 mila tra la capitale e le regioni verso il Nord del Paese, dove si sta concentrando la caccia ai due fratelli Kouachi.
Parigi blindata, le pattuglie in assetto di guerra, gli appelli alla vigilanza. La tensione ha causato qualche falso allarme, come nel quartiere della Défense dove gli impiegati al lavoro nei grattacieli di vetro e acciaio hanno ricevuto un’email che li avvertiva di restare negli uffici, un uomo armato era stato avvistato nella zona. Tutto sarebbe partito dal passaparola digitale, un sms via cellulare diventato vero panico. Le squadre speciali hanno comunque perquisito l’area, l’ordine è di non sottovalutare alcun pericolo.
Le Monde ha elencato ora dopo ora le segnalazioni: una borsa abbandonata a una fermata della metropolitana, uno zaino sospetto alla Gare de Lyon, sette bombole di gas scoperte nel parcheggio della stazione di Colmar, al confine con la Germania. Ovunque la stessa procedura: zona isolata, treni bloccati, passeggeri evacuati, la sacca o il pacco fatti saltare dagli artificieri.
Bernard Cazeneuve, il ministro degli Interni, ringrazia le centinaia di cittadini che hanno telefonato al numero verde attivato per gli avvistamenti dei due fratelli ricercati, ammette che non molte delle informazioni hanno fornito una pista. Gli investigatori prendono in considerazione e verificano tutte le chiamate — raddoppiate dopo l’omicidio a Montrouge — come quella che avvertiva di un uomo con il passamontagna nero alla guida di un’auto e si è rivelata infondata.
Davide Frattini
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CARLO LEVI, LA STAMPA -
Caccia senza tregua nella notte ai fratelli Kouachi, i due uomini più ricercati di Francia, autori della strage a Charlie Hebdo, con ottantottomila uomini - tra poliziotti, gendarmi e militari - mobilitati in tutta la République. Mentre l’intero Paese ha celebrato nel raccoglimento il lutto nazionale decretato dal presidente François Hollande.
Un minuto di silenzio
Sono le dodici spaccate quando la Francia sotto choc si ferma per un minuto di silenzio in memoria degli «eroi» di Charlie Hebdo, paladini della libertà di stampa e dei valori fondamentali dell’Europa intera, con le campane a lutto di Notre-Dame, i fiori, le candele, le bandiere a mezz’asta. In questo triste inizio d’anno si susseguono le immagini simboliche, come quella di Hollande che accoglie per la prima volta all’Eliseo il suo avversario di sempre, Nicolas Sarkozy o la Tour Eiffel oscurata per un minuto.
La caccia continua
Mentre continua la caccia a Cherif e Said, i due fratelli di 32 e 34 anni sprofondati nell’abisso dell’estremismo, braccati come animali dai reparti speciali. Dopo i primi raid e le perquisizioni di mercoledì sera a Reims e Charleville Mezières, non lontano dalla frontiera col Belgio, i due fuggitivi franco-algerini di 32 e 34 anni sono stati segnalati ieri mattina dal gestore di una pompa di benzina sulla strada nazionale, all’altezza di Villers-Cotteret (Picardia), in viaggio in direzione Parigi, a bordo di una Clio grigia ammaccata sul davanti, con la targa nascosta. Nell’auto c’erano diverse armi pesanti, kalashnikov e lanciarazzi.
La vigilessa uccisa
Poche ore prima, la capitale di Francia si era nuovamente svegliata nel sangue. Nelle prime ore del mattino, in una zona trafficata della banlieue meridionale, un misterioso killer - anch’egli a bordo di una Clio - ha ucciso alle spalle una giovane vigilessa della polizia municipale, in servizio da appena 15 giorni, e ferito gravemente un collega. Mistero assoluto sulla dinamica dei fatti e sul movente. Armato fino ai denti e protetto da un giubbotto antiproiettile, l’uomo si è fatto beffa dei diecimila uomini dispiegati nella regione della capitale, dileguandosi nel nulla. Nessun legame accertato, almeno per il momento, con gli autori della strage a Charlie Hebdo. Quando nel primo pomeriggio è arrivata la notizia dei fratelli Kouachi di nuovo in cammino verso Parigi, le porte di accesso alla città sono state chiuse da posti di blocco e l’Eliseo è stato blindato. Poco dopo, la caccia ai terroristi si è però nuovamente spostata verso Villers-Cotteret, la città natale di Alexandre Dumas, e nei dintorni con elicotteri a rilevamento di calore: prima a Crepy-en-Valois, poi a Corcy, infine a Longpont e nell’adiacente foresta, quando si è capito che i due - abbandonata l’auto - non si erano trincerati in una casa.
Il mistero del liceale
La zona è transennata, le immagini diffuse dalle tv sono eccezionali: migliaia di uomini con scudi, fotoelettriche, cani e armati fino ai denti procedono a piedi, circondando a gruppi i furgoni con il materiale e i gruppi elettrogeni. Hamid Mourad, il giovanissimo presunto autista del commando terrorista in cui a sparare erano i due fratelli, è sempre in stato di fermo ma il suo alibi (era sui banchi di scuola, testimoniano i compagni) continua a reggere. Tutta la vicenda è avvolta dal mistero e la carente comunicazione del governo non aiuta.
Reclutatore di combattenti
Mentre sussistono gli interrogativi sull’intelligence transalpina, che conosceva da tempo il più giovane dei due fratelli, Chérif - nome di battaglia Abu Issen - condannato nel 2008 per aver partecipato alla filiera delle «Buttes-Chaumont», cellula islamica che tra il 2003 e il 2005 era impegnata nella recluta di combattenti per al Qaeda in Iraq. Nato nel 1982 a Parigi, passaporto francese, Chérif Kouachi era anche finito in un’inchiesta tv trasmessa da France 3 nel 2005. Lo speciale tv, dal titolo «Pièces à conviction», mostrava il giovane, allora aspirante rapper, che si diceva «pronto a morire per il martirio» in Iraq. Come per l’assassino di Tolosa Mohamed Merah e l’assalitore del Museo ebraico di Bruxelles Mehdi Nemmouche, si tratta dell’ennesimo caso in cui uno spietato killer era già noto alle forze dell’ordine.
