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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

IL CAPITALISMO DELL’ERA RENZI: TUTTI ROTTAMATI FUORCHÉ I VECCHI

Nella perfetta consonanza tra meccanismi politici e dinamiche del potere economico, la corsa alla successione di Giorgio Napolitano illumina la buona salute della gerontocrazia nazionale. E non per l’ovvia previsione che il prossimo presidente della Repubblica non sarà un ragazzino. Infatti la soglia dei 50 anni, fissata nel 1948 dalla Costituzione secondo gli standard demografici dell’epoca, riserva la carica a uomini anziani e infatti da allora l’età media dei presidenti è salita con quella della popolazione. Con l’unica parentesi di Francesco Cossiga, eletto a 57 anni, Sandro Pertini ha inaugurato nel 1978 la serie degli uomini presidenti che hanno abitato al Quirinale da ottantenni.
Al contrario, il dato singolare dell’Italia 2015 è che i candidati più giovani di cui si parla (per esempio Walter Veltroni e Pier Ferdinando Casini, non ancora sessantenni) appartengono alla schiera dei politici in sostanziale disarmo. Invece circolano nomi di ultrasettantenni ancora sulla breccia. È il caso di Romano Prodi, economista attivissimo che solo per necessità tattica recita il distacco del nonno pensionato. È il caso di Giuliano Amato, giudice costituzionale in carica. È soprattutto il caso di Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che entra e esce da Palazzo Chigi ostentando un ruolo da ascoltato consigliere del rottamatore Matteo Renzi. È come se nella classe dirigente fosse in corso una rottamazione selettiva, chirurgica. Il quasi quarantenne Renzi e gli ottantenni o quasi (tra loro ovviamente Silvio Berlusconi) hanno stretto in una tenaglia la generazione di mezzo, quella dei cinquanta-sessantenni. E questo non riguarda solo i ranghi della politica, investiti dalla purga renziana che ha marginalizzato i D’Alema, Bersani, Bindi, Rutelli e via rottamando. Anche nel mondo dell’economia la generazione di mezzo soffre. Il sessantenne Corrado Passera tre anni fa era alla guida di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana. L’ha lasciata per la politica che però non l’ha accolto secondo le sue aspettative. Adesso al suo posto in banca c’è il cinquantenne Carlo Messina, dopo che Giovanni Bazoli, 82 anni e presidente da sempre, dopo aver salutato senza rimpianti Passera, ha rottamato a stretto giro il sessantenne Enrico Cucchiani. Bazoli è la prova vivente dell’intatto potere gerontocratico. All’ultima assemblea degli azionisti di Intesa Sanpaolo ha così rassicurato un socio che esprimeva qualche dubbio sulla sua età avanzata: “Non esiterei a passare la mano al primo segno di difficoltà che dovessi avvertire espletando il mio mandato”. Giudice inappellabile della freschezza di se stesso.
Anche nella grande impresa familiare il salto generazionale si fa attendere. Rodolfo De Benedetti, figlio cinquantenne di Carlo, che sembrava avviato a rilevare brillantemente il testimone dal padre, è inciampato sul disastro della Sorgenia ed è rimasto azzoppato. Nel gruppo Cir il riferimento per i manager è rimasto ancora una volta lui, l’Ingegnere, che ha appena compiuto 80 anni. La Fiat ha messo alla porta senza tanti complimenti il presidente della Ferrari Luca di Montezemolo, un sessantenne che sembrava aver maturato ingenti crediti presso la famiglia Agnelli. Leonardo Del Vecchio, 79 anni, ha rottamato senza esitazione il cinquantenne Andrea Guerra, a cui venivano attribuiti meriti impagabili nello slancio globale della Luxottica. E i mercati finanziari hanno dato ragione al vecchio fondatore: mentre Renzi ha subito arpionato “il giovane” Guerra come consigliere principe per le questioni economiche, la Borsa ha mandato in orbita la Luxottica del gerontocrate Del Vecchio, portandola proprio in questi giorni al massimo storico. Lo stravagante padrone della Esselunga Bernardo Caprotti, 89 anni portati con baldanza, ha rinunciato ai propositi di ritiro e si è dedicato alla rottamazione del figlio Giuseppe e della figlia Violetta, dando vita a una spettacolare saga familiare, con tanto di reciproche querele per diffamazione e denunce per stalking, indubbie prove di vitalità anche se non delle più eleganti. Nel frattempo l’ottantaduenne GiuseppeDeRita, con operazione uguale e contraria, ha manifestato intatto vigore riuscendo a imporre suo figlio Giorgio alla direzione generale del Censis che pure non è, contrariamente alle apparenze, proprietà di famiglia. Nel suo recente libro “Gerontocrazia” (Garzanti), Sandro Catani ha fotografato lo stato della nazione , notando che nella politica, Berlusconi a parte, i maggiori partiti sono in mano a gente sui 40 anni, come Renzi (Pd), Salvini (Lega Nord) o Alfano (Ncd), mentre anche il M5S, Beppe Grillo a parte, è affidato a un gruppo di giovani. Studiando invece le biografie dei 400 uomini che hanno in mano l’economia italiana sedendo al vertice delle principali aziende, Catani rileva un’età media di 66 anni, mentre gli amministratori delegati hanno mediamente 59 anni. In Gran Bretagna, per fare un confronto, l’età media dei numeri uno è di 52 anni. L’esempio lo dà l’Università Bocconi, dove si fabbrica la classe dirigente del capitalismo. Il presidente Mario Monti (dal 1994), il vicepresidente Luigi Guatri e l’amministratore delegato Bruno Pavesi mettono insieme un’età media di 81 anni.
Il governo Renzi ha affidato la partita dell’Ilva di Taranto, decisiva per il futuro dell’industria italiana, al settantaseienne commissario Piero Gnudi e al settantaquattrenne Bassanini che attraverso la Cassa Depositi e Prestiti aziona le leve dell’inevitabile intervento statale. Quando il gioco si fa duro i vecchi cominciano a giocare. Il presidente della Cdp, Bassanini appunto, è per statuto espresso dalle Fondazioni bancarie, che hanno il loro leader nel presidente della Fondazione Cariplo, l’ottantenne Giuseppe Guzzetti. E’ l’ultima trincea di una generazione intenzionata a resistere. Le nuove norme, che concedono il voto doppio in assemblea a chi detiene le azioni da oltre due anni, sembrano fatte proprio per perpetuare il potere delle Fondazioni, pesantemente ridimensionato dalla crisi delle banche. Da anni non vedono dividendi soddisfacenti e faticano a sottoscrivere gli aumenti di capitale necessari a tenere in piedi gli istituti. Con il voto plurimo possono sperare di difendere il loro controllo sulle banche. Intesa Sanpaolo, che vede la Fondazione di Guzzetti tra i primi azionisti, deciderà più avanti. Unicredit è già pronta. Una bella notizia per due azionisti chiave, la Fondazione Cassa di Verona guidata dal settantacinquenne Paolo Biasi e la Fondazione Crt di Torino, con al vertice l’ottantenne Antonio Marocco. Funziona così l’Italia giovane di Renzi.