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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

PERISCOPIO

La sinistra spera di arrivare, dal quaranta per cento, al duemiladiciotto. Chissà. Massimo Bucchi. ilvenerdì.

Mariotto (Segni) non è un diminutivo ma è il suo vero nome mentre il soprannome è Mario. Il mondo alla rovescia. Giancarlo Perna. Libero.

Renzi è stato molto chiaro: «Non lasceremo Roma ai ladri». Si farà fifty-fifty, come sempre. Ma non è tutto. Il premier ha anche dichiarato: «Farò pulizia nel Pd». Vuole eliminare dal Partito anche la più piccola traccia di sinistra. Dario Vergassola. ilvenerdì.

Caro Babbo Natale, una preghiera: evita di mandare al Colle un/una esponente della società in/civile. Scartiamo gli allegri chirurghi, le archistar milionarie, i musicisti con famiglie a carico, giornalisti e scrittori pro o contro mafie e camorre letterarie, professori e docenti ammuffiti dalle università abituati a farsi ubbidire dal codazzo (abbiamo già dato), signore amanti del castello diroccato da restituire alle masse indifferenti del paesino che preferivano un supermercato, scienziate/i innamorate/i del microscopio, del bosone e dell’atomino, della cura antitutto. Abbiamo bisogno di persone che sappiano di che si parla, quando si firma un decreto. Abbiamo bisogno di competenze parlamentari, economiche e politiche, interne e internazionali. Barbara Palombelli. Il Foglio.

Non occorre essere credenti per avere un senso religioso della vita e per saper distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è. Per esempio basta assistere a una messa domenicale e anche chi ritiene che l’ostia consacrata sia soltanto un frammento di pane azzimo non potrà non riflettere sul raccoglimento delle persone che si avvicinano all’altare; su quel preciso momento in cui in esse sembra dileguarsi ogni fatica, ogni dispiacere del mondo quotidiano. Perfino l’ateo più incallito non potrà non riconoscere che quei fedeli abbiano trovato un benessere interiore che, magari per un solo istante, li renderà, per così dire, migliori. Antonio Padellaro. Il Fatto.

Non si può neppure dire che giornali e tg di fine d’anno siano stati renziani, cioè servile propaganda del volontarismo parolaio del premier che continua ad annunciare riforme che non fa. Sono stati invece mussoliniani, manifestazione dell’irresponsabile ottimismo dell’Italia fascista che sbandierava una forza che non aveva. Questo nostro Paese non cambierà mai, gli vanno bene le cose come stanno: la doppia morale cattolica controriformista e quella comunista togliattiana filosovietica che chiama la tirannide libertà e l’arretratezza economica e sociale progresso. Questa è l’Italia che si fa coraggio, rifugiandosi nella retorica ogni volta che la machiavelliana «realtà effettuale» smentisce l’ottimismo consolatorio di chi non ha il coraggio di affrontare le molte ferite inferte al processo unitario, liberal-cavouriano, tradito, prima, dal fascismo, poi, dal pressappochismo progressista del secondo dopoguerra. Ce la raccontiamo e ce la cantiamo, ingannandoci a vicenda; siamo machiavellici non avendo né ben letto né ben capito Machiavelli e restando fermi allo stereotipo del «fine che giustifica i mezzi», frase che Machiavelli non ha mai scritto né pronunciato, ma che serve, di volta in volta, a legittimare le false promesse di chi ci governa. Piero Ostellino. Corsera.

Prodi Romano. Piace ai nemici del Nazareno: minoranza Pd, fittiani Fi e Sel potrebbero votarlo contro Renzi&B., bruciandolo. Ma Renzi potrebbe anticiparli e candidarlo contro di loro, bruciandolo. Lui sta pensando di anticipare tutti e darsi fuoco. Marco Travaglio. Il Fatto.

Hitler mi invitò a inaugurare il nuovo treno tedesco ad alta velocità. Si trovava su una piattaforma alta 30 metri per poter essere visto da tutti. Ero, per la prima volta, a suo fianco. Avrei potuto spingere Hitler verso il vuoto, verso una morte sicura. Ho lungamente esitato. Ma non per paura perché sapevo che avrei sbarazzato il mondo di un uomo nefasto per tutti. Faccio un passo verso Hitler. Se lo spingo, niente potrà trattenerlo. E di spalle, davanti a me, in faccia al vuoto. Ma si gira bruscamente e mi guarda. Questo sguardo, inatteso, così strano, mi paralizza. Sento che non posso più muovermi. Il mio corpo è come sconnesso dal mio spirito. Senza che una parola sia pronunciata, lo sguardo di Hitler mi ha svuotato della mia volontà. Non mi sono più ripreso. Ci penso spesso. Tento di capire che cosa è successo ma non ci riesco. Gli occhi di Hitler mi hanno paralizzato e lo hanno salvato. Raoul Dautry, creatore della rete ferroviaria francese in: Servan-Schreiber, Passions. Fixot, 1991.

I tuoi occhi scuri da padano / il sorriso intimidito / le mani come scorze di robinia, / le tue parole secche, / a volte oscure, con al fondo /una goccia di terrore mai domato. Giovanni Zilioli, La compassione dei vinti. Nephos edizioni, 2004

Era un ragazzetto anemico che sembrava vivere fuori dal tempo e non avere età. Ad averlo combinato così era stato l’ambiente familiare. La madre lo rintronava con i ricordi della sua vita a corte, comportandosi come se non avesse mai smesso di farne parte e muovendosi per casa come se la Regina, chiusa la corte di Monza, dopo l’assassinio di Umberto, si fosse trasferita da loro anziché andarsene a Bordighera. Il padre lo terrorizzava con la sua severità senza appello, come senza appello erano le sentenze per le quali andava famoso: tra le tante, quelle che stigmatizzava l’inutilità di libri, riviste, giornali e tutto ciò che puzzasse di letteratura. L’unica cosa che contava, per lui, era la legge. Le sole letture che si concedeva erano quelle di codici e pandette, raccolte di sentenze, saggi di avvocati e principi, come lui, del foro. Andrea Vitali, Una figlia del podestà. Garzanti, 2005.

Da ieri tremo di febbre. È la passione oppure l’influenza? Gabriel Matzneff, Galop d’enfer. La table ronde, 1985.

Lei era bella come la donna di un altro. Paul Morand.

I tre ufficiali avanzavano con passo riposato, discorrendo tra loro. Il suono delle loro voci si diffondeva nel cortile con la tranquilla sicurezza di chi ha un riconosciuto potere sugli altri, nel luogo stesso dove tale potere si esercita. Italo Alighiero Chiusano, La derrota. Rusconi, 1982.

Un tale incontra un amico e gli dice: «Lo sai che Tizio parla male di te?». «Strano», ribatte l’altro, «non gli ho mai fatto male». Aneddoto orientale raccontato da Dori Ghezzi, cantante, vedova di Fabrizio De Andrè. Corsera.

Sono così abituato a stare male che quando sto bene chiamo il medico. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/1/2015