In questa giornata di lutto, Marine Le Pen non ha resistito alla tentazione di un tweet: «Voglio offrire ai francesi un referendum sulla pena di morte. Personalmente, penso che questa possibilità debba esistere», ha scritto alle 7:58 del mattino. Poco più tardi, in tv, la leader del Front National ha poi protestato per non essere stata «invitata» alla manifestazione unitaria di domenica. «È una vergogna», ha tuonato. Mentre le organizzazioni musulmane in Francia, riunite nella Grande Moschea di Parigi, hanno rivolto un appello agli Imam affinché condannino la violenza. Violenza che ieri ha riguardato anche i fedeli islamici, con le pallottole e il lancio di granate contro tre moschee di provincia. Un segnale inquietante, fortunatamente senza vittime, denunciato dal ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve.
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ALBERTO MATTIOLI, LA STAMPA -
È una «cellula familiare» di due fratelli, ma con buoni contatti con lo jihadismo internazionale. Ed è tutta francese, perché i due in Francia sono nati e cresciuti.
Ma, a conferma che la Francia non è una sola, nella banlieue dove i due hanno collezionato i primi precedenti penali si fa fatica a trovare qualcuno che li condanni esplicitamente.
Dopo la strage a «Charlie Hebdo», i due «sospettati», come si dice in omaggio alla presunzione d’innocenza anche se la loro colpevolezza non è per nulla presunta, si chiamano Chérif e said Kouachi. La loro è la storia esemplare di come l’uomo del banco del pesce al supermercato sotto casa possa diventare un terrorista sanguinario. Prima di raccontarla, però, bisogna premettere che si sa molto di Chérif, il più giovane, 32 anni, e pochissimo del fratello said, 34. Nelle foto diffuse dalla polizia, il maggiore è quello calvo e sbarbato, il minore quello con i capelli neri e la barba da islamista ancora poco folta. L’impressione è che Chérif sia la mente e said il braccio. Ma se ne avrà conferma solo quando le forze dell’ordine li cattureranno, concesso e non dato che ci riescano e soprattutto che li prendano vivi.
Orfani fin da piccoli
I fratelli del terrore sono nati a Parigi e rimasti orfani prestissimo dei genitori, immigrati algerini. Vengono allevati a Rennes, in Bretagna poi si trasferiscono a Parigi, nel Diciannovesimo arrondissement. In teoria, Chérif consegna le pizze a domicilio. In pratica, fa la (mala)vita di troppi giovani delle «cité», i quartieri di banlieue: traffici, piccoli furti, spaccio di hashish.
È musulmano ma, parole sue, «occasionale». «Fumava, beveva, non portava la barba e aveva anche un’amichetta», racconta oggi maître Vincent Ollivier, l’avvocato che di lì a poco lo difenderà.
A questo punto entra in scena il primo cattivo maestro. Si chiama Farid Benyettou, frequenta la moschea Adda’Wa di rue de Tanger ed è uno di quegli imam autoproclamati e fanatici di cui pullula il sottobosco dell’Islam francese. Benyettou organizza «prediche» a casa sua e recluta volontari per la jihad in Iraq. Chérif e i suoi amici cambiano: smettono di bere e iniziano a sognare la morte del martire. La molla, racconterà uno del gruppo, è l’intervento americano in Iraq nel 2003: «È quello che ho visto in tivù, le torture nella prigione di Abu Ghraib. Tutto questo mi ha segnato».
Il video-confessione
Sulla radicalizzazione di Chérif esiste perfino un video amatoriale girato da un’associazione del Diciannovesimo e diffuso su France3. Documenta la metamorfosi di un giovane normale, già «fan del rap e più interessato alle ragazze che alla moschea». Come spiega nel video lo stesso Chérif, è Farid che l’ha convertito: «Mi ha detto che i testi sacri provano i benefici degli attacchi suicidi. È scritto che è bene morire martire». Nell’attesa, proponeva agli amici di «sfasciare le botteghe degli ebrei e di picchiarli per la strada».
Il quartiere filo-islamista
Oggi, nel quartiere dove sono cresciuti, nessuno ricorda i fratelli Kouachi, e forse è normale dato che sono passati dieci anni. Meno normale, la fatica di condannarli. Il rettore della moschea di rue de l’Ourq non parla. Saidia, animatore al centro sociale, sì: «Non so come sia andata davvero, ieri a “Charlie”, non so se ci sono delle prove. So che i giornalisti vengono qui solo se succede qualcosa di negativo, mai se facciamo qualcosa di buono. E che oggi in metro la gente mi guardava male perché si vede che sono musulmano». Ci sono due France, appunto. E non si capiscono più.
La guerra in Iraq
Dalla «cité» Chérif tenta di partire per la guerra insieme con Thamer Bouchnak, un tunisino di 22 anni che, scrive Patricia Tourancheau in un’inchiesta minuziosa su «Libération» di oggi, era andato in Siria a studiare tornandone scornato: «Non parlava nemmeno l’arabo». Il giorno della partenza per l’Iraq via Damasco è il 25 gennaio 2005. Ma i due non riescono a prendere il volo delle 6 e 45. La polizia, che li teneva d’occhio, li arresta prima.
Chérif resta in carcere 18 mesi prima del processo, che si conclude con una condanna a tre anni. Ma metà della pena abbuonata per la condizionale, quindi nell’ottobre 2006 Kouachi è libero. Nella prigione di Fresnes ha potuto farsi il fisico e conoscere la sua seconda anima nera: Djamel Beghal, che sconta una pena di dieci anni per aver progettato un attentato contro l’ambasciata americana di Parigi. Lo ritroveremo.
Per ora, Chérif fa il pescivendolo al supermercato Leclerc di Conflans e il marito. Sposa nel 2008 un’educatrice d’asilo che aveva suscitato polemiche perché voleva portare il velo integrale pure lì. Anche said, ed è una delle poche cose che si sanno di lui, è sposato, ha un figlio piccolo e vive, o meglio viveva, a Reims. Per i vicini, è un tipo «discreto e gentile».
La tentata evasione
La carriera di Chérif continua. È sospettato di aver progettato l’evasione di Smaïn Ait Ali Belckacem, all’ergastolo per l’attentato nel metro del 1995. Le intercettazioni documentano un incontro con Beghal, nel frattempo finito ai domiciliari, per discutere l’operazione. Ne segue una perquisizione della casa di Chérif a Gennevilliers, nella banlieue di Parigi, dove la polizia scopre, in mezzo a una valanga di foto pornografiche, molti testi estremisti. Ma le prove per un’altra condanna mancano. Si pensa anche che Chérif e said possano aver combattuto in Siria o in Yemen, ma la cosa non è mai stata dimostrata.
