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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

XI JINPING, IL MAOISTA

Il pre­si­dente cinese Xi Jin­ping ha recen­te­mente invi­tato gli arti­sti cinesi a svi­lup­pare con­cetti vicini al socia­li­smo e ai valori tra­di­zio­nali, chie­dendo loro di rega­lare alla sto­ria cinese forme arti­sti­che capaci di essere rece­pite dal popolo. Un’arte «del popolo, per il popolo».
Affin­ché que­sto avvenga nel migliore dei modi, Xi Jin­ping ha messo in moto una mac­china orga­niz­za­tiva del Par­tito che por­terà arti­sti, sce­neg­gia­tori, regi­sti, attori, pro­dut­tori di cinema e tele­vi­sione in cam­pa­gna «per impa­rare la vita vera».
Una sorta di nuova edi­zione della Rivo­lu­zione cul­tu­rale, quando gli intel­let­tuali, con metodi piut­to­sto sbri­ga­tivi, ven­nero obbli­gati a vivere in cam­pa­gna per impa­rare dai con­ta­dini (tra gli anni 60 e 70). Un evento sto­rico ancora oggi non abba­stanza discusso in Cina, su cui manca una vera forma di rie­la­bo­ra­zione e ana­lisi col­let­tiva e su cui per altro si divi­dono anche gli intellettuali.
La mossa del pre­si­dente, ha scritto l’agenzia uffi­ciale Xin­hua, «sarà una spinta per aiu­tare gli arti­sti a for­marsi una cor­retta visione dell’arte e creare nuovi capo­la­vori». Joseph Cheng, pro­fes­sore di scienze poli­ti­che presso la City Uni­ver­sity di Hong Kong, ha dichia­rato al Guar­dian che si trat­te­rebbe di una «cam­pa­gna di ret­ti­fica» nello stile di Mao, volta a met­tere a tacere i poten­ziali cri­tici, men­tre Xi con­duce una cam­pa­gna di vasta por­tata con­tro la cor­ru­zione. «Xi Jin­ping – ha detto — è sotto forte pres­sione, per­ché la sua cam­pa­gna anti-corruzione ha cer­ta­mente dan­neg­giato molti inte­ressi costi­tuiti, que­sto è dun­que di nuovo un momento per eser­ci­tare pres­sione sugli intel­let­tuali e sui critici».
Lo scorso otto­bre Xi Jin­ping, in un discorso di fronte ad arti­sti ha invi­tato loro a non diven­tare «schiavi del mercato». Il China Daily ha esul­tato: «L’arte e la cul­tura non pos­sono svi­lup­parsi senza una guida poli­tica, bene ha fatto Xi ad aver sot­to­li­neato l’integrazione dell’ideologia e dei valori arti­stici». E pro­prio la stampa nazio­nale, sot­to­li­neando la deter­mi­na­zione e l’autoritarismo di Xi Jin­ping, ha ricor­dato com­por­ta­menti ana­lo­ghi di illu­stri predecessori.
I media, su cui è aumen­tato note­vol­mente il con­trollo del Par­tito sotto il regno di Xi, hanno sot­to­li­neato la vici­nanza del nuovo lea­der a chi l’ha pre­ce­duto, a comin­ciare da Mao Zedong. Nel 1942, infatti, il Grande Timo­niere aveva spe­ci­fi­cato a Yan’an che le ambi­zioni crea­tive degli arti­sti dovreb­bero rispon­dere all’obiettivo di costruire uno Stato socia­li­sta e che «la let­te­ra­tura e l’arte dovreb­bero essere subor­di­nate alla poli­tica». Come Mao, Xi Jin­ping ha spe­ci­fi­cato che gli arti­sti «dovreb­bero pro­durre opere incen­trate sulle masse, in grado di riflet­tere una com­pren­sione cor­retta della sto­ria e della cultura».
Con­cetti svi­lup­pati anche in due report uffi­ciali del Par­tito, il Docu­mento numero 9 e quello numero 30, i cui con­te­nuti sono par­zial­mente com­parsi sui media cinesi, frutti di un’elaborazione per­so­nale del pre­si­dente, nei quali viene messa sotto accusa la cul­tura occi­den­tale, spe­cie nella sua dif­fu­sione tra i cen­tri cul­tu­rali cinesi (media, uni­ver­sità su tutti). Sulla scia dei pre­de­ces­sori di Xi Jin­ping, anche Deng Xiao­ping si era espresso sulla poli­ti­cità dell’arte. Deng aveva citato addi­rit­tura Sta­lin, quando aveva defi­nito gli scrit­tori e gli arti­sti come «gli inge­gneri dell’animo umano», spe­ci­fi­cando l’importanza dello stu­dio di Marx, Lenin e Mao.
