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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Undici quadri per una mostra singolare, fatta quasi a chilometro zero, sfruttando le collezioni della Galleria Nazionale di Parma e alcuni preziosi prestiti dall’Accademia di Venezia, dall’Estense di Modena, dalla Pinacoteca di Bologna, il tutto per disegnare il dialogo fra Cima da Conegliano, grande la sua bottega a Venezia tra fine XV secolo e inizi del seguente, e Parma dove opera anche un suo creato, Cristoforo Caselli

Undici quadri per una mostra singolare, fatta quasi a chilometro zero, sfruttando le collezioni della Galleria Nazionale di Parma e alcuni preziosi prestiti dall’Accademia di Venezia, dall’Estense di Modena, dalla Pinacoteca di Bologna, il tutto per disegnare il dialogo fra Cima da Conegliano, grande la sua bottega a Venezia tra fine XV secolo e inizi del seguente, e Parma dove opera anche un suo creato, Cristoforo Caselli. «Bisogna puntare sulle raccolte, sulle collezioni locali, e porre sempre problemi critici» suggerisce la soprintendente Mariella Utili. Quale dunque il senso di questa breve ma intensa rassegna ( Cima da Conegliano e l’Emilia , Parma, Galleria Nazionale, fino al 18 gennaio, premessa di Mariella Utili, introduzione di Lorenzo Sbaraglia)? Cima (1459-1518) ha una storia segnata dal dialogo costante con Giovanni Bellini, lo dimostra qui La Madonna dell’Arancio (1497): paesaggio spoglio, primo piano con fiori e sparsi sassi da far pensare alla conoscenza di qualche opera di Leonardo, l’albero al centro simbolo paradisiaco e di salvezza, al fondo un luminoso paesaggio. La luce è quella morbida di Giambellino, però in Cima la luce non è vibrante ma ferma e disegna profili taglienti, da far pensare a un dialogo coi fiamminghi visti forse tra Ferrara e Venezia. Il rapporto con la pittura fiamminga lo confermano due altri pezzi, la Madonna col Bambino e Santi di Parma (1495 c.) con le rovine scorciate in primo piano immerse in una luce solare, memorie di fori romani riletti attraverso la scultura del XV secolo, e ancora il Compianto sul Cristo di Modena (1501 c.) con precise citazioni fra Andrea Mantegna e Bartolomeo Montagna ma con una scrittura ancora attenta alla tradizione fiamminga. Cima dunque dialoga anche con Parma dipingendo, per il Duomo, nella cappella Montini, una Madonna e Santi densa di plastiche architetture che sembra proporre (1507) la simbolica unione delle Chiese d’Oriente e Occidente. Cima trova poi in Cristoforo Caselli, suo seguace a Parma, un narratore diverso, legato anche alla tradizione degli intarsiatori Cristoforo e Lorenzo da Lendinara. Una mostra densa di novità anche nelle schede critiche, e penso a quelle di Mariangela Giusto, che pone il problema della dimensione padana delle officine di Venezia, dai Vivarini a Cima a Giovanni Bellini.