I rapporti internazionali
Quello che inquieta sono i rapporti internazionali di questa cellula francese. Nel gruppo di Beghal che sognava l’evasione di Belckacem c’era anche Salim Benghalem, oggi nella lista nera del Dipartimento di Stato americano come uno dei boia più sanguinari dell’Isis in Siria. Non solo: l’attentato che nel 2013 ha ucciso, in Tunisia, due dei più importanti oppositori degli islamisti è rivendicato da Boubaker Al Hakim, francese, 31 anni, ex guerrigliero in Iraq, oggi l’uomo più ricercato del Paese nordafricano. E Al Hakim conosce benissimo Chérif Kouachi, perché a suo tempo condannato nello stesso processo.
Benghalem in Siria, Al Hakim in Tunisia... Forse quella che ha sterminato la redazione di «Charlie Hebdo» non è solo una «cellula familiare».
Il 57% dei tedeschi si sente minacciato dall’Islam, e il 61 per cento lo ritiene estraneo all’Occidente. Il 24% afferma che va fermata l’immigrazione dai Paesi arabi. Lo afferma un sondaggio condotto a novembre dalla fondazione Bertelsmann e pubblicato ieri. Dati che confermano un recente sondaggio condotto da «Der Spiegel», secondo cui il 34% di tedeschi ritiene che il paese si stia islamizzando. In Germania vivono almeno 4 milioni di musulmani su una popolazione di 80 milioni,circa tre quarti sono di origine turca.
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PAOLO BERIZZI, LA REPUBBLICA -
Dal distributore di benzina Avia ai primi boschi “sensibili” ci sono 12 chilometri di asfalto a scorrimento veloce. Si esce dalla strada nazionale 2, si prende una stradina di campagna che costeggia il centro abitato di Villers-Cotterets e si arriva alla fattoria. È un casale degradato a mattoni rossi, l’erba alta intorno con l’aia delimitata dalle strisce della polizia scientifica. La Clio grigia l’hanno mollata in uno sterrato a cinque minuti da qui. Muso ammaccato, targa coperta. Una traccia da seguire. Il pezzo di un filo ancora lungo da tirare. Forse imprevisto. Alle undici dell’altra sera, a cadaveri ancora caldi, Chérif e Said Kouachi pensavano di averli già in pugno all’interno di un bilocale nel quartiere più multietnico di Reims: e invece hanno trovato solo mozziconi e bottiglie di birra svuotate, e loro erano e sono ancora in fuga.
Li hanno braccati per ventiquattro nelle campagne della Piccardia, a Nord di Parigi. Ma ancora non sono saltati fuori i fratelli della morte. Seguiamo la direzione della mostruosa caccia all’uomo. Esci da Parigi in direzione Aisne. Sessanta chilometri. Sopra i cavalcavia, adibiti a varchi e a torrette di controllo, hanno schierato i blindati delle forze speciali, i poliziotti col mitra. Muovono in truppe i reparti del Raid (polizia) e del GIGN (gendarmeria); dragano campagne aperte e villaggi di contadini: alcuni, come Corcy, minuscoli. Questo è il paesaggio intorno e lungo la strada nazionale 2, dalla capitale francese su verso il Belgio. Erano almeno settant’anni, cento se si va indietro alla Prima guerra mondiale, che qui non si vedevano linee dell’esercito. Per stanare i fratelli Kouachi la Francia ha messo in campo una task-force di 88 mila uomini, mai accaduto. Un contingente l’hanno trasferito in Piccardia ieri mattina all’alba. Il segnale è scattato con la telefonata del gestore della stazione di servizio Avia, tra Soisson e Villers Cotterets. «Erano loro, a bordo della Renault Clio grigia, dentro l’auto avevano armi lunghe», ha riferito l’uomo. Gli attentatori della libertà di stampa si erano fermati per una tappa-rapina: il tempo di rubare carburante e cibo, sul volto lo stesso passamontagna della strage. Poi via, alla macchia nella Piccardia, teatro delle più sanguinarie carneficine dei conflitti mondiali.
Li cercano qui, adesso. Stringono il cerchio e, anche se non possono dirlo in chiaro, sono convinti di trovarli a stretto giro. «Delle due l’una», ragiona un investigatore dell’Antiterrorismo. «O avevano un piano di fuga perfetto e sono stati maldestri. O non avevano un piano di fuga perfetto e sono stati fortunati. Almeno fin qui. Ma se sono in giro “scoperti”, costretti a rapinare un distributore, vuol dire che appoggi solidi non ne hanno». Si fa fatica a seguire le voci che si accavallano da mattina a sera: alcune fuori controllo, altre verosimili, altre ancora non verificabili. Per dire: a un certo punto, sono le due del pomeriggio, agenzie e dirette televisive accendono le luci su Crepy-en-Valois. A metà strada tra Parigi e Reims. «Sono barricati dentro un appartamento, le teste di cuoio sono sul posto». Il sindaco smentisce, il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, non conferma. Ma ormai la ruota è partita. Due ore dopo gira a Villers-Cotterets. Le squadre d’élite della polizia e dell’esercito cingono d’assedio la fattoria. È il ritrovamento dell’auto rubata durante la fuga di mercoledì mattina che porta lì i militari. Fucili a pompa e mitra aprono il varco ma dei due jihadisti nemmeno l’ombra. Una “base”, la fattoria. Come era una base l’appartamento di Reims. Come avevano il sospetto che fossero decine di case, villette di campagna, appartamenti in paese, perquisiti nel pomeriggio e a sera da gruppo di poliziotti in tenuta d’assalto.
Eppure i due Kouachi di impronte ne hanno lasciate. A partire dalla carta di identità dimenticata in macchina, sulla Citroen C3 nera. Assieme a una bandiera dello Stato Islamico e a tre bottiglie molotov. Altrimenti forse non sapremmo nemmeno come si chiamano Chérif e Said. Altrimenti non ci sarebbero quasi 90 mila agenti in azione per cercare di prenderli (9.650 schierati soltanto nell’Ile de France). Altrimenti non assisteremmo alle scene impressionanti viste ieri a Corcy e a Longpont, le ultimi due paesi vivisezionati dai reparti speciali. Corcy conta 316 abitanti. È al confine con il Belgio. Raccontano in venti minuti abbiano controllato tutte le case del paese. Una a una. Violate nemmeno fossero una filiale del califfato. A Longpont un lungo corteo di mezzi blindati, auto, uomini a piedi in marcia militare. In mezzo a cascinali, casette per la raccolta della legna. Sotto lo sguardo allibito di donne anziane che aprono il cancello di casa a agenti vestiti come marziani. L’Is, Al Qaeda, gli squarciatori di teste sembrano fantasmi lontani. E invece sono ancora qui.
