Marco Belpoliti, La Stampa 6/1/2015, 6 gennaio 2015
E adesso povera Befana? Figura ambivalente, legata al mondo dei trapassati, ribadisce il trionfo della vita
E adesso povera Befana? Figura ambivalente, legata al mondo dei trapassati, ribadisce il trionfo della vita. Ma oggi che l’idea della morte è stata rimossa, si è dissolta anche quella dell’immortalità Marco Belpoliti I dodici giorni che separano Natale dall’Epifania costituiscono un ciclo temporale particolare, o almeno così era nel passato. Arnold van Gennep, lo studioso francese di folclore, autore di I riti di passaggio, lo considera un «non tempo», una frattura temporale che presenta seri rischi. Contiene la festa del Natale, con i suoi segni pagani e cristiani, la nascita di Gesù Bambino; c’è la fine dell’anno e l’inizio del nuovo, momento di sospensione temporale; quindi la festa dell’Epifania, con il suo nucleo di simbologie, tra cui il passaggio della Befana. Durante il «ciclo dei dodici giorni» ci sono in giro per il cielo vari personaggi, che alludono al complesso rapporto tra i vivi e i morti. Non a caso proprio in questa frattura temporale si riaprono i canali di comunicazione tra i vari mondi. La Chiesa ha collocato nella data del 2 novembre la celebrazione dei defunti, cercando di anticipare il momento in cui, per via del collasso del vecchio anno e l’arrivo del nuovo, la comunicazione tra viventi e trapassati è più forte. Non molti anni fa, a Salerno, un gruppo di madri e padri chiese di mantenere aperti i cancelli del cimitero di Brignano durante la notte tra il 5 e il 6 gennaio, quella della Epifania, per potere visitare liberamente i loro bambini morti e lasciare sulle loro tombe dei doni. Questa è la notte in cui vola la Befana, figura ambivalente, strettamente legata al regno dei trapassati. Mentre Babbo Natale si è trasformato in un vecchietto gentile e generoso, vestito di rosso e bianco, la Befana conserva ancora una forte ambivalenza. Il suo aspetto lo evidenzia: vecchia, vestita di abiti lisi e rattoppati, con il naso bitorzoluto, i capelli in disordine, a cavallo di una scopa volante, proprio come una strega. Il nome le deriva da una parola greca, epiphanía, che diventa Befana o Befania. Si tratta di un personaggio legato al simbolismo degli alberi, alla foresta e ai riti legati a quel luogo sacro, figura del capodanno agrario. Il significato sessuale Vecchia e insieme giovane, la Befana si carica di un significato sessuale; la strega è una giovane bellissima nascosta sotto panni di vecchia. E, nonostante rechi doni ai piccini, viene bruciata in forma di emblema sulla piazza in tanti paesi dell’Italia. Il suo fantoccio, issato sulla catasta di legna e fascine, è arso, come accade in Garfagnana, segnando così il vero inizio dell’anno nuovo, dopo il non-tempo che comincia con il Natale. L’Epifania è una festa molto italiana. Nella notte del passaggio della Befana sulla scopa, ricordano gli studiosi di tradizioni popolari, il mondo appare ricco di prodigi: gli alberi si coprono di frutti, gli animali parlano, le acque dei fiumi e delle fonti si tramutano in oro. Osservando la cenere del focolare da cui è transitata la Vecchia, le ragazze traggono oroscopi sulle loro future nozze, ponendo a questo scopo foglie d’ulivo sulla cenere calda, mentre ragazzi e adulti insieme, uniti dal suo passaggio, vanno per il villaggio cantando il canto della strenna, la così detta befanata. Il sacco, che la Befana reca sulle spalle, è l’emblema del Regno dei Morti. La calza, che si appende tradizionalmente al camino o all’albero, è l’analogo del sacco, che la donna volante porta in spalla. Funziona simbolicamente come antro, caverna o passaggio per entrare nel Regno dell’Aldilà. La parola epiphanía, nella sua origine greca, indica una apparizione; è letteralmente l’«apparire»; e si tramuta nella stella che guida i Re Magi, altro episodio che entra, attraverso la narrazione del Vangelo di Matteo, nella complessa simbologia del «ciclo dei dodici giorni». Nato dalla cultura persiana, si è fissato intorno al VI secolo dopo Cristo con i suoi tre personaggi, Gaspare, Baldassarre e Melchiorre. Tutte queste tradizioni hanno un solo scopo, fondamentale nella cultura umana: ribadire che la vita trionfa sulla morte. Nonostante il rischio di collasso e di catastrofe, implicito nel momento del passaggio, con il transito di figure mitiche, ciò che è in gioco è il legame tra il mondo dei vivi e dei morti. Si placano i trapassati ponendoli in funzione di antenati che proteggono il gruppo umano. Il cielo è vuoto Tuttavia oggi il nostro rapporto con questo regno si è molto depotenziato. Non abbiamo più paura di fantasmi e spiriti, come accadeva nel mondo antico, e ancora nel Medioevo cristiano, come ha raccontato Jacques Le Goff. Non li vediamo più ritornare dall’Aldilà per minacciarci e ghermirci. La porta che metteva in comunicazione vivi e morti, nonostante l’intervento delle mamme e dei papà di Brignano, resta chiusa. La morte non appartiene più a un altro regno, non è l’inizio dell’altra vita, la vera, ma viene oggi definita come assenza, privazione, mancanza. Come ha ricordato Zygmunt Bauman (Il teatro dell’immortalità, Mulino), la morte è diventata un tabù, attuando quella che il sociologo polacco definisce la «decostruzione della mortalità», che si accompagna ora alla complementare «decostruzione dell’immortalità». Si è dissolta in questo modo l’idea stessa dell’immortalità, che dura al di là della scomparsa del corpo fisico, rendendo la vita totalmente schiacciata sul presente. La morte è qualcosa da rimuovere. Il cielo è vuoto, anche se in questo momento dell’anno cerchiamo di animarlo con l’apparizione di Babbo Natale con il suo carro trainato da renne e con la Befana a cavalcioni della scopa. Li immaginiamo scendere giù per il camino per premiarci e distribuirci doni. Non abbiamo più in volo sulle nostre teste, e neppure nelle nostre fantasie, le figure che ci servivano a mantenere in equilibrio le ragioni della vita e della morte.