Come ripor­tato dal New York Times, «dopo le riforme eco­no­mi­che ini­ziate in Cina alla fine del 1970, gli arti­sti sono stati più liberi e meno obbli­gati a far cor­ri­spon­dere la loro pro­du­zione con le esi­genze ideo­lo­gi­che dello Stato. Tut­ta­via, avere una car­riera pub­blica di suc­cesso in Cina ha sem­pre richie­sto gesti a soste­gno delle linee guida ufficiali».
Recen­te­mente – infatti – anche molte stelle del cinema hanno dovuto accet­tare di buon grado un ruolo, anche minimo, in alcune pro­du­zioni cele­bra­tive, riguardo gli anni­ver­sari della Repub­blica popo­lare e del Par­tito comu­ni­sta. E cento arti­sti cinesi – solo alcuni mesi fa — hanno copiato il testo a mano di Mao del suo discorso a Yan’an per un’edizione commemorativa.
A que­sta ini­zia­tiva ha par­te­ci­pato anche il pre­mio Nobel Mo Yan. Per­fino Hu Jin­tao aveva abboz­zato una sorta di «riforma cul­tu­rale», poco prima di lasciare spa­zio al suo suc­ces­sore. Hu, nel 2012, aveva sot­to­li­neato l’importanza dei valori tra­di­zio­nali cinesi, accu­sando i valori occi­den­tali di essere respon­sa­bili dell’inquinamento spi­ri­tuale dei gio­vani cinesi.
Hu Jin­tao definì le arti come vei­colo per aumen­tare il pre­sti­gio nazio­nale e il soft power, spin­gendo sulla pro­du­zione cine­ma­to­gra­fica, in par­ti­co­lare: «La cul­tura inter­na­zio­nale dell’Occidente è forte men­tre noi siamo deboli», scrisse Hu in un sag­gio del 2012.
La mossa di Xi Jin­ping di man­dare gli arti­sti «a impa­rare dalla vita vera dei con­ta­dini», non può non ricor­dare quanto stava acca­dendo a Chon­g­qing, pro­prio poco prima dell’ascesa dell’attuale lea­der cinese. Bo Xilai, segre­ta­rio del Par­tito della mega­lo­poli, aveva comin­ciato a man­dare i gio­vani stu­denti in cam­pa­gna, recu­pe­rando pro­prio gli slo­gan della Rivo­lu­zione culturale.
Fu addi­rit­tura l’allora pre­mier Wen Jia­bao a sot­to­li­neare il rischio di tor­nare su sen­tieri sba­gliati, segnando in pra­tica la fine della car­riera poli­tica di Bo Xilai, da lì a poco espulso, umi­liato e con­dan­nato (deci­sioni appro­vate anche da Xi).
L’attuale segre­ta­rio del Pcc sem­bra ripren­dere dun­que quelle carat­te­ri­sti­che del potere maoi­sta, di cui per lungo tempo si era impos­ses­sato pro­prio Bo Xilai. Xi Jin­ping è infatti tor­nato a par­lare di «linea di massa», di unità ideo­lo­gica del Par­tito e c’è chi ritiene che tutta la sua cam­pa­gna anti­cor­ru­zione, altro non sia che una mano­vra per fare piazza pulita delle gang pre­senti nel Par­tito (oltre alla sua – defi­nita clan del segre­ta­rio — ci sarebbe il clan del petro­lio e il clan dello Sha­nxi: que­ste ultime due pesan­te­mente col­pite dagli organi disci­pli­nari del Pcc).
Insieme a que­sti con­cetti maoi­sti, Xi Jin­ping ha lan­ciato il Sogno cinese, carat­te­riz­zato dalla «Rina­scita della società cinese», da attuarsi con ogni mezzo: attra­verso una poli­tica estera più decisa e forte, così come attra­verso una pro­du­zione cul­tu­rale che esalti quella che secondo Xi Jin­ping deve essere una iden­tità cinese comune, in grado di raf­for­zare lo spi­rito patriot­tico del Paese e tenere ferme le pul­sioni sociali di un con­ti­nente in preda a cam­bia­menti che stanno creando un sem­pre più ampio diva­rio sociale.
Per la sini­stra del Par­tito è dun­que un periodo di grande espan­sione tra fun­zio­nari e qua­dri, per­ché la svolta di Xi, anche quella rela­tiva agli arti­sti, riporta al cen­tro del Par­tito una con­ce­zione maoi­sta di tutta la società, al ser­vi­zio della nazione cinese.
Non a caso, Xi Jin­ping ha effet­tuato il suo discorso sull’arte pochi giorni dopo la pub­bli­ca­zione di un suo arti­colo su una rivi­sta del Par­tito, nel quale dis­ser­tava circa la «dit­ta­tura demo­cra­tica del popolo», espres­sione usata da Mao pro­prio come giu­sti­fi­ca­zione con­tro gli attac­chi di chi rifiu­tava di ade­rire alla linea della leadership.