Colm Mulcahy; Dana Richards, Le Scienze 1/2015, 8 gennaio 2015
CHE I GIOCHI CONTINUINO
Proprio come un bel gioco di prestigio, un rompicapo ben congegnato può lasciare a bocca aperta, chiarire verità matematiche e stimolare domande importanti: Martin Gardner ne era convinto. Il suo nome è legato alla leggendaria rubrica «Mathematical Games» che tenne per un quarto di secolo su «Scientific American» [«Giochi Matematici» su «Le Scienze», N.d.R.]. Grazie alla sua cultura matematica Gardner, che ora avrebbe 100 anni, presentava ogni mese importanti concetti matematici con il senso del meraviglioso di un illusionista, affascinando un’enorme quantità di lettori in tutto il mondo.
In molti – ignoti, illustri e tutte le vie di mezzo – hanno trovato nella rubrica lo spunto per decidere di lavorare in ambito matematico o affini.
Gardner era un uomo modesto. Non cercò mai riconoscimenti e non aspirò alla fama. Tuttavia il corpus dei 100 e più libri da lui scritti – che rispecchiano una cultura amplissima che abbraccia le scienze e le discipline umanistiche – attrasse l’attenzione e il rispetto di molti personaggi famosi. Lo scienziato cognitivo Douglas Hofstadter, vincitore del premio Pulitzer, lo ha descritto come «uno dei più grandi intelletti prodotti in questo secolo dalla nostra nazione», gli Stati Uniti. Secondo il paleontologo Stephen Jay Gould, Gardner era «il faro più luminoso a difesa della razionalità e della buona scienza contro il misticismo e l’anti-intellettualismo che ci circondano». E il linguista Noam Chomsky ha descritto il suo contributo alla cultura contemporanea come «unico, per ampiezza, per profondità e per come abbraccia questioni difficili e importanti».
Sebbene Gardner all’inizio degli anni ottanta pose fine alla regolarità della sua rubrica, la sua eccezionale influenza non è mai cessata. Scrisse libri e articoli fino alla morte, nel 2010, e la comunità dei suoi ammiratori comprende ormai varie generazioni. I suoi lettori, che continuano a organizzare incontri per ricordare lui e i giochi matematici, continuano a produrre nuovi risultati. Il modo migliore per apprezzare le sue rubriche rivoluzionarie potrebbe essere semplicemente nel rileggerle... o scoprirle per la prima volta, a seconda dei casi. Forse questo nostro omaggio al suo lavoro e ai semi che ha piantato spronerà una nuova generazione a capire perché mai oggi la matematica ricreativa abbia ancora un ruolo importante.
Dalla logica agli esaflexagoni
Nonostante la sua fama in ambito matematico, Gardner non era un matematico in senso tradizionale. Si laureò in filosofia all’Università di Chicago a metà degli anni trenta ed eccelleva in logica, ma per il resto era ignorante per quanto riguardava la matematica (anche se seguì da uditore un corso chiamato «analisi matematica elementare»). Era però ferratissimo a proposito di enigmi matematici. Suo padre, geologo, gli fece conoscere i grandi creatori di enigmi dei primi del secolo, Sam Loyd ed Henry Ernest Dudeney. A partire da quando aveva 15 anni pubblicò regolarmente articoli nelle riviste di illusionismo: indagò spesso le sovrapposizioni tra magia e topologia, la branca della matematica che analizza le proprietà che rimangono immutate quando una figura geometrica viene allungata, ritorta o deformata in altri modi senza spezzarla. Per esempio, una tazza con un manico e una ciambella sono topologicamente equivalenti perché hanno superfici continue con un solo buco.
Nel 1948 Gardner si trasferì a New York, dove fece amicizia con Jekuthiel Ginsburg, professore di matematica alla Yeshiva University e curatore di «Scripta Mathematica», trimestrale che cercava di avvicinare la matematica al grande pubblico. Gardner scrisse per questa rivista una serie di articoli sulla magia matematica e, con il tempo, si convinse del ragionamento di Ginsburg per cui «non c’è bisogno di essere pittori per apprezzare l’arte, o di essere musicisti per apprezzare la buona musica. Vogliamo dimostrare che non serve essere matematici professionisti per apprezzare forme e strutture matematiche, e persino alcune idee astratte».
Nel 1952 Gardner pubblicò il suo primo articolo su «Scientific American», a proposito di macchine in grado di risolvere semplici problemi logici. Il direttore Dennis Flanagan e l’editore Gerard Piel, che curavano il mensile da anni, volevano pubblicare più materiale sulla matematica e il loro interesse aumentò ulteriormente quando nel 1956 il loro collega James Newman pubblicò un libro che vendette sorprendentemente bene, The World of Mathematics. Quello stesso anno Gardner propose un articolo sugli esaflexagoni, strutture fatte di carta ripiegata con proprietà che stavano studiando sia i prestigiatori sia i topologi. L’articolo fu subito accettato, e ancora prima che quel dicembre la rivista arrivasse in edicola a Gardner fu chiesto di tenere una rubrica nello stesso spirito.