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DANIELE MASTROGIACOMO, LA REPUBBLICA -
Era ossessionato da Abu Ghraib. «Le foto sulle torture nel carcere americano in Iraq lo avevano sconvolto», ci dice ad un certo punto Ahmed parlando di Chérif. E questo basta a farne un jihadista? Il ragazzo che ci sta davanti avrà 20 anni. Scuote la testa. Resta in silenzio. Si accende l’ennesima sigaretta. Fa una profonda boccata, espelle con forza il fumo. Ci guarda dritti con gli occhi neri come il carbone. Sono lucidi per l’emozione mista a rabbia. Annuisce. «Le ho viste. Come tutti nel mondo. Ti cambiano. Dentro».
I capi di una cellula dormiente. Forse solo due lupi solitari. Meglio: una coppia di balordi, reduci da un’estate di guerre e di teste mozzate in Siria. Chérif e Said Kouachi, 32 e 34 anni, li hanno cercati anche qui, tra queste terre piatte e monotone, sferzate da un vento gelido che piega i boschi di conifere ridotti dall’inverno a degli scheletri senza più anima. Perché è qui, nel cuore delle Ardennes-Champagne, regione del nordest della Francia, 180 chilometri da Parigi, a due passi dal confine con il Belgio, che i due presunti autori della più sanguinosa strage degli ultimi 50 anni, si erano trasferiti per preparare il loro “salto di qualità”.
Reims riprende fiato. Fino a poche ore fa era rimasta come sospesa: stretta tra l’incubo di nuovi attacchi e l’assedio dei corpi speciali ai tre covi dove si pensava i due jihadisti si fossero rifugiati. Pochi hanno voglia di parlare. Chi ha la forza e il coraggio di rispondere alle domande lo fa con un filo di voce, sussurrando parole di angoscia. Si guarda attorno. Teme altri agguati, altro sangue, nuovi morti. «Siamo scioccati», sostiene Omar Bakari, 66 anni, frequentatore della moschea del quartiere di Croix Rouge, la più grande nel nord della Francia. «Said Kouachi lo vedevamo spesso. Restava in disparte. Non scambiava parole con gli altri. Mi avrà stretto la mano una volta. Ma lo ha fatto perché gli avevo sporto la mia. Non avrei mai pensato che fosse capace di aver fatto quello di cui è accusato». Nessuno lo dice chiaramente. Ma sono in molti a sollevare dei dubbi sulla responsabilità dei due fratelli. Davanti ad una mattanza così feroce come quella consumata nella redazione del settimanale satirico si fa strada una forma di incredulità. O forse è semplice voglia di scacciare un incubo che è tornato ad affacciarsi. Qui sono stati incoronati i più grandi re di Francia, i romani elessero questa città capitale della Gallia conquistata, la Chiesa la nominò importante sede vescovile. Oggi Reims è famosa per del suo champagne che si assaggia in ogni più piccolo bistrot. Ma è anche il luogo in cui l’imam locale è riuscito a costruire la più grande moschea del nord del paese.
Basta poco per riattizzare l’incendio. Le segnalazioni che continuano a tempestare i centralini della polizia creano una vera psicosi da caccia all’uomo. La stessa che si era scatenata per tutto giovedì pomeriggio anche a Charleville-Mézières, l’altro capoluogo della regione, 80 chilometri più a nord, dov’è stato fermato lo studente algerino di 18 anni, Amid Mourad, cognato di Said Kouachi: è bastato questo per trasformarlo nel terzo membro del commando assassino, ma la polizia, che lo ha fermato davanti a casa, non ha potuto contestargli alcun reato. I compagni di scuola gli hanno fornito un alibi di ferro: la mattina della strage si trovava in classe. Amid conosce e frequentava i fratelli Kouachi. Vive a Ronde Couture, un quartiere difficile dove le pattuglie della polizia possono entrare solo se girano con due agenti. Ordine del Prefetto.
Said e Chérif andavano spesso a Charleville-Mézières. Soprattutto negli ultimi tempi. «Dopo il loro rientro dalla Siria», taglia corto un ragazzo dalla pelle scura, il naso sottile, lo sguardo basso, le mani in tasca, i piedi che prendono a calci i sassi della stradina sterrata. L’aria è sempre più tesa. Anche qui molti pensano a una montatura. La prova della carta d’identità persa nell’auto usata nella fuga «è una trappola». La strage è stata spietata e orrenda. Va respinta. Un gesto troppo forte. Anche per due lupi solitari.
Eppure Chérif Kouachi era noto alla polizia. Nel 2005 appare in uno speciale tv sul reclutamento dei militanti islamisti radicali. A quei tempi però sogna ancora di diventare un cantante rap. Per un certo periodo si fa chiamare Abu Issen. Nel maggio del 2008 è arrestato nell’operazione “Buttes Chaumont”. È il nome del parco parigino del 19 arrondissement dove il ragazzo si vede e si allena con altri compagni aspiranti jihadisti. Si becca 3 anni ma si fa solo 18 mesi. Insieme a Said frequenta la moschea di rue de Tanger a Parigi. Resta affascinato dall’imam Farid Banyettou, a sua volta condannato a 6 anni di carcere per reati legati al terrorismo.
L’influenza di Banyettou sarà determinante. Lo indottrina, lo coinvolge nei suoi sermoni, gli legge passi del Corano. Nel quale, spiega, «si dice che è lecito imbracciare un Kalashnikov e fare fuoco contro gli infedeli». Le foto di Abu Ghraib sono solo benzina su un fuoco che già brucia. Esce dal carcere, svolge lavoretti di fortuna. Porta pizze a domicilio, lavora al mercato del pesce, in un magazzino. La polizia sospetta che sia coinvolto nella liberazione di Smain Ait Alì Belkacem, mente degli attentati del 1995 in Francia rivendicati del Gia algerino. Lo ferma ma lo rilascia: non ci sono prove. Lo controlla. A distanza. Come tanti. Per l’Fbi i due fratelli stavano nella “no fly list”. Chérif fa parte di quei 185 francesi, su 1200, che sono rientrati dalla Siria. Pieni di rabbia e di violenza. Trasformati in killer da quell’inferno che ha creato il Califfato nero.
