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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

NAZIONALE - 06

gennaio 2015
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IL GOVERNO ALLA PROVA
Le ambizioni del governo contro gli evasori e quei dubbi sui troppi condoni e perdoni
FEDERICO FUBINI
LA
Legge di stabilità riesce in una difficilissima quadratura del cerchio sui conti pubblici grazie ad un’arma in più: prevede entrate supplementari dalla lotta all’evasione per 3,8 miliardi di euro. È un’accelerazione dirompente, perché gli ultimi dodici anni avevano portato appena una decina di miliardi. Significa quadruplicare la velocità alla quale lo Stato attacca la montagna da 90 miliardi di euro e da cinque milioni di elettori dell’evasione fiscale. Non è un impegno che un governo possa prendere alla leggera, fingendo poi sorpresa quando l’obiettivo sarà mancato. Tra centrarlo o meno c’è la differenza che passa fra il rispetto o no del Fiscal Compact e l’apertura di una procedura di Bruxelles. E il governo di Matteo Renzi non prende alla leggera il suo annuncio, perché prevede nuove misure che possono avere un impatto notevole. Da quest’anno l’Iva su gran parte dei lavori di imprese di servizi e costruzioni verrà pagata dal committente, anche quando si tratta dello Stato che paga se stesso, dunque sarà più difficile da eludere.
Il problema è che la logica e la coerenza del governo, su questo fronte, rischiano di non fare molta più strada di così. Ciò che è venuto dopo, intorno, a fianco di quel grande impegno sui 3,8 miliardi spesso erode e contraddice gli intenti dichiarati nella Legge di stabilità e l’approccio stesso del premier. È persino possibile che la cosiddetta norma «salva-Berlusconi», quella che depenalizzava i casi di evasione entro il 3% delle somme dovute al fisco, fosse prima di tutto un effetto di questo procedere ondivago. Non di chissà quale complotto.
A onor del vero, questo governo ha ereditato dai suoi predecessori la delega per regolare cosa è criminale e cosa merita il carcere nel rapporto del cittadino con il fisco. Ma, come nota Vincenzo Visco sul sito lavoce. info , non era costretto a sancire che le fatture false fino a un importo di mille euro semplicemente non sono un reato. In precedenza la soglia era a zero e, in un Paese preso alla gola dalla corruzione a tutti i livello degli enti locali e fra imprese stesse, non si avvertiva l’urgenza di aprire questo varco nella rete. Meno ancora adesso che proprio il governo reagisce agli scandali di Mafia Capitale, dell’Expo o del Mose alzando le pene per la malversazione. Un corrotto o corruttore va forse perdonato, se fatica a capire quale sia il segnale che questo esecutivo cerca di inviargli: cerca di rendergli la vita più difficile, oppure più facile?
Nello stesso pacchetto sul fisco, il ministero dell’Economia e poi il governo depenalizzano l’abuso del diritto, cioè l’elusione delle tasse grazie all’uso strumentale di norme italiane o estere. Una mossa del genere può non piacere, ma non è priva di senso: questo è un tipico caso in cui l’accumulo di leggi, sentenze e diritto con valore retroattivo ha messo molti investitori dalla parte sbagliata della legge molto dopo che avevano compiuto le loro scelte. Depenalizzare così l’elusione lascia l’amaro in bocca, ma fa qualcosa per non mettere in fuga qualche investitore estero confuso dalla giungla giuridico- fiscale del Paese.
Diverso è invece il colpo di spugna sui reati tributari che, se fosse confermato nel decreto, rischia di bloccare un processo su tre. Ci si arriverebbe alzando la soglia sulle somme evase da 50 mila a 150 mila euro l’anno. Come nota Visco, sono in gioco redditi da 300 o 400 mila euro divenuti invisibili al fisco. Non pagare le tasse su di essi può provocare sanzioni salate, ma anche qui l’approccio sembra schizofrenico: contro la corruzione il governo crede alla deterrenza del carcere e alza le pene; contro l’evasione, che viaggia sempre unita alla corruzione, vede nella minaccia del carcere un fastidio inutile.
Se l’obiettivo era liberare i tribunali da un eccesso di procedimenti, una risposta più efficace sarebbe introdurre multe durissime per chi lancia le cause cosiddette «temerarie» (cioè infondate). E, in prospettiva, ridurre il numero degli avvocati mettendo il numero chiuso all’iscrizione a Giurisprudenza. Ma non un colpo di spugna. Se l’obiettivo invece era aiutare le aziende in difficoltà, meglio dar loro credito tramite la Cassa depositi per permettere loro di pagare le tasse. E meglio ancora cambiare il sistema di bonus dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, perché smettano di montare accuse infondate pur di indurre gli imprenditori a patteggiare e liberarsi del problema pagando.
La lista delle ambivalenze nella lotta all’evasione potrebbe continuare. Il governo decide di rafforzare i pagamenti via carta di credito o bancomat agli esercenti, ma non premia chi si dota delle apposite macchinette (i Pos), né punisce chi non lo fa. E la «voluntary disclosure» per il rientro dei capitali dall’estero resta l’ennesimo condono, con multe ridotte e poi persino di nuovo dimezzate se il governo concluderà un accordo con la Svizzera entro febbraio. Forse l’Italia non è più un Paese per evasori, ma per sciatori sì: specialisti di slalom speciale.
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