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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

UNA VALLE LÀ DOVE NON C’ERA L’ERBA


«Unire il profitto al dono, ecco il segreto del futuro». Brunello Cucinelli parla come James Taylor nei panni di George Bailey, il protagonista del film La vita è meravigliosa girato da Frank Capra nel 1946 e puntualmente ritrasmesso ogni Natale per i suoi contenuti positivi, rasserenanti e pieni di buonismo. La nuova avventura in cui si è lanciato l’imprenditore filosofo sembra una fiaba postmoderna: troppo bella per essere vera. Invece non è così e soprattutto non ci sono secondi fini tranne forse quella «captatio benevolentiae» che illumina il primo canto del Purgatorio dantesco e probabilmente l’intera Divina Commedia. In pratica il re del cashmere ha acquisito sei capannoni industriali per 240 mila metri cubi di terreno edificato ai piedi di Solomeo, il magnifico borgo medioevale che ha restaurato nel 1985 in Umbria e che è diventato sede dell’azienda, dell’annessa scuola dei mestieri e di un teatro costruito – dice lui – per durare mille anni. Nei prossimi 15 mesi gli immobili saranno accuratamente rimossi con tanto di trasferimento delle attività ancora in essere (più che altro depositi e rimessaggio) nella vicina zona industriale e al loro posto sorgeranno tre parchi. Il primo dedicato all’industria circonderà di piante e fiori la nuova sede della Brunello Cucinelli Spa. Il secondo detto “oratorio laico” avrà un piccolo stadio di calcio senza barriere, una palestra e sei ettari di prato in cui i bambini dai 6 ai 12 anni di ogni nazionalità e religione potranno giocare ed essere accuditi tutti i giorni dalle 15 alle 18. Nel terzo, invece, verranno piantati 70 e fischia ettari di parco agrario con ulivi, girasoli, grano, alberi da frutta e chi più ne ha più ne metta: coltivazioni rigorosamente bio con cui fornire il ristorante aziendale in cui oggi mangiano 600 persone al giorno. Il costo dell’operazione? «Impegnativo e top secret» risponde lui sottolineando in tutti i modi possibili e immaginabili che si tratta di un investimento personale e non dell’azienda. «È una cosa mia – spiega – di mia moglie e delle nostre figlie, un progetto per la bellezza che ci permette di ridare splendore a questo territorio da cui abbiamo avuto tanto. Ci siamo potuti fare un grande regalo».
Perché insiste tanto su questo punto?
«Quando sei quotato non puoi far quel che ti pare, hai dei precisi doveri. Gli azionisti possono accettare che tu investa una piccola parte dei profitti nel tuo territorio, anzi è buona regola farlo e infatti si fa da sempre. Io per esempio sono andato a scuola nel mio paese perché l’ingegner Armando Simoncini nella cui azienda, tra l’altro lavorava mio padre, aveva finanziato la costruzione dell’edificio scolastico di Castel Rigone. Però c’è un limite a queste operazioni e noi l’avevamo già superato restaurando come azienda quotata l’arco etrusco di Perugia».
Di che cifra stiamo parlando?
«Circa un milione e 200 mila euro in tre anni. La giusta proporzione per un’azienda quotata si aggira sullo 0,5 per cento del fatturato. Se vai oltre devi dare delle spiegazioni, l’investitore texano, per esempio, potrebbe risentirsi se invece di dare al Texas la società desse sempre e solo all’Umbria. Invece a livello personale è un’altra storia, puoi fare quello che ti pare. Questo progetto era il mio sogno, lo sto realizzando da solo o meglio con la fondazione Brunello e Federica Cucinelli».
Tutti d’accordo su questa operazione in famiglia?
«Assolutamente. Mia moglie dice sempre che sono un po’ matto ma va bene così, mentre le figlie che condividono la mia grande passione per il territorio stavolta hanno detto papà fallo che ci piace. Io mi sento il custode pro tempore di questo luogo meraviglioso. Vivo in una casa seicentesca e lavoro nella base del castello di Solomeo che è del ’300. Trent’anni fa ho cominciato il restauro del borgo e adesso l’ho completato costruendo addirittura un teatro che potrebbe tranquillamente arrivare al prossimo millennio, l’abbiamo tirato su pietra per pietra, praticamente a mano. Mi sono chiesto adesso cosa posso fare per abbellire questa valle e la risposta era quasi scontata: restituirla al suo antico splendore. È un investimento importante in tutti i sensi, sono felice di potermelo permettere».