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NINO CIRILLO, IL MESSAGGERO -
Una foresta, una cava, una fattoria. La più incredibili delle cacce all’uomo, per la seconda notte di seguito, è in corso nel Nord Est della Francia, a una settantina di chilometri da Parigi, dopo la Val d’Oise, ormai in piena Piccardia. I trecento paesani stanno barricati in casa, così ha ordinato la polizia francese, fra Crepy en Valois e Corchy, tredicimila ettari di campagne che i reparti speciali stanno battendo palmo a palmo, con un senso crescente di impotenza.
RAPINA DAL BENZINAIO
Perché lì, tra Longpont e Vauciennes, dovrebbero essersi rifugiati Cherif e Said Kouchi, i due fratelli franco algerini fortemente sospettati, a questo punto molto fortemente, di essere gli autori della strage di Charlie Hebdo. Le teste di cuoio dovrebbero aver recuperato qua e là tracce del loro passaggio, ma questo non può bastare. Come non basta la lucida, coraggiosa testimonianza di un benzinario di Bouziers, proprio lì vicino. Li ha visti arrivare nella sua stazione di servizio a metà mattinata, intorno alle dieci e mezza, rapinare noncuranti cibo e carburante e poi fuggire. Ma ha fatto in tempo a riconoscerli perché bene impresse gli erano rimaste le facce pubblicate da tutti i giornali del mondo, perché nell’auto, la Clio grigia rubata a Porte de Pantin ha potuto notare due bandiere della Jihad, una decina di bottiglie molotov e perfino un lanciarazzi. Più prezioso di così non poteva essere, ma non è bastato neanche questo. La Clio grigia è stata ritrovata poco lontano, loro due non c’erano ormai più.
FUGA DI NOTIZIE
Alla fine della giornata, la caccia viene sospesa, gli agenti ricevono l’ordine di interrompere le ricerche nella foresta e di ritirarsi. Poi però, nella notte, dagli Stati Uniti la rete televisiva Cnn lancia la notizia: i due sarebbero stati avvistati dagli elicotteri. Se un’indagine così convulsa e confusa fosse stata condotta da noi in Italia saremmo già qui a parlare di fallimento. I francesi, invece, stringono le file e vanno avanti. Il premier Valls tira le orechie ai media di buon mattino, perché davvero ne hanno tirate fuori troppe, e una diversa dall’altra. Ma non riesce ad arginare la marea montante delle indiscrezioni, delle fughe di notizie minuto per minuto. A gettare sale sulla ferita ci pensano anche le tv americane, forti di informazioni che presumibilmente arrivano direttamente da Washington. Il risultato è un disastro. Come un disastro è stata tutta la giornata per la Francia intera. Segnata da un altro morto, una poliziotta uccisa alle otto del mattino all’altro capo di Parigi, a sud, in una sparatoria a Montrouge. Ferito l’agente che era con lei, fuggito l’uomo che ha sparato. Un fantasma anche lui a questo punto, e qualcuno già immagina che si tratti del misterioso terzo complice dei fratelli Kouachi. E comunque sarebbero tre gli assassini che circolano ancora indisturbati nel cuore del Paese: una tensione insopportabile.
L’ALIBI DEL RAGAZZINO
Perché il ragazzino di 18 anni che si è costituito l’altra notte ha fatto presto a uscire da queste indagini, a dimostrare che lui, la mattina della strage, era proprio a scuola. Un’altra beffa per gli investigatori, un altro clamoroso passo indietro. Ancora più clamoroso se si considerano le forze messe in campo: 55mila agenti e 33mila gendarmi, in tutto 88mila mila uomini. E le misure decise: c’è stato un momento, intorno alle 12 di ieri, in cui tutte le vie d’accesso a Parigi erano chiuse. Una metropoli isolata dal resto del mondo.
PAESE INCOLLATO ALLA TV
Le immagini delle tv, a sera, rilanciano la fotografia di queste indagini che non sono ancora arrivate da nessuna parte: l’impiego dei cani, il montaggio dei gruppi elettrogeni nella foresta, i fucili sempre inutilmente puntati. E loro, Cherif e Said, che continuano a farsi gioco della Francia intera, ancora incapucciati come li ripresero le telecamere durante la strage, ancora decisi a tutto. Ma quanto potranno resistere ancora?
Nino Cirillo
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FRANCESCA PIERANTOZZI, IL MESSAGGERO -
I primi colpi sono passati quasi inosservati, mercoledì sera, mentre la Francia seguiva la caccia della polizia ai killer di Charlie Hebdo: due o tre colpi di pistola contro il muro scrostato di una sala di preghiera alla periferia di Port-La-Nouvelle, stazione balneare a Sud di Montpellier. Una sala di preghiera musulmana, vuota in quel momento, perché i fedeli se n’erano andati da circa un’ora. Poi un’altra esplosione meno di tre ore dopo, a notte fonda, molto più a nord, nella Loira, a Le Mans: qui tre granate da esercitazione sono state lanciate contro un altro muro, quello della moschea del popolare quartiere dei Sablons.
Passano poche ore, all’alba nuova esplosione, più forte questa volta, a Villefranche-sur-Saone, non lontano da Lione: un ordigno artigianale distrugge il negozio di kebab accanto alla moschea. Tre attacchi in meno di dieci ore, nessuna vittima, ma quanto basta per considerare che «i luoghi di culto musulmano» sono luoghi a rischio, quanto le scuole, le stazioni, i grandi magazzini, i giornali. Ancora di più oggi, venerdì, giorno della preghiera settimanale.
«AZIONI ANTIMUSULMANE»
In queste ore, la comunità musulmana ha scelto la prudenza e il raccoglimento, ma non può tacere, anche se gli occhi dei media sono puntati e piangono altrove, sulle vittime dei killer a Charlie Hebdo, o sulla poliziotta ammazzata per la strada, a Montrouge.
«Sono preoccupato, penso che potrebbero esserci azioni antimusulmane. Ce ne sono state tre in poche ore, temo che possano amplificarsi nei prossimi giorni». A parlare è Abdallah Zekri, il presidente dell’Osservatorio contro l’Islamofobia. Alle autorità, che hanno alzato al massimo livello di allerta il dispositivo di sicurezza antiterrorismo Vigipirate, Zakri chiede di «garantire la sicurezza» anche per i musulmani.
«Si tratta chiaramente di una provocazione nei confronti della comunità musulmana, alimentata da un sentimento d’islamofobia» ha commentato Mohamed Bentahar, responsabile a Port-La-Nouvelle della locale sezione dell’Associazione dei lavoratori maghrebini di Francia. «In questo clima generale - ha detto ancora Bentahar - non si tratta di un’azione banale, bisogna prenderla sul serio. Ma una cosa è sicura: la comunità musulmana non risponderà alla provocazione».
