Emanuela Audisio, la Repubblica 8/1/2015, 8 gennaio 2015
IL TRIANGOLO D’ORO DEL FUTURO L’ALTRA FACCIA DELL’EUROPA IN CRISI
Lo chiamano the Royal Fast Track. Il circuito da corsa reale. È un pezzo di deserto che oggi organizza più sport di una metropoli come New York. A qualcuno piace caldo. O chiamatela Formula Araba. Tanto sole, ottimi impianti, grande entusiasmo. Se è per il rombo di un motore meglio. E niente paura, c’è anche l’aria condizionata che vi congela i piedi. Sul podio si brinda con l’acqua di rose. Allo sport le bollicine analcoliche vanno bene.
Prima il mondo ci scherzava: lì in Arabia ci corrono solo i cammelli. Ora invece lì ci corre tutto: F1, barche a vela, motoscafi, biciclette, palle da golf, da tennis, da calcio, da cricket, da squash, da handball, nuoto, atletica. Gli Emirati sono la nuova frontiera dello sport mondiale, l’indirizzo più hot del momento. Investono, organizzano, rivitalizzano. Fanno da banca a tanti calciatori. Se il Manchester City ha potuto acquistare Balotelli e se il Psg si è potuto permettere Cavani, Ibrahimovic, Lavezzi è perché ci sono gli sceicchi che pagano stipendi e trasferimenti.
Tutto quello che in Europa è in crisi, finanziaria e di modello, lì è in evoluzione. Hanno i soldi, credono nello sport, sanno fare business. In questo e nei prossimi anni tutto si sposterà lì: mondiali e più di 40 eventi sportivi. Abu Dhabi è la capitale degli Emirati Arabi Uniti, poi c’è Dubai, secondo più grande emirato, e Doha, la più affollata città del Qatar, paese che ospiterà i mondiali di atletica nel 2019 e quelli di calcio nel 2022. È un pezzo di mare e di sabbia che nella geografia mondiale sportiva oggi conta tantissimo. E che si fa concorrenza. Il triangolo d’oro dello sport prossimo venturo. E anche della cultura. Abu Dhabi ha pagato più di un miliardo e mezzo per poter chiamare il suo museo Louvre, unica ad avere questo privilegio fuori dalla Francia. Il Qatar ha il pil pro capite più alto del mondo, centomila dollari americani a testa (tre volte quello italiano).
Se ai calciatori e anche agli altri sportivi d’inverno piace andare a giocare negli Emirati per il buon clima, il governo dello sport olimpico ha dovuto invece cambiare il suo regolamento per non far finire i Giochi in città come Dubai e Doha. Straricche, con impianti firmati dai migliori architetti del mondo, dove si cerca l’eco-compatibilità, si investe sull’energia nucleare e solare, ma dove la tradizione sportiva è inesistente. Per meteo, scarsità di territorio, mancanza di popolazione indigena. Per questo c’è chi diffida del triangolo arabo, anzi lo vive come un nuovo padrone di casa arrogante che grazie alle sue possibilità (petrolio) incanta tutti con il caviale e riesce a portarsi a casa gli avvenimenti migliori. Quando finanziavano andavano bene, ora che reclamano un posto a tavola gli si dice invece che sono troppo artificiali, incompatibili con la grande tradizione dello sport. E vengono anche accusati di vincere grazie alle tangenti che pagano.
Cosa devono fare per migliorare la loro immagine? Il meteo non lo possono cambiare: la primavera araba è una sauna all’aperto. E in questi paesi solo da poco si fa attività fisica, anche per combattere l’alto tasso di diabete. Ma spesso cultura e stili di vita tengono lontana la popolazione dello sport. Il futuro potrebbe essere Mutaz Essa Barshim, 24 anni, uno tra i migliori saltatori in alto del momento. È nato a Doha da una famiglia araba-africana, è un ragazzo sveglio, molto vicino al record. Se volerà oltre farà capire a tutti che lì c’è un altro mondo.