I primi articoli di Gardner furono abbastanza elementari, ma la matematica si fece più profonda via via che la sua cultura – e quella dei suoi lettori – si ampliava. In un certo senso Gardner gestiva un suo social network, ma alla velocità delle poste statunitensi. Faceva circolare informazioni tra persone che altrimenti avrebbero lavorato isolate, incoraggiando nuove ricerche e nuove scoperte. Fin dai tempi dell’università teneva un ampio archivio organizzato meticolosamente. La sua rete lo aiutò ad allargare questi archivi e a radunare una vasta cerchia di amici, entusiasti di dare un contributo. Praticamente chiunque gli scrivesse riceveva una risposta dettagliata, quasi come se avessero interpellato un motore di ricerca. Tra i suoi corrispondenti e collaboratori c’erano i matematici John Horton Conway e Persi Diaconis, gli artisti M. C. Escher e Salvador Dalí, il prestigiatore e scettico James Randi e lo scrittore Isaac Asimov.
L’eterogenea comunità attorno a Gardner rifletteva i suoi interessi eclettici, comprendenti letteratura, illusionismo, razionalità, fisica, fantascienza, filosofia e teologia. Era un intellettuale poliedrico in un’epoca di specialisti. In ogni suo scritto sembrava riuscire a trovare un collegamento tra l’argomento principale e le discipline umanistiche; questi riferimenti aiutarono molti lettori ad avvicinarsi a idee che altrimenti avrebbero potuto ignorare.
Per esempio, in un articolo sul «nulla», Gardner andò ben oltre i concetti matematici di zero e di insieme vuoto – l’insieme che non ha alcun elemento – e indagò il concetto di nulla in ambito storico, letterario e filosofico. Altri lettori si affollavano attorno alla rubrica di Gardner per via della sua abilità nel raccontare storie. Raramente redigeva un articolo su un singolo argomento, aspettando invece di avere materiale a sufficienza per intrecciare un ricco arazzo di concetti correlati e possibili spunti di indagine. Spesso impiegava 20 giorni per la ricerca e la stesura, convinto che la fatica fatta per imparare qualcosa lo poneva in una posizione migliore di quella di un esperto per spiegarlo al grande pubblico.
Gardner traduceva la matematica così bene che le sue rubriche spesso spingevano i lettori a ulteriori ricerche. Pensiamo a Marjorie Rice, casalinga che, armata del suo diploma di scuola superiore, usò quello che aveva appreso da una rubrica di Gardner per scoprire vari nuovi tipi di pentagoni che tassellano il piano, cioè figure geometriche con cinque lati che combaciano come piastrelle senza lasciare interstizi. Scrisse a Gardner, che chiese alla matematica Doris Schattschneider di verificare i risultati. Le rubriche di Gardner diedero lo spunto per decine di nuovi risultati, di gran lunga troppi per poterli elencare. Nel 1993, però, Gardner stesso identificò le cinque rubriche che avevano generato più risposte dai lettori: quelle sui polimini di Solomon W. Golomb, il nuovo solitario di Conway («la Vita»), la tassellatura non periodica del piano scoperta da Roger Penrose, la crittografia RSA e il paradosso di Newcomb.
Polimini e vita
Forse alcuni di questi argomenti hanno avuto tanta popolarità perché è facile giocarci a casa, usando oggetti comuni come scacchiere, fiammiferi, carte da gioco e pezzi di carta. È il caso per esempio dell’articolo di maggio 1957 in cui Gardner descrisse il lavoro di Golomb, che aveva da poco studiato le proprietà dei polimini, figure composte accostando alcuni quadratini lungo i lati; un domino è un polimino composto da due quadrati, un trimino da tre, un tetramino da quattro e così via. Appaiono in questioni di tassellatura, problemi logici e giochi per tutti, compresi alcuni videogiochi come Tetris. Gli studiosi di rompicapi conoscevano già queste figure ma, come riferì Gardner, Golomb era andato oltre, dimostrando alcuni teoremi sulle disposizioni possibili.