Nemmeno gli inquirenti negano una relazione con i fatti di Parigi e l’allerta nazionale. «Qualcuno ha voluto vendicare qualcosa o qualcuno, di più non possiamo dire», ha commentato il procuratore di Narbonne, David Charmatz.
Stessa preoccupazione a Villefranche, dove il sindaco Bernard Perrut non ha esitato a fare il collegamento con «la situazione drammatica a Parigi». Il negozio di kebab, l’Imperial, è stato distrutto da una bomba artigianale ma abbastanza potente. «Sono scioccato, hanno distrutto il kebab, ma è la moschea che volevano colpire - ha commentato Fayssal, 28 anni, abitante del quartiere - Ci sono persone che confondono tutto, non si possono confondere i musulmani con l’orrore che è successo a Parigi. Quelli sono extraterrestri, sono bestie».
Secondo Foued Medjoub, segretario della Moschea, i luoghi non avevano mai subito violenze, mai nessuna minaccia: «Forse c’è gente che vuole la guerra, ma noi diciamo che dodici morti sono abbastanza». Da Villefranche, il sindaco ha voluto rivolgere un messaggio «di coesione, unità e rispeto in questo periodo doloroso che sta attraversando la Francia». Da ieri, due poliziotti sorvegliano l’entrata della Moschea.
MANIFESTAZIONE DOMENICA
Finora c’è stato un fermo, ma relativo a un altro episodio. Un uomo interrogato dalla polizia dopo aver scritto «Morte agli Arabi» sul grande portone della Moschea di Poitiers. Le federazioni musulmane di Francia invitano alla calma. Ieri hanno chiesto agli imam di «condannare con il massimo della fermezza, durante la grande preghiera del venerdì, la violenza e il terrorismo». In un comunicato, i dirigenti del Consiglio francese del culto musulmano e anche la più radicale Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia, hanno chiesto «ai cittadini di confessione musulmana di partecipare in massa alla grande «manifestazione nazionale» di domenica.
Francesca Pierantozzi
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NINO CIRILLO, IL MESSAGGERO -
Il capo sembra proprio lui, Cherif. È lui che concede interviste, è lui che si fa arrestare per tornare in libertà un anno e mezzo dopo - e poi dicono della giustizia italiana -, è sempre lui che trascina a un certo punto Said, il fratello più grande di due anni, ad ascoltare le prediche dell’imam Farid Bruneyttou, in una moschea del Diciannovesimo, dove Parigi sta per scomparire e inizia l’infinita banlieue. Per inquadrarli bene tutti e due, questi franco algerini per ora sfuggiti alla caccia di 88mila agenti della polizia francese, bisognerebbe andare a vedere dove sono nati e dove sono cresciuti. A Gennevilliers, un posto che i parigini della Bastille neanche conoscono, di cui hanno saputo solo l’altra sera in tv dopo l’attentato, un paesone scombinato della regione Hauts de Seine, una schiera di giganteschi condomini, un impasto di degrado e disagio sociale che Tor Sapienza al confronto fa solo sorridere. Ebbene da lì si sono mossi, un solo biglietto di metro per arrivare al Louvre, eppure una distanza siderale da quella civiltà che li aveva accolti. Immigrati ormai di terza generazione, i più frustrati, potenzialmente i più pericolosi secondo tutti i testi di criminologia, con biografie che terribilmente assomigliano ad altre. Perché anche Cherif, per dirne una, nei suoi anni giovanili elogiava il potere salvifico del rap, proprio come il boia inglese di Foley prima di arrivare in Iraq.
L’ARRESTO PER TERRORISMO
Se non sono loro i macellai di rue Nicolas Appert, certamente non stanno facendo nulla per smentirlo. Hanno ignorato anche l’appello del loro avvocato a costituirsi, sono due fantasmi forse già finiti nella rete. Eppure non si arrendono, eppure stanno vendendo carissima la pelle, dando l’idea di essersi a lungo preparati a questi momenti. Cherif Kouachi, sempre lui, a un certo punto della sua giovane vita l’ha proprio dichiarato: «È scritto nei sacri testi: è bene morire da martire». Lo disse in un’intervista a France3 nel 2005, nove anni fa, ieri ripescata e rimandata in onda. In quella stessa intervista spiegava la sua ammirazione per quell’imam e raccontava dei suoi viaggi, in Siria e in Iraq. Ma neppure questo è bastato a fermarlo. Ce lo ritroviamo tre anni dopo arrestato per davvero, coinvolto in un’indagine sul reclutamento di terroristi per l’Iraq. Tre anni di carcere gli vengono inflitti, ma la pena alla fine sarà dimezzata perché non ha precedenti. Esce di galera e ricomincia a viaggiare, e stavolta al suo fianco c’è sicuramente Said. Almeno uno di loro va nello Yemen, pare, e poi entrambi di nuovo in Siria. Due campioni dei foreign fighter, due esemplari classici di terroristi “homegrown”, nel senso che ce li siamo cresciuti in casa e poi esportati, e poi fatti tornare. Al loro ritorno in Francia sono diventati terroristi addestratissimi, due boia impeccabili, come hanno dimostrato l’altra mattina a Parigi quando hanno compiuto - secondo gli inquirenti francesi - la strage alla redazione di Charlie Hebd. L’errore nel chiedere l’indirizzo, certo, e anche la scarpa finita sotto la Citroen e poi ripresa, ma per il resto un concentrato di velocità, di precisione e di ferocia, fino a eliminare senza pietà dodici persone, fra i quali due algerini come loro.
MOLOTOV NELL’AUTO
Incappucciati si sono presentati a Charlie Hebdo e incappucciati sono rimasti, almeno a dar credito alle diverse testimonianze raccolte. E anche apparentemente imprudenti, forse solo così sicuri da voler lasciare ad ogni costo delle tracce. Le due rivendicazioni innanzittutto, quel proclamare «Allah è grande» e poi «Vendicheremo il Profeta», quel prendere di petto il povero automobilista di Porte de Pantin per gridargli in faccia: «Dillo a tutti che siamo Al Qaeda dello Yemen».
Ma non solo. Il benzinaio che giura di averli visti ieri mattina rapinare cibo e carburante nella sua stazione di servizio, sostiene anche di aver notato nell’auto un paio di bandiere jihadiste e una decina di bottiglie motolotov. E perfino un lanciarazzi. Armati fino ai denti, con una via di fuga probabilmente già studiata prima di passare all’azione. Le loro foto, ormai, sono su tutti i giornali del mondo, le hanno diffuse tutte le tv, eppure ancora non li prendono. Come avvolta nel mistero resta la figura del loro complice, probabilmente l’uomo che li aspettava in auto pronto alla fuga.
