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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

PELLEGRINO: «IL SUDORE È GIOIA»

La vita di un Pellegrino. Dentro la testa piena di ricci di Federico ronzano pensieri sempre sprint; sopra le spalle leggere del valdostano si poggia tutto il movimento del fondo. Felice per la seconda vittoria in Coppa del Mondo a Val Monastero di martedì, deluso per il 56° posto nella 10 km classica di ieri con cui ha salutato il Tour de ski per tornare a Gressoney a preparare la ripresa di Coppa del Mondo a Otepaa e Rybinsk, e soprattutto i Mondiali di Falun da metà febbraio: parole e opere di un Pellegrino della fatica.
Federico, adesso qualche sponsor lo troverà?
«Macché, lo spazio vuoto sul cappellino non sono riuscito a riempirlo, forse la prossima stagione. Mi sono sbattuto troppo, inutilmente. Si saranno pentiti tutti quelli che non credevano in me: ora valgo qualcosa? Gli sponsor li vedono i giornali? Sono pure terzo in Coppa del Mondo di specialità».
Ma lei quanto guadagna in un anno?
«Solo lo stipendio da poliziotto e qualche premio della Fis grazie ai risultati».
Si consolerà con i complimenti dei compagni. «È lo sprinter più forte del mondo» dicono.
«Io il più forte al mondo? Ogni gara ha la sua storia, il suo tracciato, la sua neve: vincere dipende da tante cose. Diciamo che sulle Alpi, a certe quote, è difficile battermi».
Ha riportato il fondo in prima pagina: più peso o più orgoglio, adesso?
«Sento che sto facendo qualcosa di buono per il movimento e mi fa piacere, ma per far notizia non basta un podio, serve qualcosa di grosso. Intanto sto portando l’entusiasmo in squadra, e anche i compagni ad Oberstdorf hanno dimostrato che vanno forte».
Un quadriennio nato sotto la miglior stella...
«Se penso ai Giochi 2018 dico che dovrò migliorare l’11° posto di Sochi, cercherò di fare qualcosa di importante: non ne capitano tante di occasioni olimpiche, devo cogliere il prossimo attimo. Ma per far ciò devo farmi trovare pronto».
Compagno di squadra di un Di Centa, e Zorzi nello staff: tanta storia al servizio dei giovani. Come si può legare quella storia ai disastri di oggi?
«Intanto ci stiamo guadagnando il rispetto dei big stranieri. Il norvegese Northug nelle fasi di riscaldamento mi dava certe occhiate della serie
“ragazzo ti faccio vedere io”. Poi l’ho battuto e credo ora mi stimi».
Ai Mondiali per sbancare?
«A Falun voglio arrivarci in forma, altrimenti non servono a nulla i proclami: non importa con chi sarò in coppia, De Fabiani, Noeckler, Hofer o in staffetta. Si decide tutto la sera prima. Non esiste il posto fisso per Chenetti».
Il c.t. vi porterebbe in Siberia a fare esperienza dura. Ma un italiano oggi è pronto a fare certi sacrifici oggi?
«Sento dire: “Chi te lo fa fare, è uno sport duro, guarda i tuoi coetanei come perdono il tempo”. Io dico che noi ragazzi non siamo viziati, ma manca una certa mentalità. E tutto nasce in famiglia. Se un bambino vede un padre stare sempre sul divano, a fumare, bere birra e vedere solo calcio in tv, quale esempio riceve? Di sicuro non riceve l’indicazione giusta, non va a sciare e meno che mai uno sport duro come il fondo. I bambini non si viziano da soli. I ragazzi tendono a rinunciare presto ma non per colpa loro».
Le colpe dei figli sono dei padri?
«Non vorrei tirare le orecchie a certi genitori, sarebbe irriverente alla mia età. Ma vorrei lanciare un messaggio perché nelle famiglie prevalga l’umiltà, l’educazione allo sport e non la cattiva emulazione. Ripeto tutto nasce nelle nostre case: e lo dico perché l’ho vissuto sulla mia pelle. Bisogna mettere nelle condizioni i figli di divertirsi facendo sport, bisogna saper trasmettere questa passione, che poi magari il figlio trasforma in lavoro, come è successo a me».
Grazie a suo padre non è diventato calciatore...
«Ai miei genitori non è mai interessato che vincessi, ma che tornassi a casa col sorriso. Quando tornavo triste, i genitori mi dicevano “guarda che se stai male non ti facciamo fare sci di fondo, devi essere contento e felice, altrimenti niente. I miei risultati non erano i loro obiettivi. Ora il calcio mi condiziona solo sull’umore: da juventino ho avuto pochi pensieri».
Cosa è stato necessario a lei per vincere?
«I ragazzi pensano che basti poco per andare a vincere in Coppa del Mondo. Non si riesce a capire che la fatica si può trasformare in gioia: ma serve pazienza, abnegazione, capacità di tener duro di testa».
Lei a un ventenne di oggi cosa direbbe?
«Che se scoppi subito, dopo 10 volte fai metà della fatica, e dopo 20 cominci a divertirti: il fondo è semplicemente questo, convivere con la fatica e non vederla come qualcosa di negativo. Il guaio è che oggi si vuole tutto e subito».
Ma oggi lei dimostra che a 24 anni si può vincere in Coppa del Mondo.
«Non c’è dubbio che la vera rivoluzione culturale è questa: ho dimostrato che il mito del vincere a 30 anni era falso. Basta provarci, crederci, allenarsi, un po’ di genetica e fortuna, ma soprattutto dare il 110% sempre. Come me, De Fabiani, Rastelli, la Vuerich, la Laurent stanno venendo fuori».
Laurent è anche la sua fidanzata: le invidierà la testa?
«Greta sembra non avere fretta,ma la nostra storia non è fatta di solo fondo. Per noi pensare alle bollette da pagare o rilassarsi a casa è già una magnifica distrazione».
Lei quanto si sente campione?
«Io non sono ancora un campione anche se ho battuto i più grandi, oggi (ieri, ndr ) è andata male. Io sto costruendomi campione: i prossimi anni diranno quanto lo sarò».
È vero che scheda gli avversari?
«Da 5 anni li schedo, so con chi devo spostarmi per evitare che finisca a sportellate, a chi fare attenzione se sono terzo, quando devo svegliarmi. Ma ormai anche gli altri sanno marcarmi...».