Certi polimini compaiono anche come strutture del gioco della vita, inventato da Conway e presentato su «Scientific American» dell’ottobre 1970 [in «Le Scienze», maggio 1971, N.d.R.]. Nel gioco compaiono «celle» (o «cellule»), cioè elementi di un reticolo quadrato contrassegnati come «vivi» o «morti», che sopravvivono e proliferano oppure muoiono seguendo certe regole: per esempio, una cella con due o tre vicini vivi sopravvive, mentre quelle con zero, uno, oppure quattro o più vicini muoiono. Una «partita» comincia con una certa configurazione iniziale e poi i gruppi di celle evolvono secondo queste regole. Il gioco fu parte di un campo nascente che usava «automi cellulari» (insiemi di celle che seguono certe regole) per simulare sistemi complessi, spesso in modo dettagliatissimo. L’intuizione di Conway fu che un semplicissimo automa a due stati che progettò a mano potesse contenere un potenziale incalcolabile per modellare comportamenti evolutivi complessi.
Dopo la comparsa della rubrica di Gardner, il gioco della vita («Life») attrasse rapidamente un seguito appassionato. «In tutto il mondo i matematici dotati di computer stavano scrivendo programmi per Life», ricordava Gardner. I suoi lettori fecero presto molte scoperte sorprendenti. I matematici sapevano da tempo che un breve elenco di assiomi può portare a verità profonde, ma la comunità che nei primi anni settanta si occupò del gioco della vita lo sperimentò di persona. A più di quarant’anni di distanza «Life» continua a stimolare scoperte: a maggio 2010 è stata annunciata una nuova struttura che si costruisce da solo, nota come Gemini – che si copia e poi distrugge il suo genitore, mentre si trasferisce in una direzione obliqua – e a novembre 2013 è stato costruito il primo replicatore che dona se stesso e le proprie istruzioni.
Aperiodicità e chiavi pubbliche
Conway lavorò anche sulle tassellature di Penrose, che prendono nome dal fisico matematico Roger Penrose e furono argomento di un’altra rubrica di grande successo: usano due tipi di tasselli, detti kite (aquilone) e dart (freccia) per la loro forma. Data una scorta illimitata di entrambi, li si può combinare in modo da coprire un pavimento infinito senza lasciare spazi vuoti e con una proprietà detta aperiodicità. I tasselli delle forme usuali – quadrati, triangoli, esagoni – ricoprono il piano con una disposizione che si ripete periodicamente: in altre parole, ci sono infiniti punti in cui potremmo osservare sotto di noi un’identica disposizione delle piastrelle. Ma quando si usano, secondo certe regole, aquiloni e frecce, o altre combinazioni di due o più tasselli di Penrose, non appaiono simili disposizioni ricorrenti. Queste tassellature sono così piacevoli che a gennaio 1977 abbellirono la copertina di «Scientific American» [«Le Scienze», maggio 1977, N.d.R.], in base a un disegno di Conway.
Da allora, la comunità che si occupa delle proprietà delle tassellature di Penrose ha fatto progressi, tra cui la scoperta di una proprietà detta autosimilarità, mostrata anche dai frattali: strutture che si ripetono su scale diverse. La stessa popolarità dei frattali è in parte dovuta alla rubrica che Gardner dedicò loro a dicembre 1976 [«Le Scienze», giugno 1977, N.d.R.]. I tasselli di Penrose hanno anche portato alla scoperta dei quasicristalli, che hanno una struttura ordinata ma aperiodica. Nessuno fu più felice del collegamento di Gardner stesso, che commentò: «Sono un esempio meraviglioso di come una scoperta matematica, fatta senza preoccuparsi delle applicazioni, possa rivelarsi familiare da tempo a madre natura».
Ad agosto 1977 [«Le Scienze», dicembre 1977, N.d.R.] Gardner anticipò un’altra innovazione, l’uso della posta elettronica per le comunicazioni personali, «entro pochi decenni». Questa previsione apriva una rubrica in cui si presentava al mondo la crittografia RSA, un crittosistema a chiave pubblica basato su funzioni trapdoor (botola), cioè funzioni facili da calcolare in una direzione ma non in quella opposta. A metà degli anni settanta questi sistemi non erano nuovi, ma gli informatici Ron Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman (RSA) introdussero un tipo di botola che usava grandi numeri primi (i numeri divisibili solo per 1 e per se stessi). La sicurezza della RSA deriva dalla difficoltà pratica di fattorizzare il prodotto di due numeri primi sufficientemente grandi.
Prima di pubblicare i loro risultati in una rivista accademica, Rivest, Shamir e Adleman scrissero a Gardner, sperando di raggiungere rapidamente un vasto uditorio. Gardner colse la portata della loro idea e, insolitamente per lui, spinse per una pubblicazione sollecita. Nella rubrica poneva una sfida, chiedendo ai lettori di provare a decrittare un messaggio che avrebbe richiesto la scomposizione in fattori di un numero di 129 cifre, il che all’epoca era impraticabile. Saggiamente Gardner presentava la sfida con una citazione da Edgar Allan Poe: «Eppure si può tranquillamente affermare che l’ingegnosità umana non può elaborare un cifrario che la stessa ingegnosità umana non riesca a risolvere». E infatti, appena 17 anni dopo, un numeroso gruppo di ricerca, grazie al lavoro di più di 600 volontari e 1600 computer, decrittò il codice, trovando il messaggio The magic words are squeamish ossifrage. Le sfide basate sul RSA continuarono per molti anni, fino al 2007.
