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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

UN CATTOLICO DIVENTA JIHADISTA

Si chiama Jérémy e ha 22 anni. O, meglio, quello era il suo nome francese prima di finire in prigione a Parigi. Lì è diventato Abou e ha voltato le spalle al suo passato, alla sua educazione cattolica, alla sua famiglia. Adesso, però, la polizia lo sta seguendo nell’ambito di un progetto che riguarda i convertiti all’Islam radicale, potenziali guerriglieri o terroristi che vengono indottrinati anche in carcere e che lo stato francese cerca in tutti i modi di restituire a una vita normale.
La madre di Jérémy è una donna di 63 anni originaria della Normandia, commerciante nella capitale.
Ella spiega di non aver mai immaginato che una cosa del genere potesse accadere a suo figlio. Fino all’età di 15 anni tutto era andato bene. Poi Jérémy diventò dipendente dalla droga che gli veniva offerta a scuola. Sua madre non se ne accorse subito: continuava a dargli 10 euro al giorno per mangiare. Soldi che, col passare del tempo, non bastavano più. Intorno ai 18 anni il giovane cominciò a spacciare. Non arrivò mai a ottenere il diploma di piastrellista.
Senza lavoro, Jérémy cominciò a uscire di notte. Finché una volta, a causa di una delusione d’amore, in un momento di follia bevve una bottiglia di vodka e si mise in macchina. Fermato dalla polizia, ebbe una reazione violenta che gli costò una condanna a sei mesi di prigione. Finì nel carcere di Villepinte dove, dopo aver condiviso la sua cella con un predicatore islamico, modificò completamente il suo comportamento nel giro di soli due mesi.
In occasione di un colloquio con sua cugina, Jérémy confidò di non voler più avere a che fare con la Francia, definita terra di miscredenti e pedofili. Voleva partire per la Siria per morire da martire: si considerava un eletto e aveva una missione, quella di combattere. Ora si faceva chiamare Abou, si fece crescere la barba. A quel punto la madre e la famiglia misero in allerta le autorità, senza però farne cenno al giovane per non rovinare i rapporti. L’importante era che, a qualsiasi prezzo, Jérémy rompesse con gli adepti della jihad.
Il 25 settembre, giorno della sua uscita dal carcere, la donna era davanti al portone ad attenderlo per evitare che qualcun altro lo prendesse con sé. Jérémy tornò a casa con sua madre indossando vestiti religiosi tradizionali e si mise a pregare nella sua camera. In garage aveva nascosto un coltello da macellaio. La situazione era grave e bisognava agire subito. Attraverso un avvocato si decise di chiamare il numero verde anti-jihad e il giovane venne preso in carico dalla struttura che si occupa di riabilitazione degli indottrinati dall’Islam radicale. A forza di parlare e di dialogare, egli cominciò a calmarsi e a tornare coi piedi per terra. Ha trovato anche una compagna e ora non pensa più a partire per il Medio Oriente.
Una lotta quotidiana, quella delle famiglie e della polizia, per riconvertire molte persone. Stando agli ultimi dati ufficiali, sono 1.132 i francesi implicati nella filiera della jihad, il 20% dei quali si sono convertiti. La struttura opera in maniera anonima per mettere in sicurezza le famiglie, che temono rappresaglie dopo che i loro figli hanno rotto con l’Islam guerrafondaio.
Vi sono appartamenti clandestini nei quali viene condotta attività di prevenzione. E i genitori, soprattutto le madri sole, vengono seguite in ogni aspetto, da quello materiale a quello psicologico. La lotta può essere lunga e faticosa.
Ettore Bianchi, ItaliaOggi 6/1/2015