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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

PALLINATO SU GRETA E VANESSA PER IL FOGLIO DEI FOGLI DEL 5 GENNAIO 2015

Con un video pubblicato su YouTube il 31 dicembre alle 22.30 i sequestratori hanno mostrato Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, cooperanti italiane rapite in Siria alla fine di luglio. Le due sono vestite di nero e col capo velato. Vanessa tiene in mano un foglio a quadretti con la scritta «17-12-14 Wednesday», Greta Ramelli legge il testo in inglese, evidentemente preparato dai sequestratori: «Supplichiamo il nostro governo e i loro mediatori di riportarci a casa prima di Natale. Siamo in grande pericolo e possiamo essere uccise. Il nostro governo e i mediatori sono responsabili delle nostre vite» [1].

Il video dura 23 secondi, ha un audio di pessima qualità. È ben lontano dalla professionalità mostrata dall’Isis: una parete disadorna, sul pavimento delle coperte. Non c’è il logo del gruppo di sequestratori [2].

Altri elementi su cui riflettere. Non c’era un metodo di datazione del video più efficace del foglio a quadretti con la scritta a penna mostrato dalle ragazze? E poi: il volto delle cooperanti. Alcune fazioni evitano di mostrarlo perché proibito dalla religione. I sequestratori dovevano provare di avere in mano le due italiane [2].

Se si deve stare al poco che le fonti della nostra Intelligence lasciano filtrare, il video risalirebbe alla fine di novembre e la data del 17 dicembre, scritta a mano su un foglio mostrato dalle ragazze, sarebbe dovuta essere, nelle intenzioni dei sequestratori, quella scelta per la pubblicazione delle immagini su YouTube. Così non è stato, perché il filmato avrebbe conosciuto un percorso tortuoso, prima di approdare in rete [3].

Subito dopo il video è arrivato un messaggio dei jihadisti di al Nusra attraverso il portavoce Abu Fadel: «Abbiamo noi le donne italiane, perché il loro Paese sostiene gli attacchi contro di noi in Siria». Come gli ex alleati dell’Isis, con i quali oggi si contende la leadership della guerra contro Assad, al Nusra è da settembre sotto il tiro dei raid della coalizione internazionale [4].

La rivendicazione è ritenuta «non attendibile» dall’Intelligence italiana e vissuta come una sorta di interferenza. Secondo le indicazioni fornite dai mediatori le ragazze dovrebbero essere nelle mani del Free Syrian Army, l’Esercito Siriano Libero, e non si esclude che altri gruppi stiano tentando di inserirsi nel negoziato. Soprattutto tenendo conto che nelle scorse settimane anche alcuni occidentali, semplici truffatori, si sono proposti come intermediari [1].

Però nelle ore seguite alla diffusione del video, l’Esercito Siriano Libero si è tirato fuori dalla questione e ieri i ribelli anti-Assad hanno «smentito nel modo più assoluto» di avere in mano le ragazze [5].

Non è la prima volta che brigate dell’Esercito Siriano Libero sono accusate di rapimenti. Pochi mesi fa, l’americano Theo Padnos sul New York Times ha raccontato come i ribelli a lungo sostenuti da europei e Usa lo abbiano venduto per due volte ad al Nusra [6].

Quindi, anche se l’Intelligence dice di no, in teoria le ragazze potrebbero essere nelle mani di al Nusra. Bonini: «In questo momento ciascuna delle fazioni coinvolte nella prigionia rivendica un diritto di parola sulla sorte delle due ragazze, ritiene di dover far valere e pesare le proprie decisioni. Una circostanza che rende la trattativa laboriosa e, soprattutto, la espone ai tentativi di chi, pur non avendo in mano le due cooperanti, ne rivendica il controllo pur di poter entrare a sua volta nel gioco e incassarne i dividendi. Fossero anche soltanto politici» [3].

Del sequestro, avvenuto a luglio e ricostruito in parte dal quotidiano libanese Al Akhbar, si conoscono pochi particolari. Le ragazze sono entrate in Siria da Atma per puntare su Aleppo. Le loro tracce si sono perse nel villaggio di Abizmu, dove sono state «attirate» in casa del «capo del consiglio rivoluzionario locale», rapite e poi «vendute» a un gruppo di ribelli predoni per essere «rivendute». Con loro c’era il giornalista del Foglio, Daniele Raineri, che è riuscito a fuggire [4].