L’OMBRA DEL COMPLICE
Il ragazzino preso ieri dalla polizia ha facilmente potuto dimostrare che quella mattina lui era a scuola. E’ stato un buco nell’acqua. C’è chi arriva a sostenere, ma si romanza parecchio, che il loro complice possa essere addirittura lo sparatore di Montrouge, l’uomo che ieri mattina ha ucciso una vigilessa dalla parte opposta della città. Ma niente per ora lo fa pensare. Eppoi questo vieni e vai, da una parte dall’altra di Parigi, perché è sempre quel benzinaio che sostiene di averli visti diretti a un certo punto verso Sud, come se avessero cambiato idea. La debbono aver cambiata di nuovo, se i reparti speciali stanno ancora tutti lì, 70 chilometri a Nord di Parigi, in Piccardia, fra paesini che si chiamano Crepy en Valois e Cochy, con i fucili puntati contro una fattoria. I due o tre appartamenti nel frattempo perquisiti lungo il tragitto si sono dimostrati covi freddi, i fratelli Kouachi evidentemente non li hanno usati. Ma di qualche complicità potrebbe essersi serviti, qualche base insospettabile potrebbero averla usata. A dimostrazione che non sono dei «piccoli delinquenti», come sta ancora scritto negli archivi della polizia francese.
Nino Cirillo
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MARCO MOUSSANET, IL SOLE 24 ORE -
Sono ancora in fuga i fratelli Kouachi, i due jihadisti francesi di origine algerina sospettati dell’attentato al settimanale satirico Charlie Hebdo, e la gigantesca caccia all’uomo messa in piedi dalle autorità francesi continua.
In un clima di alta tensione e dolore per le vittime, tra falsi allarmi che si sono moltiplicati per tutta la giornata, ieri le ricerche si sono concentrate su una vasta area rurale e boschiva a circa 80 chilometri da Parigi. In azione le “teste di cuoio” francesi (gli uomini del Gign e Raid, le unità d’elite della polizia e gendarmeria), che hanno perlustrato con il supporto di decine di elicotteri la regione della Piccardia, dove i killer erano stati avvistati e riconosciuti dal gestore di una stazione di servizio in cui si erano fermati per fare scorta di cibo. La ricerca nella foresta di Longpont è terminata con un nulla di fatto. E dunque stamane le ricerche dei due fratelli, che - si è scoperto - erano da tempo nella lista statunitense di persone considerate sospette di terrorismo (la cosiddetta “no fly list”), continuano.
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La caccia ai due killer
Di concreto restano per adesso soltanto lo sgomento e la paura per le notizie della cronaca e le immagini che le dirette televisive hanno inviato tutto il giorno, ieri, dalle porte di ingresso alla capitale. Scene di guerra, con le teste di cuoio della polizia, pesantemente armate, che presidiavano alcuni luoghi, in particolare le porte dell’Est – soprattutto Villette e Pantin – e la zona di Aubervilliers. Il ministro degli Interni francese ha annunciato che sono stati mobilitati 88mila uomini per dare la caccia ai due fuggitivi identificati come autori della strage, i fratelli Chérif e Said Kouachi, rispettivamente di 32 e 34 anni, entrambi già conosciuti dagli inquirenti.
Avvistamento in Piccardia
I due sono stati avvistati ieri a nord di Parigi, nel dipartimento dell’Aisne, in Piccardia. Erano a bordo di una Clio grigia, incappucciati: sarebbero stati riconosciuti dal gestore di una pompa di benzina Avia, a Villers-Cotteret; a bordo l’uomo ha visto dei kalashnikov e forse un lanciarazzi. Successivamente sembrava che i fratelli Kouachi si fossero barricati in una abitazione a Crepy-en-Valoise, ad una quindicina di chilometri di distanza, notizia poi smentita dal ministero dell’Interno. L’intera area è stata setacciata per ore dalle forze speciali e dalla polizia. Infine la perlustrazione della foresta, che non ha prodotto risultati.
Isis inneggia a killer come «eroi»
Il cosiddetto Stato islamico, che non ha rivendicato il massacro alla redazione di Charlie Hebdo, ha elogiato i killer che hanno assassinato 12 persone, definendoli «eroi». Questo il messaggio diffuso da una stazione radio legata al Califfato. «Jihadisti eroi hanno ucciso 12 giornalisti che lavoravano per la rivista francese Charlie Hebdo e hanno ferito altre 10 (persone) per vendicare il Profeta», ha affermato la radio Al-Bayan, considerata uno dei megafoni di Daesh (acronimo in arabo per Isis).
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ALESSANDRO MANTOVANI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Sembravano spacciati, inchiodati, con le teste di cuoio davanti alla porta di casa, fin da mercoledì notte a Reims. E invece la caccia continua, giovedì sera non è ancora finita e tutti capiscono che, se non li prendono subito, sarà più difficile. Secondo il governo sono mobilitati 88 mila uomini tra poliziotti e gendarmi nella caccia ai fratelli Said e Cherif Kouachi, 34 e 32 anni, nati e cresciuti nei quartieri settentrionali di Parigi e divenuti estremisti islamici, sospettati di aver ucciso 12 persone nella redazione del settimanale satirico CharlieHebdo. Se non li prendono sono nei guai perché i due erano perfettamente noti ai servizi di sicurezza, il minore già condannato per reati connessi all’invio di combattenti in Iraq. Secondo il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve Said, il maggiore è stato “riconosciuto formalmente” in una fotografia.
La caccia punta a nord, fin dal primo momento, perché dopo la strage i due uomini armati di kalashnikov hanno lasciato Parigi in direzione nord e da un paio d’anni vivono a Reims. Ma a Reims non li hanno trovati, hanno fermato nove persone vicine ai due fratelli, alcune sono sospettate di averli aiutati nella fuga. Non li hanno trovati nemmeno ieri quando le ricerche si sono concentrate in Picardia, tra Parigi e Reims a un’ottantina di chilometri dalla Capitale dove il gestore di una stazione di servizio sulla Route nationale 2 ha riconosciuto nelle foto segnaletiche dei fratelli Kouachi gli uomini che l’avevano rapinato ieri mattina. Nell’auto, secondo i media francesi, avrebbe visto anche i kalashnikov. Lì vicino, in una fattoria nel Comune di Villers Cotterettes, sarebbe stata ritrovata la Clio grigia strappata a una donna durante la fuga a Parigi, ma non ci sono conferme. Per qualche ora si riteneva che i due stessero rientrando verso Parigi e le porte a nord sono state letteralmente blindate. Poi le ricerche sono proseguite in Picardia, a Crepy en Valois e e Longpont, con perquisizioni nelle case dei villaggi di Fleury e Corcy. Agenti accompagnati da cani addestrati si sono diretti anche verso la foresta demaniale di Retz.
