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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

GLI EFFETTI COLLATERALI DEI MODELLI

Nel diver­tente, a tratti esi­la­rante libro di Marco Mal­valdi e Dino Lepo­rini, Capra e cal­coli. L’eterna lotta tra gli algo­ritmi e il caos (Laterza, pp. 177, euro 15) si riflette sul rap­porto tra modelli e com­ples­sità attra­verso i due pro­ta­go­ni­sti più impor­tanti di que­sta rela­zione: gli algo­ritmi e i dispo­si­tivi che dagli algo­ritmi deri­vano. Da quando i com­pu­ter sono diven­tati pro­tesi delle nostre vite, agli algo­ritmi e ai dispo­si­tivi si chiede sem­pre più di domare il caos nel quale saremmo immersi e di ridurre a sapere ope­ra­tivo la gran parte di quello che ci occorre cono­scere per orien­tare le nostre scelte.

Velo­cità, sem­pli­fi­ca­zione ed effi­ca­cia pos­sono però non far con­si­de­rare aspetti che si rive­lano impor­tanti sul medio e lungo periodo e tali da com­pro­met­tere gli esiti del cal­colo fatto all’inizio. I modelli, pro­prio per­ché tali, non pos­sono garan­tire sem­pre una cor­re­la­zione forte e dura­tura con la realtà: come i far­maci, non sono esenti da effetti col­la­te­rali che tal­volta si rive­lano catastrofici.

È que­sto ad esem­pio il caso, citato nel libro, dei modelli algo­rit­mici di cal­colo del rischio che hanno per­messo l’elargizione dei mutui sub­prime. Insieme alla diso­ne­stà dei finan­zia­tori, all’assenza di regole di con­trollo e al con­flitto di inte­ressi dei con­trol­lori, tali modelli hanno con­tri­buito a fare cat­tiva infor­ma­zione e a deter­mi­nare il crack eco­no­mico del quale stiamo ancora pagando le conseguenze.

Tra modelli e com­ples­sità, fra una cono­scenza che punta tutto sulla rispo­sta e una cono­scenza che con­si­dera la domanda parte inte­grante del sapere c’è un con­flitto ata­vico. Se non nuove, forse più evi­denti sono però oggi le impli­ca­zioni umane di que­sto scon­tro. Ad esem­pio: se il tipo d’intelligenza di mac­chine e dispo­si­tivi che hanno per cer­vello gli algo­ritmi sia o no dif­fe­rente dagli umani. Se i cer­velli degli umani pos­sano essere o no con­si­de­rati come modelli algo­rit­mici. Nel qual caso, gli umani potreb­bero essere stu­diati, ripro­dotti e forse manu­te­nuti come se fos­sero dispo­si­tivi. Se vogliamo a tutti i costi una rispo­sta, anche al prezzo di estor­cerla alla domanda e senza con­si­de­rare quest’ultima come parte del pro­cesso cono­sci­tivo, allora abbiamo già tro­vato quello che cer­ca­vamo: tra gli umani e i dispo­si­tivi non c’è differenza.

Allo stesso modo, non dif­fe­ri­sce una deci­sione presa dopo aver pen­sato, dalla deci­sione quale atti­va­zione dell’algoritmo di una app. Ed è forse anche a causa di que­sta non sem­pre dichia­rata equi­va­lenza — come si evince dalla parte finale del libro — che ci stiamo impe­gnando tanto a cer­care l’essenza umana nel dispo­si­tivo neu­ro­nale che già abbiamo dato scon­tato essere nel cer­vello e che non saremmo lon­tani dal ripro­durre all’esterno dei corpi.

Mal­valdi e Lepo­rini nel rico­struire il legame fra que­stione umano / mac­china e cal­colo algo­rit­mico citano, fra gli altri, Turing, Descar­tes, Leib­niz. Quest’ultimo rite­neva che il dua­li­smo res extensa / res cogi­tans di Descar­tes non riu­scisse a garan­tire suf­fi­cien­te­mente l’idea di un’essenza umana. Anche per que­sto Leib­niz pen­sava alle monadi e cer­cava di mostrare, tra­mite l’esempio del para­gone del cer­vello umano con il con­ge­gno di un mulino, che nean­che le parti mec­ca­ni­che che si spin­gono l’una con l’altra garan­ti­scono che ci sia un’identità sostan­ziale. Per Leib­niz, la sostanza dell’umano non può essere con­si­de­rata una sin­tassi i cui pezzi si pos­sono smon­tare, ma un lemma unico – una parole e non una lan­gue, per usare i ter­mini di Saussure.

Nell’evidenziare i limiti dell’ingegneria mate­ma­tica dell’algoritmo, Mal­valdi e Lepo­rini sem­bra fac­ciano emer­gere che l’umano non sol­tanto non è qual­cosa, non sol­tanto non è la pos­si­bi­lità o impos­si­bi­lità di qual­cosa, ma che è forse l’impossibilità di nulla. Non pos­siamo entrare a dispo­si­zione di come tale impos­si­bi­lità di nulla si sia gene­rata per­ché ciò sareb­be­plau­si­bile esclu­si­va­mente iso­lando un dispo­si­tivo in grado di ricreare l’origine di niente. Ma, para­dos­sal­mente e signi­fi­ca­ti­va­mente, è pro­prio per que­sto che gli algo­ritmi sono oggi così importanti.

Per­ché, ben al di là delle loro spe­ci­fi­che appli­ca­zioni, essi sono tra i mezzi prin­ci­pali di quell’ontologia ope­ra­tiva che cerca ad ogni costo di rica­vare qual­cosa anche da niente, di defi­nire l’essenza umana ripro­du­cen­dola diret­ta­mente. Per que­sto oggi, la neu­ro­bio­lo­gia e la robo­tica sono sem­pre più due aspetti di un mede­simo procedimento.

Cal­co­lare, con­trol­lare e pre­ve­nire il più pos­si­bile gli effetti di un pro­cesso, che sia bio­lo­gico o ciber­ne­tico, signi­fica sem­pre più potere di deter­mi­nare un’essenza. Simu­lare per pre­ven­ti­vare effetti col­la­te­rali, ripro­durre attra­verso le appli­ca­zioni non signi­fica più sol­tanto risol­vere effi­ca­ce­mente pro­blemi pra­tici, ma anche defi­nire l’essere – e l’essere umano.