Ivo Romano, La Stampa 5/1/2015, 5 gennaio 2015
LA BOXE FA A BOTTE CON LA CRISI: «COMBATTERE NON CONVIENE PIU’»
Professionisti, per modo di dire. Sangue, sudore, sacrifici. Quanto ai soldi, poco o nulla. A certi livelli, questa è la vita. Se arrivi ai vertici, bene. Altrimenti solo pane duro. Pugili part-time, per forza di cose. Perché senza un altro lavoro non si campa. Resta la passione. Premesse catastrofiche, numeri accettabili: 174 professionisti, molti meno rispetto ai massimi storici (intorno ai 250), comunque non il temuto crollo. Altri, i veri problemi: attività, eventi, soldi. Mica un caso se ben 7 titoli nazionali su 14 categorie sono vacanti: come un campionato senza campione. Del resto, questo passa il convento della boxe italiana. Senza soldi, difficile organizzare. E nel caso, ci si divide noccioline, a scapito dei protagonisti. Borse da fame, a fronte di duri allenamenti e aspre contese.
Politica miope
C’è chi fa miracoli, in termini di numeri. Davide Buccioni, che sulla piazza romana è un re: «La situazione è precipitata: le istituzioni sono assenti, come in molti sport. A Roma facciamo tanto: negli ultimi 10 anni le società si sono moltiplicate. Ma i miracoli li fa solo il botteghino: devi vendere tanti biglietti se vuoi dar vita a eventi importanti. I soldi delle tv non bastano, quanto agli sponsor meglio non parlarne, per via di una crisi incredibile». Una lunga storia, di anni ormai perduti. E di precise responsabilità da parte della federazione. Dilettantismo esaltato, professionismo mortificato: politica fallimentare. Lampanti, le conseguenze: chi può (a partire dai vari Cammarelle, Russo, Valentino, Mangiacapre, che anche da pro avrebbero potuto puntare a traguardi di prestigio) se ne sta sotto l’ombrello protettivo del dilettantismo (con l’aggiunta di quell’ibrido che è il professionismo dell’Aiba), chi aspira ad altro fa il grande passo, a rischio di morire di fame. Politica miope, a detta di Salvatore Cherchi, alter-ego di Buccioni sulla piazza milanese: «Hanno fatto diventare l’Italia come la Russia del 2000. Produce ottimi dilettanti, che si adagiano sulle garanzie economiche. È come se avessero un vitalizio, così non gli vien voglia di rischiare».
I progetti della Lega
E ora, fuori dall’equivoco: la Fpi si occupa dei dilettanti, la Lega Pro Boxe ha avuto mandato di coordinare i professionisti. Per Buccioni, «la Lega fa quel che può». In termini numerici, un +57 per cento di match titolati: non abbastanza, comunque qualcosa. In attesa dei nuovi progetti. Innanzitutto, riempire le caselle vacanti dei titoli italiani: arrivare a 14 su 14 nel 2015. Poi, dare continuità: un minimo di 3 match per il titolo italiano all’anno, per ogni categoria (esclusi i mosca, che sono pochi). Infine, garantire una borsa minima: 8 mila euro (4800 al campione e 3200 allo sfidante) per un titolo italiano, 4 mila euro (da dividere) per una semifinale al titolo. Non il massimo della vita, almeno un po’ in più della miseria attuale: 2500 euro (o anche meno) per un titolo italiano (contro i 15-20 milioni di vecchie lire, un quarto di secolo fa). Roba da pugili part-time, un obbrobrio per Nino Benvenuti, uno dei grandi della boxe: «Il pugilato è uno sport particolare: la passione deve prevalere sull’obiettivo di far soldi. Ma il professionismo è cosa seria: lo si fa a tempo pieno. In questo modo, diventa altro, non professionismo». È la boxe italiana al tempo della crisi: per passione, non per denaro.