SEMBRA CHIUSA la questione del “palo”, il presunto terzo uomo del commando: il 18enne finito al centro dei sospetti ha chiarito la sua posizione, era a scuola e i compagni confermano. Non è nemmeno chiaro se questo terzo uomo, si dice a bordo di uno scooter, fosse davvero sotto la sede del giornale.
Ci si interroga sulle affiliazioni, i due secondo testimoni avrebbero gridato di appartenere a al Qaeda dello Yemen, la strage ha suscitato commenti entusiasti anche su siti legati all’Isis siriano e ad altri gruppi del Maghreb ma sembra prevalere l’idea che si tratti di “cani sciolti”.
Parigi è sottochoc, il governo ha portato al livello massimo l’allerta antiterrorismo e il piano Vigipirate, nato 20 anni fa quando le bombe targate Gia (Gruppo islamico armato algerino) avevano colpito la metropolitana. Vuol dire maggiore presenza di polizia e militari nei luoghi più frequentati: mete turistiche, grandi magazzini, centri commerciali. Vuol dire che c’è voluta mezza giornata e la conferenza stampa del ministro Cazeneuve per convincersi che l’omicidio a sangue freddo di una vigilessa a Montrouge, banlieue sud di Parigi, non aveva nulla a che fare con la strage di mercoledì negli uffici di Charlie Hebdo. E ancora bandiere a mezz’asta, un minuto di silenzio negli uffici pubblici per il lutto nazionale proclamato da François Hollande, luci spente alle 20 sulla Tour Eiffel.
La Francia ha paura e reagisce. Ieri una nuova toccante manifestazione in place de la République , sia pure non imponente come quella di mercoledì. Candele accese davanti alla sede del giornale colpito. Altre manifestazioni in numerose città francesi.
La tensione è altissima. La netta condanna dell’Islam francese ufficiale che rappresenta cinque milioni di persone, diffusa anche su twitter con l’hashtag #notin myname, non ha evitato un’ondata di attacchi a luoghi di culto musulmani da un capo all’altro della Francia, fortunatamente senza danni alle persone. Granate da esercitazione contro una moschea a Le Mans (Loira), pistolettate contro un’altra a Port-la-Nouvelle (Linguadoca), un ordigno contro un rivenditore di kebab di fronte a una terza a Villefranche-sur-Saone (Lione).
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GIAMPIERO CALAPA’, IL FATTO QUOTIDIANO -
L’Isis, il sedicente Califfato delle atrocità in Medio Oriente, esulta e chiama “eroi” i killer di Parigi: Said, 34 anni, e Cherif Kouachi, 32. Un legame solido e di vecchia data quello tra i due fratelli e l’Isis, rappresentato dalla loro vicinanza al tunisino Boubaker al Hakim, ora considerato membro dell’organizzazione fondamentalista, e assassino di due politici laici tunisini nel 2003 (Chokri Belaid e Mohamed Brahmi).
A RIVELARLO al Time of Israel è Pierre Filiu, esperto di radicalismo islamista dell’università Sciences Po di Parigi: “Hakim rappresenta il collegamento tra i fratelli Kouachi e l’Isis e per me è impossibile che l’Isis sia estranea all’operazione del massacro al Charlie Hebdo: anzi, sono sicuro che presto l’Isis diffonderà un video rivendicando la strage”. Nato nel 1983, Hakim, quasi coetaneo dei fratelli Kouachi, è cresciuto con loro nella stessa area a nord est di Parigi, dove tutti e tre hanno militato nel “Butte-Chaumont network”, gruppo fondamentalista già vicino ad Al Qaeda, chiamato come il parco parigino teatro dell’addestramento e indottrinamento. Cherif è stato arrestato per averne fatto parte: fermato nel 2005 dalla gendarmeria mentre stava per partire per Damasco, in tasca istruzioni per l’uso del kalashnikov, dove intendeva raggiungere l’Iraq e unirsi alle truppe islamiste. In più Kouachi è stato anche sospettato di aver partecipato al progetto di evasione di un gruppo di detenuti franco-algerini colpevoli della strage (otto morti) del 1995. Cherif nel 2008 è stato condannato a tre anni di carcere, di cui 18 mesi con la condizionale, ma una volta uscito si è spostato da Parigi a Reims riuscendo a tornare nell’anonimato, tanto da sfuggire al controllo, o ad esser ignorato dai servizi segreti francesi. Vincent Ollivier, nominato legale d’ufficio di Cherif nel 2005, racconta a Le Figaro: “Mi ricordo un ragazzo senza un soldo, morto di paura e quasi sollevato per esser stato fermato prima di fare qualche sciocchezza. Consegnava pizze a domicilio, fumava hascisc e praticamente lavorava solo per procurarsi la droga, aveva 22 anni. Ma è durante la detenzione che cambia del tutto. Fisicamente, rafforzando la massa muscolare. È diventato molto più silenzioso dopo l’esperienza del carcere”.
Già prima della galera, però, Cherif ha le idee chiare. Come racconta lui stesso, proprio nel 2005, alla televisione France3, in un docu-film sul radicalismo islamista. Pronto a morire da martire “grazie” agli insegnamenti di Farid Benyettou, predicatore del 19° municipio di Parigi, i cui sermoni venivano ascoltati al parco Butte-Chaumont.
“FARID ci ha parlato dei vantaggi – racconta Cherif nel docu film – degli attentati suicidi. È scritto che è un bene morire da martire. Grazie ai consigli di Farid i miei dubbi sono svaniti. Avevo paura, ma non gliel’ho detto: Farid ha influenzato la mia partenza, nel senso che ha dato una giustificazione per la mia futura morte”. Farid fu arrestato nel febbraio 2005.
A Reims ieri la polizia scientifica francese ha perquisito l’abitazione di Said Kouachi, il fratello maggiore. Un vicino di casa ha raccontato: “Said era qui da poco più di un anno, ci incrociavamo dicendoci buongiorno, niente di più. Mai avuto problemi, era sicuramente un musulmano praticante, ma non l’ho mai visto fare proselitismo”.