Dunque per essere buoni bisogna diventare ricchi?
«Neanche per idea, mio padre faceva l’operaio per cui aveva pochissimo, ma quel poco lo divideva sempre. L’entità di un gesto non conta quanto l’intenzione».
Certo, ma potendo fare un gesto importante meglio evitare figuracce, non crede?
«Non la metterei su questo piano, ognuno deve fare quel che può e che si sente di fare. Senza dubbio con i nuovi mezzi di comunicazione si sa tutto di tutti, chi lavora con te conosce i tuoi profitti come li conosci tu. Così per essere credibile devi essere vero e assolutamente trasparente, come un bel bicchiere d’acqua».
Appunto, parliamone. Per esempio si dice che durante la quotazione ha dato di tasca sua una certa cifra in premio a tutti i dipendenti, è vero e di che cifra stiamo parlando?
«Non è proprio così. Durante la quotazione ho preso dei soldi con cui mi son potuto permettere il restauro della chiesa di Solomeo e del monastero di Norcia oltre alla costruzione di un parco pubblico. Una volta conclusa l’operazione abbiamo deciso di ringraziare chi ci ha permesso di raggiungere questo benessere perché noi siamo partiti dal niente e da soli non ce l’avremmo mai fatta. Ecco perché la causale del premio riconosciuto ai dipendenti era: per umana gratitudine. Dico la cifra solo perché l’han detta loro: 6000 euro a testa».
Quanti dipendenti ha la Cucinelli?
«Oggi 1250, ma allora erano 850».
Per 6000 euro l’uno fanno circa 5 milioni e mezzo. Mica male come donazione. Ha potuto scalarla dalle tasse?
«Era un dono privato, non una cosa aziendale».
Quanto vale la Cucinelli oggi?
«In borsa un miliardo e tre. A me basterebbe esser sicuro che possa durare altri due, trecento anni. Se qualcuno mi dimostrasse che in mano sua l’azienda potrebbe andare avanti così tanto, mollerei subito il timone».
Ma lei ha 61 anni, portati tra l’altro molto bene...
«Ho la fortuna di non aver perso i capelli. Il segreto è questo e poi non ingrassare. Sul peso ci lavoro parecchio: sto attento a quel che mangio e poi tutti giorni dedico due ore al corpo tra piscina e ginnastica».
Per l’anima cosa fa?
«Sapere che è immortale mi fa vivere meglio. Comunque l’anima ha bisogno di essere nutrita come il corpo. Bisogna imporsi di leggere tutti i giorni qualcosa che ti faccia riflettere, pochi libri ma buoni».
Ne scelga uno solo.
«‘A me stesso’ di Marco Aurelio Imperatore. È il mio preferito, però non potrei rinunciare agli altri. Ho la fortuna di avere un amico, Massimo De Vico Fallani, architetto e paesaggista oltre che uomo coltissimo, che è il mio Aristotele: studia e m’informa».
La sta aiutando per il progetto della valle?
«Certo. Quando edifichi qualcosa alteri la terra, per cui devi fare attenzione».
Si è molto parlato della trasmissione Report in cui lei sembrava l’unico buono in un mondo di cattivi. Come si è sentito?
«Malissimo. Sono amico di Remo Ruffini, o, meglio, faccio lo stesso mestiere per cui non posso essere contento di questa tegola che gli è caduta in testa. San Benedetto che è uno dei miei maestri diceva: guai a compiacersi delle disgrazie altrui».
Dicono sia difficile farla arrabbiare, ma quando succede è una cosa seria. È vero?
«Diciamo che a me piace molto l’ordine e se uno è disordinato m’innervosisco. Però cerco sempre di non trascendere, sarebbe contrario al mio modo di essere».
Ma lei è veramente buono o fa il buono?
«Io non mi sento tanto buono, sono anzi considerato un uomo rigoroso, però seguo i dettami di San Benedetto: cerca di esser sereno anche quando l’animo è peso».
È questo il segreto per non diventare cattivi?
«Combatto ogni giorno contro questa tentazione. La filosofia è stata la cura di tutti i mali della vita. Credo fermamente in quel che diceva Marco Aurelio: datti pace, tanto domani si farà giorno di nuovo».