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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

PERISCOPIO

Alcuni lettori scrivono che parlo troppo di Renzi, invece potrei parlare di Berlusconi. Noterebbero la differenza? Jena. La Stampa.

Se ci saranno le Olimpiadi a Roma, il Vaticano vuole ospitare in San Pietro le gare dell’arco. San Sebastiano si dissocia. MF.

(mfimage) Befana al caldo in Argentina. È meraviglioso, e molto chic, trascorrere questi freddi giorni nell’adorabile clima della estancia di Carlo Sama e Alessandra Ferruzzi. Carlo Rossella. Il Foglio.

Il 2015 non si apre con buoni auspici. Paghiamo il prezzo di una scuola e di un sistema informativo che non producono né conoscenza né spirito critico. Il lettore medio di quotidiani protesta se un giornalista critica il potere costituito. Lo scandalo romano ha mostrato che la (presunta) solidarietà della sinistra nei confronti dell’immigrazione era un affare per chi importava manodopera a basso costo per le cooperative: un caso per il quale è stata persino immaginata la presenza della mafia in luogo di ammettere che esso è stato il prodotto dell’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti. È, allora, inutile e controproducente creare altri marchingegni burocratici per combattere la corruzione dilagante. Sarebbe sufficiente separare i soldi dai partiti. A produrre corruzione è l’eccessiva intermediazione politica. Se, invece di creare legislativamente nuovi carrozzoni burocratici contro la corruzione, destinati probabilmente ad accrescerla, rileggessimo ciò che è stato scritto sul pericolo di affidarsi (solo) alla Ragione; pericoli per altro amaramente sperimentati, nel Novecento (con il fascismo, il nazismo e lo stalinismo)? Piero Ostellino. Corsera.

Candidabili al Quirinale. Draghi Mario. È riuscito nella mission impossible di fare il banchiere senza finire imputato, e per giunta non piace alla Merkel: il che, in Italia, è un doppio handicap. Inoltre, se eletto presidente, farebbe il presidente: ergo non garba a Renzi, che per il Colle sta cercando un portachiavi. Padoan Pier Carlo. Essendo ministro dell’Economia, vuol fare il ministro dell’Economia: perciò Renzi lo manderebbe volentieri al Quirinale, se lì non volesse fare il presidente della Repubblica. Chiamparino Sergio. Candidato anfibio: renziano non ostile agli anti Renzi, Pd gradito a Fi, politico ma pure banchiere, curriculum pieno di poltrone ma anche di buchi (di bilancio: ieri al Comune di Torino, ora in Regione Piemonte). Ce la può fare. Marco Travaglio. Il Fatto.

Suonando in gruppi si torna ragazzini nonostante l’età. Siamo una macchina che cammina spedita, basta poco per riavviarla ogni volta. Abbiamo vissuto tournée bellissime, ci conosciamo a memoria, qualche volta ci siamo scazzati come accade tra amici, ma quando ci ritroviamo è tutto come trentacinque anni fa. Le canzoni di allora hanno un vestito nuovo, non si possono fare uguali. Ma ha un senso farle sentire a chi non le ha conosciute prima, senza malinconia né nostalgia. Pino Daniele, musicista. La Repubblica (Emilio Marrese).

Nella nostra civiltà c’è un eccesso di tutto: troppe informazioni, troppe immagini, troppi rumori, troppi libri, troppo consumismo. Tutto questo, alla fine, uccide la bellezza. Per sconfiggere l’horror pleni, servirebbe una bella pausa. Gillo Dorfles. Il Giornale (Mimmo Di Marzio).
Quando parlo della crudeltà del comunismo penso al fanatismo, alla ferocia e al sarcasmo di certi leader comunisti come Giancarlo Pajetta. Apparteneva all’aristocrazia dei capi. Senza mai un dubbio, un’incertezza, una fragilità. Per il tempo che rimasi nel Pci, fu lui a iniziarmi ai riti del comunismo. Lo rividi quarant’anni dopo. Alla vigilia del grande crollo. C’era qualcosa di patetico in quello che fu definito il «ragazzo rosso». Il mondo nel quale aveva creduto ciecamente e per il quale aveva combattuto contro la miriade di infedeli si stava decomponendo. Ne prese atto con dolore. Ma anche con impotenza. E rabbia. Eravamo casualmente entrambi a Mosca alla vigilia del 1989. Prendevamo parte a un incontro internazionale dove, in qualità di deputato europeo, avrei dovuto consegnare una lettera per Gorbaciov. Le delegazioni furono ricevute al Cremlino davanti al Soviet supremo. Colsi immediatamente il disagio di Pajetta. Il balbettio del suo intervento lasciò nello sconcerto i sovietici. Era irriconoscibile. Non c’era più traccia dell’eccelso comiziante di una volta. Lo sconcerto derivava dalle sue accuse verso il nuovo corso e dal disprezzo con cui guardava a ciò che succedeva. Era un mondo che stava finendo. Anzi era già finito. Se ne andò schifato. Stravolto. Costernato. Tornò in anticipo in Italia. Pajetta morì l’anno dopo. Enzo Bettiza. La Repubblica (Antonio Gnoli).

Sono le 7 di sera. Domando al fattorino del direttore di Le Monde, Hubert Beuve-Méry, «se adesso non è un po’ troppo tardi per essere ricevuto». «Ma per carità», risponde il fattorino, «se voi sapeste fino a che ora resta nel suo ufficio a lavorare ogni sera! Spesso fino alle dieci, qualche volta, oltre!». «Ma a quale ora arriva il mattino?». «Alle 8 meno un quarto, tutti i giorni! E convoca la riunione degli otto capi servizio ogni mattina alla stessa ora: le otto precise. Essi restano tutti in piedi, e anche lui. In questo modo, la riunione dura un quarto d’ora. Non l’ho ancora visto mancare una sola volta a questo appuntamento». Jean-Jacques Servan-Schreiber, Passions. Fixot, 1991.

Roma più che scenografia, è scenario. È una città difficile e scontrosa. È tutta in quello che mostra, eppure non ha quasi una vita associata. È una città «con mille trascuratezze». È priva di intimità. Sembra «uno spazio deserto, ma pieno di fatti già accaduti». Alfonso Berardinelli, critico letterario. Il Foglio.

Nel 1988 esce un film fascinoso girato a Pavia, Paura e amore. Scritto con Dacia Maraini, interpretato da Fanny Ardant, Greta Scacchi e Valeria Golino, tre cechoviane, malinconiche sorelle. Lo aveva prodotto Angelo Rizzoli il quale era reduce dalle sue faccende giudiziarie. È stato il primo film che ha prodotto quando è uscito dal carcere. Mi chiesi perché in quella situazione volesse fare un film con una tedesca. Forse per tenersi un po’ in disparte, laterale rispetto alla realtà italiana. Non a caso il suo secondo film l’avrebbe poi fatto con Michalkov. Adesso penso che Rizzoli, in quegli anni, avesse paura dell’Italia, degli italiani. Avremmo dovuto fare un altro film insieme, ma lui ha avuto di nuovo problemi con la giustizia. Era il 1992, e l’Italia era sotto assedio. Margarethe von Trotta, regista tedesca. La Repubblica (Elena Stancanelli).

Sono pronto a tutto. O quasi. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/1/2015