Dopo Gardner
L’abilità di Gardner di ispirare altri derivava in parte dal suo diabolico senso dell’umorismo. Una rubrica in occasione del 1° aprile 1975 [«Le Scienze», settembre 1975, N.d.R.] esponeva «sei scoperte sensazionali che in un modo o l’altro sono sfuggite all’attenzione del pubblico». Erano tutte plausibili, e tutte false: per esempio asseriva che Leonardo da Vinci avesse inventato lo sciacquone. Allusioni a una certa «Ms. Birdbrain» (signora Cervello di Gallina) e al «Ripoff rotar» (attribuito a un tal Robert Ripoff, ma anche «rotore fregatura») dovevano mettere il lettore sul chi vive a proposito della natura scherzosa dell’articolo, ma centinaia di persone ci cascarono e inviarono a Gardner lettere vivaci.
Nel 1980 Gardner decise di lasciare la rubrica per concentrarsi su altri progetti. «Scientific American» trovò rapidamente un successore: Douglas Hofstadter, che curò una rubrica per 25 mesi, chiamandola «Metamagical Themas», un anagramma di «Mathematical Games», in molti dei quali si occupò di intelligenza artificiale, la sua specialità. Gli successe Alexander K. Dewdney, a cui dobbiamo sette anni di «Computer Recreations». La rubrica «Mathematical Recreations» di Ian Stewart andò avanti per i dieci anni successivi, dopodiché Dennis Shasha scrisse una lunga serie di «Puzzling Adventures» basate su concetti informatici e algoritmici sottilmente dissimulati. «Era impossibile prendere il posto di Gardner», commentò una volta Ian Stewart. Abbiamo cercato solo di portare avanti lo spirito della rubrica: presentare idee matematiche importanti in un tono giocoso».
Negli ultimi vent’anni lo spirito della rubrica [il cui testimone su «Le Scienze» è passato ai Rudi matematici, N.d.R.] è proseguito nei Gathering 4 Gardner, convegni biennali su invito nel corso dei quali matematici, prestigiatori ed esperti di enigmi si riuniscono per condividere quello che vorrebbero poter ancora condividere attraverso «Mathematical Games». Ai primi due era presente Gardner stesso. Dopo la sua morte, nel 2010, ogni ottobre si tengono in tutto il mondo in suo onore gli eventi Celebration of Mind, a cui possono partecipare tutti (e che tutti possono organizzare).
Anche se Gardner non c’è più, ci sono ancora ottimi motivi per trarre ispirazione dal suo lavoro e sostenere l’importanza della matematica ricreativa. Spesso giocare con un enigma porta a scoperte importanti, come abbiamo mostrato, per quanto brevemente, in questo articolo. Quasi ogni scritto di Gardner attrasse l’attenzione di appassionati e specialisti; gran parte delle sue rubriche fa espansa in forma di libro, fino a riempire scaffali interi. Inoltre, pensare a un problema dal punto di vista matematico è di enorme aiuto per la chiarezza e il rigore. Gardner non ha mai considerato la matematica ricreativa come un insieme di enigmi: erano solo la porta che si apriva su un mondo più ricco di meraviglie matematiche.
Nel 1998, nel suo ultimo articolo su «Scientific American», Gardner riflette sul fatto che «La linea che separa la matematica da intrattenimento dalla matematica seria è sottile e indistinta... Per quarant’anni ho fatto del mio meglio per convincere gli educatori che la matematica ricreativa andrebbe inserita nel normale programma di studio come un modo per suscitare l’interesse degli studenti nei confronti delle meraviglie della matematica. Finora, però, il progresso in questa direzione è stato impercettibile».
Oggi su Internet ci sono app, tutorial e blog di argomento matematico compresi molti diversi programmi per il gioco della vita, non tutti allo stesso livello e i social network mettono in contatto appassionati con interessi simili più rapidamente di quanto potesse fare Gardner. Ma forse questa velocità ha una controparte negativa: le esperienze sul Web sono perfette per una reazione immediata di «Interessante!», ma per raggiungere i momenti di vera rivelazione serve una riflessione approfondita. Crediamo che parte del successo della rubrica di Gardner fosse dovuto al fatto che lui e i suoi lettori prendevano il tempo necessario per scambiarsi idee dettagliate e concepire risposte meditate. Solo con il tempo vedremo se una nuova comunità di amanti degli enigmi, in un’epoca meno paziente, raccoglierà l’eredità di Gardner e stimolerà le future generazioni a scoperte e invenzioni originali.