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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Automobilisti in festa negli Usa e Wall Street non brinda L’Arabia spinge fuori mercato le produzioni “shale” Paolo Mastrolilli Il ricchissimo Harold Hamm, tycoon del settore petrolifero, ha annunciato di recente che non può più pagare il miliardo di dollari inizialmente dovuto alla ex moglie Sue Ann, per chiudere la loro pratica di divorzio

Automobilisti in festa negli Usa e Wall Street non brinda L’Arabia spinge fuori mercato le produzioni “shale” Paolo Mastrolilli Il ricchissimo Harold Hamm, tycoon del settore petrolifero, ha annunciato di recente che non può più pagare il miliardo di dollari inizialmente dovuto alla ex moglie Sue Ann, per chiudere la loro pratica di divorzio. Motivo: il crollo del prezzo del greggio, che sta falcidiando le sue finanze. Magari Hamm è solo un furbo, che sta approfittando della crisi energetica internazionale per risparmiare un po’ sulla fine del suo matrimonio. Però è un fatto che il prezzo del petrolio continua a calare, la benzina in molte regione degli Stati Uniti è scesa sotto i due dollari al gallone, e Wall Street non gradisce, infatti ieri ha risposto a questa situazione con un pesante ribasso. La dinamica è in funzione ormai da diversi mesi. La domanda globale di petrolio è diminuita, proprio mentre la produzione negli Stati Uniti è esplosa, grazie alle nuove tecniche “shale” che consentono di estrarre gas e greggio da regioni dove prima erano irraggiungibili, tipo il North Dakota. L’Arabia Saudita ha deciso di rispondere a questo calo del prezzo costringendo l’Opec a non tagliare la produzione, per diversi motivi. Il primo è economico: Riad incassa ancora più mantenendo alto il numero dei barili venduti, nonostante il calo del prezzo sotto i 50 dollari, di quanto guadagnerebbe riducendo la loro quantità nella speranza di far risalire il costo. Il secondo motivo è geopolitico. L’Arabia spera così di indebolire il rivale Iran, non è dispiaciuta di creare problemi a Putin che sostiene Assad in Siria, e punta anche a mettere in crisi l’industria estrattiva americana e quella dell’energia alternativa, che sotto certi livelli di prezzo diventano insostenibili. Il risultato che l’americano medio vede alla pompa di benzina è un clamoroso alleggerimento dei carichi sul suo portafoglio personale. Il prezzo medio della benzina è sceso a 2,20 dollari al gallone, ma in regioni come il Michigan o il Texas è già sotto la soglia dei due dollari. Wall Street però reagisce male, perché ormai il calo sta diventando pericoloso. Penalizza le grandi aziende petrolifere americane e la costosa produzione con la tecnica shale, e complica anche i piani delle compagnie automobilistiche, che avevano puntato sui modelli dal consumo più economico quando il petrolio costava il doppio. La stessa Europa, molto più dipendente degli Stati Uniti dalle fonti esterne, non sta traendo grandi benefici dal ribasso dei prezzi del petrolio, mentre le economie orientali sono le più avvantaggiate, ma la frenata della Cina pesa sulla domanda. In altre parole, finora è stato bello vedere la benzina scendere, ma ora comincia a preoccupare. Dicembre e gennaio sono storicamente i mesi in cui il prezzo scende di più, ma persino Forbes adesso suggerisce di aumentare le tasse sul carburante, se il calo non dovesse finire entro l’inverno.