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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

MINI-EURO, BCE E GREGGIO: TRE AIUTI AL PIL CHE NON BASTANO

Quando nel 2011 il cambio euro-dollaro toccò quota 1,48, le banche d’affari produssero decine di studi per dimostrare che per le imprese italiane questo era un “cappio” troppo stretto:?calcolava Morgan Stanley che il made in Italy era in grado di tollerare al massimo un cambio a 1,19 sul dollaro. Ebbene:?ieri siamo tornati proprio a 1,19. Il cappio, insomma, si è sciolto. Contemporaneamente si è allentato anche quello del petrolio: il forte ribasso del barile negli ultimi mesi rappresenta infatti un ulteriore aiuto alla debole economia italiana. A questi due “regali”, poi, se ne dovrebbe presto aggiungere un terzo:?il «bazooka» della Banca centrale europea.
Mini-euro, mini-petrolio e massicce iniezioni di liquidità in arrivo: anche se guardando le Borse non si direbbe, meglio di così il 2015 non poteva partire. Questi tre elementi lasciano infatti sperare che questo possa veramente essere l’anno della ripresa. Però non bisogna farsi troppe illusioni sul medio termine: questi tre “regali” – se non associati a una politica fiscale più espansiva, a una ripresa degli investimenti e del credito bancario e a una svolta sul debito pubblico – potranno produrre al massimo un fuoco di paglia. Per la ripresa vera, insomma, serve ben altro.
I REGALI DEL 2015
Iniziamo dagli elementi positivi. Calcola Banca Imi che il ribasso del prezzo del petrolio possa da solo “regalare” all’Italia una crescita aggiuntiva del Pil dello 0,4%. Sebbene mitigato dalle elevate tasse sulla benzina e dal dollaro forte, il mini-barile si traduce infatti in minori costi energetici: questo aumenta il potere d’acquisto per le famiglie, che potranno consumare di più e/o risparmiare di più.
L’euro tornato sotto la soglia “del dolore” di 1,19 dollari si traduce invece in esportazioni più facili. Dato che negli Usa finisce il 7,4% dell’export italiano, il beneficio non è indifferente. Secondo le stime dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, se il cambio euro-dollaro restasse quest’anno anche solo a 1,23-1,24, l’Italia potrebbe registrare una crescita aggiuntiva del Pil dello 0,7%.
La Bce dovrebbe, infine, mettere l’ulteriore ciliegina sulla torta. Presto dovrebbe infatti varare il «quantitative easing»: dovrebbe cioè iniziare a comprare titoli di Stato stampando moneta. Gli ultimi dati sull’inflazione dimostrano che questa manovra ultra-espansiva non può più attendere: il mercato se l’aspetta a marzo, anche se non è da escludere un annuncio già il 22 gennaio.
FUOCO DI PAGLIA
Eppure questi tre “regali” rischiano di servire a poco nel medio termine. Innanzitutto perché i primi due dipendono dal mercato, dunque potrebbero invertirsi improvvisamente. Ma anche sul «bazooka» di Draghi i dubbi sono molti: non è affatto scontato che dia un vero aiuto alla crescita economica. Questi tre “regali”, insomma, rischiano di stimolare la ripresa per poco se non vengono associati ad ulteriori spinte sul fronte fiscale, degli investimenti e del credito bancario.
È infatti difficile che in Italia arrivi la vera ripresa se la politica fiscale non diventa più espansiva. Secondo i calcoli di Banca Imi nel 2014 e nel 2015 nel nostro Paese si vedono e si vedranno i primi piccoli stimoli fiscali dopo anni di pura austerità, ma questo è troppo poco. In Italia – per fare un solo esempio – l’aliquota implicita sul lavoro (dato Eurostat) è del 42,6%: più del 41% della Francia, del 37,4% della Germania, del 33%?della Spagna e del 38,1% medio europeo. Come possono le imprese competere con questo carico fiscale? E come può il Paese ripartire davvero?
La ripresa difficilmente arriverà se non ripartono anche gli investimenti. Purtroppo quelli privati languono in tutta Europa: attualmente ammontano a poco più del 18% del Pil. Si tratta del minimo storico. E anche nella virtuosissima Germania le imprese non investono. Per non parlare degli investimenti pubblici: gli Stati non hanno soldi (almeno al Sud) e il piano Junker – di fatto – nemmeno. Un sondaggio riportato da Rbs dimostra che solo il 4% degli investitori crede in questo piano.
Insieme agli investimenti deve poi ripartire il credito bancario. Ma anche questo, al Sud, resta al palo.
Ma ciò che più pesa sulla crescita, in Italia, è il debito pubblico. Perché drena ricchezza. Dal 1980 al 2013 l’Italia ha pagato circa 2.300 miliardi in interessi. Negli ultimi anni la spesa per interessi è sempre stata tra gli 80 e i 90 miliardi l’anno: chissà quante opere, quante scuole, quante riduzioni fiscali avrebbe potuto finanziare lo Stato anche solo con la metà di questi soldi. Fin che non si riduce questo fardello in maniera consistente (e non con i piccoli colpi di un irrealizzabile fiscal compact), l’Italia difficilmente potrà ripartire. Ecco perché il partito greco Syriza più che suscitare paura dovrebbe far riflettere: perché pone all’Europa il problema dell’eccesso di debito. Morale: il 2015 inizia con tre “regali”, ma si porta dietro tutti i “fardelli” del 2014.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 6/1/2015