Su Greta e Vanessa le ultime informazioni risalivano al 20 settembre, quando prima si era diffuso il timore che fossero cadute nelle mani dei jihadisti dell’Isis e poi era arrivata la smentita del quotidiano libanese al Akhbar. Dopo mesi di incertezze, a metà dicembre era finalmente arrivata la prova che le ragazze erano vive. Si era saputo che erano segregate in una casa gestita da donne, loro stesse avevano parlato con le persone che stanno dialogando per conto del governo italiano. Ma all’improvviso la trattativa aveva subito una battuta d’arresto: i rapitori avevano sconfessato il loro mediatore, forse ritenendolo «non attendibile» [1].

Il video sembra adesso rappresentare il via libera per la conclusione della trattativa. Ma la scelta di farlo pubblicamente, mostrando le prigioniere con le vesti islamiche, preoccupa intelligence e Farnesina perché sembra anche un invito a chi può offrire un prezzo più alto perché si faccia avanti e prenda in consegna le ragazze, avviando poi una nuova trattativa con l’Italia [1].

Sia il Free Syrian Army sia Al Nusra sono all’opposizione rispetto all’Isis e ciò fa escludere che i fondamentalisti riescano a entrare nella partita, ma anche tale eventualità va tenuta nel conto e pertanto in queste ore ci si affanna per riuscire a chiudere l’accordo [1].

Gli ostaggi, infatti, fanno gola anche allo Stato Islamico. Il quale, nel 2014, ha incassato 65 milioni di dollari grazie ai sequestri in Siria ed Iraq. Lo dice il recente rapporto “The Islamic State”, preparato dal Soufan Group di New York. Fra gli stranieri più ambiti vi sono quelli di Paesi noti per pagare i riscatti, come per esempio la Francia, dalla quale i gruppi jihadisti hanno ottenuto circa 18 milioni di dollari. Si tratta del Paese considerato il «migliore pagatore», non solo in Medio Oriente ma anche in Nordafrica, seguito dai sequestri di facoltosi leader locali [7].

I soldi liquidi servono per pagare gli stipendi ai miliziani jihadisti, ognuno dei quali riceve mensilmente fra 200 e 600 dollari. Se le entrate dello Stato Islamico conseguenti alla vendita di greggio (3 milioni di dollari al giorno) servono per mantenere l’organizzazione (a cominciare dagli acquisti di armi), sono i proventi di riscatti, vendita di opere d’arte trafugate e imposizione di dazi sulle merci a far affluire nelle casse jihadiste quanto serve per alimentare le forze paramilitari e anche una struttura amministrativa cresciuta di dimensione grazie alle 18 province (Welayat) che oggi si estendono dalla periferia di Aleppo in Siria a quella di Baghdad in Iraq [7].

Nel caso degli ostaggi italiani i riscatti vanno dai 5 milioni in su per i sequestri in Siria e Iraq, solo un milione o poco più per i sequestri finora verificatisi in Libia. Si stima che dal 2004 l’Italia abbia pagato complessivamente 61 milioni di euro per liberare Simona Pari e Simonetta Torretta, Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio, Giuliana Sgrena, Clementina Cantoni, Daniele Mastrogiacomo, Rossella Urru, Maria Sandra Mariani, Sergio Cicala e Philomene Kabouree, Federico Motka, Domenico Quirico. Teniamo presente che l’ultimo ostaggio italosvizzero, Federico Motka, sequestrato anche lui in Siria il 12 marzo 2013, è stato rilasciato il 26 maggio scorso dietro il pagamento di un riscatto di 6 milioni di euro [8].

Saranno decisivi i prossimi giorni. Nella consapevolezza (condivisa da entrambi i lati della trattativa) che il passare del tempo non gioca a favore di nessuno. Soprattutto, rischia di far materializzare quel fantasma, sin qui esorcizzato, di un passaggio di mano degli ostaggi [3].

(a cura di Daria Egidi)

Note: [1] Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 2/1; [2] Guido Olimpio, Corriere della Sera 2/1; [3] Carlo Bonini, la Repubblica 2/1; [4] Francesca Paci, La Stampa 2/1; [5] Paolo Berizzi, la Repubblica 3/1; [6] Guido Olimpio, Corriere della Sera 3/1; [7] Maurizio Molinari, La Stampa 2/1; [8] Magdi Cristiano Allam, il Giornale 2/1.